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domenica 24 Novembre 2024
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Stan Cullis e quella frase divenuta leggenda

4 ' di letturaChi l’avrebbe mai detto che una semplice frase rilasciata durante una conferenza stampa avrebbe ispirato il torneo per club più importante d’Europa? È quello che accadde esattamente a metà degli anni Cinquanta, quando nel vecchio continente, oltre che in Inghilterra, era il Wolverhampton una delle squadre protagoniste del panorama calcistico. Alla testa dei Wolves c’era un uomo geniale, capace di raggiungere traguardi che nelle West Midlands non erano (e non sono ancora) mai stati raggiunti: Stan Cullis. Il personaggio in questione, nato nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale in una cittadina al confine col Galles, crebbe calcisticamente parlando nella squadra cittadina, l’Ellesmere Port Wednesday. Dopo il trasferimento proprio al Wolverhampton, avvenuto nel 1933, riuscì a giocare in First Division per sette stagioni, che potevano diventare potenzialmente il doppio se di mezzo non si fosse interposta la Seconda Guerra Mondiale, fieramente vinta dagli inglesi.

Stan Cullis ha giocato per otto stagioni con i Wolves

Cullis, che di professione faceva il difensore centrale e che indossò la maglia della nazionale seppur in amichevole in dodici occasioni al termine del conflitto riuscì a disputare soltanto una stagione, la 1946-47, appendendo gli scarpini al chiodo alla fine della stessa per un infortunio alla testa. Particolare l’aneddoto relativo ad un amichevole con la Germania organizzata nel 1938 a Berlino. Tutti i giocatori inglesi, prima del fischio d’inizio, avrebbero dovuto rendere omaggio ad Hitler con il saluto nazista, come richiesto, in forma di rispetto al Reich Tedesco, dall’allora Primo ministro Britannico Neville Chamberlain. Cullis non solò si rifiutò di mettere in atto uno scempio alla sua nazione, ma non disputò nemmeno quella sfida e terminò per sempre la sua carriera con l’Inghilterra. Il suo cammino sul prato verde alla fine registrerà ben 171 presenze con i Wolves, che lo scelsero come assistente del tecnico Ted Vizard per la stagione successiva. Nel giugno 1948 il quinto posto in First Division non vale la conferma di Vizard, a cui succede proprio Cullis, la cui epopea terminerà solo nel 1964 dopo ben nove trofei messi in bacheca. È proprio al primo anno che l’ex difensore riuscì a vincere la sua prima coppa: la FA Cup. I Wolves arrivarono in finale sbarazzandosi di corazzate come Liverpool e Manchester United, che al termine della stagione finirà secondo per la terza volta consecutiva favorendo il Portsmouth, al suo primo titolo nazionale.

A Wembley arrivò quindi il Leicester, formazione delle zone basse di Second Division che riuscì a piegare proprio i Pompey con tre reti nell’altra semifinale. Nello stadio più leggendario del regno, davanti a circa 100mila spettatori, il Wolverhampton si impose sulle Foxes per 3-1, mettendo in bacheca un trofeo che mancava da ben 41 anni, il terzo della sua storia. L’anno dopo Cullis e i Wolves si aggiudicarono anche il Charity Shield, arrivando secondi in First Division alle spalle del Portsmouth. Due stagioni a metà classifica e un altro piazzamento sul podio non cancelleranno le ambizioni di Stan, che nel 1954 riuscì ad alzare al cielo la prima First Division della storia del Wolverhampton a discapito degli storici rivali del West Bromwich Albion. La fama della banda di Cullis iniziò ad espandersi anche oltre il canale della Manica, soprattutto grazie a delle amichevoli che il Wolverhampton riuscì ad organizzare contro i migliori club europei del tempo: il Real Madrid, lo Spartak Mosca, il Borussia Dortmund e la Honvéd Budapest guidata da Ferenc Puskas, che si arrese soltanto alle conseguenze delle rivoluzioni antisovietiche del 1956 e, chiaramente, al leggendario Wolverhampton.

Best
Da bambino George Best era un tifoso del Wolverhampton

Gran parte di quella formazione faceva parte della nazionale magiara giunta in Svizzera nel 1954 per disputare e, senza dubbio, aggiudicarsi la quinta edizione della Coppa Rimet. Una nazionale immortale sconfitta solo in finale dalla Germania Ovest con grande sorpresa, una squadra che negli anni precedenti aveva impartito lezioni di calcio a chiunque, soprattutto ai fieri amici inglesi che ostentavano tanto il fatto di aver inventato il gioco del football. Nel dicembre del 1954 la Honvéd Budapest/Nazionale di calcio dell’Ungheria giunse nelle West Midlands per disputare un’amichevole con il Wolverhampton, che aveva colpito con le proprie gesta anche un piccolo tifoso nordirlandese di Belfast chiamato George Best. Il confronto, vinto dai Wolves per 3-2, fu un’ulteriore iniezione di ego e fiducia per gli inglesi e per Cullins che, grazie a quei ragazzi che facevano capo al leggendario Billy Wright, batté una delle squadre più forti e complete della storia del calcio. Preso dall’euforia, e ovviamente dalla gioia per aver compiuto un’impresa, Cullins dichiarò: “La mia squadra è la più forte del mondo”. Mai frase fu più azzeccata.

Stan Cullis
La statua eretta in onore di Stan Cullis a Wolverhampton

La frase del tecnico inglese colpì, oltre che i vari giornali inglesi, anche Gabriel Hanot, allora direttore del quotidiano sportivo francese L’Equipe. Hanot, cogliendo l’assist di Cullins, suggerì un torneo europeo che avrebbe accolto tutti i vincitori dei vari campionati nazionali: la Coppa dei Campioni. Un’idea che trovò concretezza nell’autunno del 1955, quando iniziò il torneo che nel 1957 riuscì a sostituire anche la Coppa Latina, competizione estiva a cui si univano dal 1949 i vincitori del campionato italiano, spagnolo, francese e portoghese. Involontariamente Cullins diede lo spunto per una delle idee geniali del ventesimo secolo. Una competizione a cui tutti ambiscono ancora oggi, che il Wolverhampton disputò due volte a seguito dei due successi consecutivi in First Division registrati nella stagione 1957-1958 e in quella 1958-1959. Un peccato forse non averci lasciato un’impronta leggendaria in quella Coppa, ma non per Cullins, che consapevolmente scrisse pagine memorabili della storia del calcio inglese e che, senza neanche pensarci, pose le basi per qualcosa di ancor più straordinario.

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