Nel maggio del 1998 a Manchester, sponda Red Devils, non ci sono motivi per essere felici. Come potrebbe essere altrimenti, del resto, se l’Arsenal ti ha appena vinto il campionato in faccia con 1 solo, stramaledettissimo, punto di vantaggio? Eppure hai fatto più gol e ne hai subiti meno rispetto alla compagine condotta da Wenger e Bergkamp: media inglese + 47, contro il + 35 dei campioni. Stesso numero di vittorie. Ma non è bastato. Fissi il vuoto ed i giocatori del Barnsley che scorrono davanti a te, senza un significato. La delusione è un pugno che trita il respiro e per una manciata di istanti l’ottimismo si avvita ed annega. Ma l’uomo seduto a bordo campo no, non si lascia avviluppare dallo sconforto. Soppesa la scena, lucida gli occhiali e lancia un sospiro. Poi si alza, distribuisce pacche sulle spalle ai suoi calciatori e, senza tradire emozioni, inizia a coltivare un sogno. “La prossima volta non finirà così“, ripete dentro di sé Alex Ferguson, con cadenza quasi mantrica.
1 AGOSTO 1998 – MANCHESTER: CHE MERCATO DA FAVOLA!
Sono sempre gli uomini a cambiare il verso della storia. A riscriverla. A borseggiare il loro destino proprio dalle mani del destino. Il fatto che tu rimanga inerte, oppure reagisca, ha un peso per il mondo. Sposta le cose. E Ferguson, nell’estate del 1998, si sente un dannato manovale. Hai perso il titolo e sei uscito ai quarti di finale di Champions, contro i francesi del Monaco. E’ evidente che serva un salto di qualità. Manca poco, non dici di no, ma va fatto. Per alzare l’asticella, ad Old Trafford arriva un pacchetto di ordinari supereroi. Trenta miliardi – cifra record per i Red Devils – servono per assicurarsi il gigantesco e terrificante Jaap Stam, l’olandese più cattivo della storia. Dal Parma giunge invece un’iniezione di classe e sostanza: Jesper Blomqvist. Davanti ecco poi Dwight Yorke: il 27enne di Trinidad & Tobago lascia i Villans dopo un’epopea lunga dieci anni e corredata da 73 goal. Ancora non lo sa, ma insieme ad Andy Cole andrà a formare una coppia leggendaria: i Calypso Boys. Se a tutto questo aggiungi la piena maturità della Class of ’92, la ricetta per il miracolo sportivo inizia a sobbollire in pentola.
9 AGOSTO 1998 – WEMBLEY: UN INIZIO DISASTROSO
Non ci sono soltanto i nuovi innesti a infondere fiducia. Tra i pali lo United può contare sul migliore portiere al mondo, Peter Schmeichel. La difesa sembra granitica: ci sono i fratelli Neville, Denis Irwin e lo sbrigativo Ronny Johnsen. Le ali sono magnifiche: il mago gallese Ryan Giggs e lo Spice Boy David Beckam: bello, patinato, ma anche terribilmente efficace quando si tratta di confezionare assist e piazzare punizioni all’incrocio. Senza contare il tracimante carisma di Roy Keane ed le raffinate geometrie di Paul Scholes, là in mezzo. In attacco, oltre ai Calypso Boys, puoi contare su Teddy “Bear” Sheringham e su quello che assomiglia ad un astro nascente: Ole Gunnar Solskjaer. Niente male per ovviare alla perdita del talismano Eric Cantona. Sì: Alex Ferguson si sfrega le mani. Ma il primo appuntamento viene cannato di brutto: a Wembley – il 9 agosto 1998 – si gioca per la FA Charity Shield. L’avversario è ancora una volta l’Arsenal: i Gunners annichiliscono i Red Devils. Overmars, Wreh e Anelka ribadiscono un copione già visto: 3-0 e tutti a casa.
SETTEMBRE 1998: DI RAPIDE ILLUSIONI E DELLA MALEDIZIONE ARSENAL
Con un inizio del genere, pensare di diventare la prima squadra inglese nella storia a vincere campionato, coppa d’Inghilterra e Champions League appare senz’altro una lucida follia. Eppure i ragazzi dell’uomo venuto dalla Scozia partono alla grande: in testa dopo cinque giornate. Fino a quando, alla sesta, c’è da presentarsi ad Highbury: sembra incredibile, ma finisce di nuovo 3-0 per l’Arsenal. Qualunque avversario deporrebbe le armi per manifesta inferiorità, a questo punto. Ma lo Utd no. Se c’è una cosa che la stagione 1998/99 ci ha insegnato, è stata proprio la capacità dei Red Devils di riprendersi la vittoria dalle fauci della sconfitta.
19 DICEMBRE 1998: IL PUNTO PIU’ BASSO
In Champions ti è capitato un girone di ferro – con Barcellona, Bayern Monaco e Brondby – ma in qualche modo ne emergi. In campionato sei sempre secondo, ma stai per affrontare il Middlesbrough in casa e già accarezzi l’idea di 3 punti facili. Invece no: il Boro si impone 2-3 a Old Trafford. Anche il Chelsea ti supera in classifica: è lo sprofondo. Ma come spesso accade, dopo aver sbattuto la faccia contro il punto più basso puoi fare soltanto una cosa: risalire. I ragazzi non lasciano che lo sconforto li affossi: si stringono nello spogliatoio e fanno un patto. Da lì in poi, la storia verrà stralciata e riscritta.
9 MAGGIO 1999: L’AGGANCIO ALLA VETTA
Facciamo un salto di qualche mese. Lo United ha tenuto fede al patto sigillato nello spogliatoio molte settimane prima ed è riuscito a rimettersi in carreggiata. Al punto che, il 9 maggio del 1999, l’aggancio in testa alla classifica è compiuto: Dwight Yorke abbatte il Boro a domicilio, vendicando il torto subito in dicembre. Red Devils a pari punti con i Gunners, ma con una gara da recuperare, contro il Blackburn. Chelsea e Leeds subito sotto, a rincorrere. Il favore arriva proprio da chi non te l’aspetti: l’Arsenal cade 1- 0 a Elland Road per mano di Jimmy Floyd Hasselbaink, dopo un bel pallone lavorato dal gioiello Harry Kewell. Gli odiati rivali del Leeds danno una mano. Nel recupero contro il Blackburn finisce in parità. Il Man Utd si ritrova solo in testa alla classifica.
16 MAGGIO 1999 – FESTA AD OLD TRAFFORD!
Nell’ultima di campionato gli uomini di Ferguson devono vedersela contro il Tottenham, ad Old Trafford. Davanti a 55mila spettatori il miracolo è confezionato: le reti di Beckam e Cole regalano un insperato titolo ai Red Devils, che possono finalmente guardare l’Arsenal dall’alto in basso, in un Teatro dei Sogni che tracima gioia e bellezza. Ma il meglio deve ancora venire.
22 MAGGIO 1999: WEMBLEY, FINALE DI F.A. CUP
Anche il cammino in F.A. Cup è stato esaltante: fatti fuori Boro, Liverpool, Chelsea e Arsenal (ancora loro, sì), non resta che affrontare la finale di Wembley contro il Newcastle del working class hero Alan Shearer. Non c’è storia: lo Utd si impone 2-0 con le reti di Sheringham e Scholes e mette via il double. Un sogno impensabile sta prendendo forma. Si chiama Treble, ma nessuno osa ancora pronunciarlo.
26 MAGGIO 1999 – BARCELLONA: FINALE DI CHAMPIONS LEAGUE
Il 26 maggio 1999, in un Camp Nou gremito all’inverosimile, si gioca la finale di Champions tra i campioni d’Inghilterra dello Utd e quelli di Germania del Bayern Monaco, guidato dalla leggenda Lothar Mattheus. Due corazzate che si scontrano davanti ad oltre 90mila spettatori, per un finale epico. Per Ferguson si mette subito male: è soltanto il 5′ quando i bavaresi la sbloccano con un piazzato astuto di Super Mario Basler, che sorprende Schmeichel sul suo palo. Il Man Utd fatica a riorganizzarsi e continua a subire: serviranno un miracolo di un monumentale Schmeichel – stavolta sì – un palo e una traversa per riscrivere un destino che sembra segnato. Al 90′ i tifosi tedeschi festeggiano la vittoria, mentre i Red Devils si apprestano a calciare l’ultimo corner con Beckam. La palla arriva a Giggs, che tira verso la porta: Sheringham non ci pensa due volte e manda la sfera a conoscere l’angolino basso alla sinistra di Khan. I supporters stavolta piangono di gioia. Anche Ferguson si lascia andare ad un’esultanza smodata. Ma la vera follia non si è ancora consumata. Al 92′ Kouffur devia in angolo un altro pallone. Ancora Beckam dalla bandierina, spizzata di Sheringham e deviazione decisiva dell’uomo della provvidenza venuto dai Fiordi, Ole Gunnar Solskjaer. United in delirio. Bayern impietrito. Semplicemente pazzesco. Il Manchester quasi non ci crede: è la prima squadra nella storia del calcio inglese a vincere il Treble.
L’uomo a bordo campo ora è in piedi. Si aggiusta gli occhiali sul naso, dopo diverse docce a base di champagne. Si avvicina ai suoi giocatori e distribuisce pacche sulle spalle. E abbracci. Ora allarga un sorriso: la vita non è mai uguale a sé stessa. A volte basta crederci un po’ di più.