test
13.9 C
Londra
lunedì 25 Novembre 2024
Home Storie in the box L'unico Dio degli inglesi a cui credere: Robbie Fowler

L’unico Dio degli inglesi a cui credere: Robbie Fowler

13 ' di letturaNel 1978 Fabrizio de André scrive “Coda di Lupo“, una poesia musicata che racconta la storia di un grande momento di divisione della società italiana. Il Movimento del ’77 è il punto in cui si rompono definitivamente i possibili rapporti tra i movimenti di estrema sinistra e il PCI: la grande accusa non è quella di non aver fatto la rivoluzione, ma di averla impedita. È un brano di denuncia ma anche di grande tristezza: racconta la vita di tutti gli uomini occidentali all’interno di un sistema sociale e economico fondato su ideali avvertiti come falsi e irrispettosi della natura umana.

La riflessione di De André rimane attuale anche oggi, a quarant’anni di distanza da quei moti. E si può (con molta licenza poetica) intrecciare alle vite di tanti, tantissimi uomini che hanno solcato il nostro mondo. Ecco, uno di questi è il protagonista della nostra storia.

E al Dio degli inglesi non credere mai

Quando ero piccolo m’innamoravo di tutto
correvo dietro ai cani
e da marzo a febbraio mio nonno vegliava
sulla corrente di cavalli e di buoi
sui fatti miei e sui fatti tuoi
e al dio degli inglesi non credere mai.

Tre anni prima dalla stesura di Coda di Lupo, in un luogo del tutto diverso dalle città italiane ma dalle grandi somiglianze sociali, nasce Robert Bernard Ryder, da tutti conosciuto come Robbie. È un ragazzo piccolino che ha problemi fin da subito. Soffre d’asma e ha una displasia congenita dell’anca. Papà e mamma hanno un rapporto particolare: non si sono mai sposati, non hanno mai vissuto insieme da quando il figlio ha memoria, ma sono sempre stati presenti per lui. Babbo manovale e poi lavoratore delle ferrovie, i genitori arrivano giusto a mettere il mangiare in tavolo per la famiglia.

Quando Robbie compie sei anni il mondo esterno viene a bussare alla sua porta. Toxtenth è un quartiere periferico di Liverpool, uno dei più difficili in cui vivere. Tutte le povere anime che dai vari paesi del Commonwealth arrivano speranzose al porto di Liverpool sono mandate lì, nei comprensori di case popolari con poca probabilità di uscirne presto. Le vie alternative sono le solite: rapine, violenza, droga. Il tasso di disoccupazione è tra i più alti del Paese. Robbie vive in mezzo a tutto questo, in una delle case popolari, col campetto da calcio in fondo alla strada come unica fonte di gioco e divertimento.

All’inizio di Luglio del 1981 la situazione esplode. La polizia, accusata di razzismo e racial profiling feroce, arresta in malomodo un giovane ragazzo di colore. La comunità di Toxtenth si ribella ferocemente e inizia a organizzarsi. Gli agenti mandati a sedare la rivolta si trovano davanti uno scenario a cui non sono stati preparati. Una folla arrabbiata e con nulla da perdere, armata di molotov e pietre divelte dalla strada, carica la polizia brandendo i pali dei segnali stradali strappati dal terreno. Da tutti gli angoli arrivano i camioncini del latte incendiati e spediti contro le forze dell’ordine.

Per la prima volta sul territorio inglese la polizia usa i gas lacrimogeni per disperdere i rivoltosi. Quando questo non basta vengono autorizzati a guidare camioncini e Land Rover ad alta velocità nella folla. Un uomo rimarrà schiacciato da uno di questi veicoli e morirà. Dopo nove giorni di scontri il bilancio conta 500 arresti, più di 450 poliziotti feriti e oltre 80 edifici da demolire per i danni del fuoco.

Tutto accade pochi metri fuori dalla finestra di casa materna di Robbie. La mamma prova a fare da scudo per i figli, poche volte accende la tv per vedere cosa sta succedendo così vicino a loro, e non fa uscire nessuno. Anche se riesce nel suo intento, le cicatrici della battaglia non si possono ignorare nel quartiere. Robbie cresce tra gli edifici bruciati da quel Luglio d’inferno, in mezzo a quella povera gente che non trova lavoro, fra quei ragazzi dal destino segnato.

Ma orgogliosamente non ne sarà mai coinvolto. Il tessuto familiare, dice lui, così forte nonostante la particolarità lo ha salvato da tutto questo. Non che la tragedia eviti di bussare alla loro porta. Suo cugino Vincent morirà giovane per colpa della droga. Andavano sempre a giocare a pallone insieme loro due. Pochi anni dopo un’altra cugina, Tracy, verrà uccisa dal suo ragazzo in stato alterato sempre dalle droghe.

E al loro dio perdente non credere mai

E quando avevo duecento lune e forse
qualcuna è di troppo
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo
cambiai il mio nome in “Coda di Lupo”
cambiai il mio pony con un cavallo muto
e al loro dio perdente non credere mai.

La gioventù di Robbie è tutta in quel quartiere devastato della periferia di Liverpool. La mattina a scuola, il pomeriggio a giocare a calcio al campetto in fondo alla via di casa. Ma lui cresce ben attento a non farsi travolgere dai problemi che vivono a qualche centimetro da lui. Come dirà successivamente “Avere quel tipo di background non vuol dire necessariamente che tu abbia la pelle dura, o che tu sia un bandito. Ma sicuramente ti dà un certo modo di vedere la vita e a cosa potresti andare incontro”.

Robbie diventa un vero ragazzo di Liverpool. Generoso e riservato, ma con risposte veloci e perforanti verso ogni mancanza di rispetto. E soprattutto è un gran giocherellone sempre pronto a fare scherzi, come quando andava con i suoi amici alla cabina telefonica della via. Chiamava tutti i numeri che conosceva e convinceva i vecchi di aver vinto fantasiosi concorsi a premi.

Il calcio inizia a diventare il biglietto di uscita da Toxtenth di Robbie. Il ragazzino è veramente bravo, e lo dimostra anche quando dal football del campetto passa a quello a undici. Scopre di avere un vizio, essere un goleador di razza. E da buon tifoso dell’Everton si ispira al suo idolo Graeme Sharp, più di 100 gol con i Toffees in dieci anni di permanenza.

Il piccolo Robbie Ryder inizia a far notizia nella comunità del football del Merseyside. Il ragazzino fa tonnellate di gol e fa girare molte teste. Tanto che si muove addirittura il più importante uomo di calcio della zona. Sir Kenny Dalglish istruisce Jim Aspinall, leggendario scout del Liverpool, di assicurarsi il giovane goleador: “fammi avere quel piccolo Robbie Ryder a ogni costo”. E Robbie arriverà, entra nelle scuole sotto l’egida dei Reds e continua il suo percorso scolastico giocando per squadre giovanili collegate alla squadra.

Quando arriva in secondary school, ha già battuto dei record. In una partita di under 11 segna addirittura la bellezza di 16 gol. Dalglish stesso lo segue molto da vicino, lo coinvolge negli incontri tra i giocatori del club e quelli delle accademie, una volta addirittura lo accompagna anche a casa. La grande Mercedes bianca di Sir Kenny strideva nel suo quartiere: “E sai, nessuno dei miei amici è passato per caso, nessuno dei miei vicini ha messo la testa fuori dalla finestra, ed erano tutti dei ficcanaso!”

Robbie diventa un vero giocatore di football nelle accademie del Liverpool. Riguardo l’educazione calcistica odierna pensa che ormai non si insegni più a giocare a pallone come si faceva una volta quando lui era ragazzino, quando la prima cosa su cui l’allenatore puntava era la capacità di passare il pallone all’uomo libero. Ormai è uno show di atletica di giovani senza capacità tecniche, insiste spesso nelle interviste che concede. Lui era molto di più di questo: segnava con entrambi i piedi, di testa, al volo, da qualsiasi angolo, d’opportunismo o costruendosi il tiro, dal centro dell’attacco o dall’ala.

Nel 1991 firma il primo contratto con il Liverpool. È quello giovanile, che al tempo comprendeva anche fare qualche lavoretto per la prima squadra come pulire gli scarpini da gioco o i bagni dello spogliatoio. Tutti imparano a conoscere Robert, anche se ora ha cambiato cognome. Ha preso quello del padre, che di last name fa Fowler. Si diverte a conoscere e passare il tempo con John Barnes e il suo protetto Steve McManaman, tre anni più vecchio di lui. Ian Rush lo prende sotto la sua ala e gli fa da mentore. Gioca appena può, nelle giovanili e nella squadra riserve, per poi andare al suo posto preferito da quando ha otto anni a mangiare pane arabo e patatine o riso fritto con salsa barbecue.

Passano due anni. Robbie ha “the time of my life”, come lui ama ricordare. Sulla panchina dei Reds è arrivato Graeme Souness al posto di King Kenny. Il tecnico scozzese vede Fowler esattamente come Dalglish, e inizia a scaldarlo per l’esordio in prima squadra. Dopo aver segnato cinque gol all’Europeo under-18 vinto dai Tre Leoni l’occasione arriva il 22 settembre 1993. Partita di Coppa di Lega contro il Fulham. La coppia titolare davanti sarà Ian Rush e Robbie Fowler, mentore e protégé fianco a fianco. Ovviamente esordisce tra i professionisti segnando.

Il ritorno in casa ad Anfield dovrebbe essere una passeggiata e Souness decide di ripresentare titolare Fowler. Il Liverpool fa cinque gol e li segna tutti lui. La Kop va in delirio totale e incondizionato. Il ragazzino terribile, sfrontato e guascone che stravolge la difesa del Fulham è esattamente quel figlio del popolo che sembra già destinato a diventare un idolo della curva. Quando viene intervistato post partita gli viene chiesto se avesse mai segnato più di cinque reti in un match. Serafico risponde: “Si, ne ho segnati 16 una volta…”

Il Dio di Liverpool è diventato incredibilmente Robbie Fowler.

E al dio della Scala non credere mai

E forse avevo diciott’anni e non puzzavo più di serpente
possedevo una spranga un cappello e una fionda
e una notte di gala con un sasso a punta
uccisi uno smoking e glielo rubai
e al dio della Scala non credere mai.

Robbie Fowler ha l’Inghilterra ai suoi piedi. Dopo quei cinque gol contro il Fulham guadagna ovviamente il posto in squadra. Segnerà 18 gol in stagione, top scorer per il Liverpool. Nei tre anni successivi scollinerà sempre oltre quota 30 reti in stagione, e solo Alan Shearer sarà in grado di superarlo ogni singolo anno nella classifica marcatori della Premier League.

Ma non è tutto rose e fiori. La nascita della Premier League (sulle ceneri della vecchia First Division) e l’accordo conseguente con Sky Sport aveva appena pompato nelle casse dei club una enorme quantità di denaro. Fowler si ritrova dal giorno alla notte un ventenne milionario, uno dei primi casi di giovani giocatori dallo stipendio altissimo. Per sua fortuna Souness lo convoca un giorno nel suo ufficio e lo introduce a un finanziere: “ora non devi pensare ai soldi ma a giocare a calcio. Lascia che si occupi lui del resto.”

Nessuno però lo può aiutare in faccende come il rapporto coi media, non sono ancora nate le guide al lifestyle da tenere per una figura pubblica come il calciatore. Fowler è il solito ragazzo delle case popolari di Liverpool di quando ancora viveva lì: amato dai suoi compaesani che lo portano a spalla per le vie della città, guascone che trova in Steve McManaman una spalla perfetta con cui vivere la giovinezza, schietto e imprudente come solo i ragazzi del Merseyside povero possono essere.

È proprio lui a parlarne in questi toni: “Io ero un piccolo ragazzo sbarazzino e senza peli sulla lingua, che giocava a calcio ogni sera e si divertiva con i suoi compagni. Da un giorno a quell’altro, letteralmente, è arrivata la notorietà. Null’altro era cambiato, neanche come mangiavo il mio riso fritto speciale avvolto nel giornale. Non è strano pensare come abbia avuto problemi ad avere a che fare con la fama. Ogni cosa che facevo mi faceva diventare un po’ più famoso. Non mi sono mai fermato a rifletterci su, o a pensare dove stessi andando e come reagire. Ho reagito come ho sempre fatto: istintivamente, sfrontatamente, a volte in maniera stupida. Ho fatto molti sbagli, lo so bene, e durante la mia carriera le luci della ribalta sono diventate ancora più forti sui calciatori. Devi essere ancora di più un esempio da seguire, maturo e professionale, anche se sei un ragazzo sbarazzino che viene dalle case popolari e ha sempre pensato al football prima della scuola.”

I media inglesi iniziano presto a prendersela con il nucleo di giovani calciatori molto ricchi del Liverpool: Fowler, McManaman, Redknapp, James. Li chiamano Spice Boys visto il rumor della relazione tra Robbie e una delle Spice Girls. Ma le prestazioni in campionato non eccelse del Liverpool fanno presto diventare il nomignolo una denigrazione dei giocatori e dei loro comportamenti. Arrivano in completi Armani color crema per la finale di FA Cup del ’96, persa contro lo United. Durante la campagna per Euro ’96 l’aggiunta di Paul Gascoigne fa esplodere la situazione e le successive polemiche. Prima la famosa esultanza della “dentist’s chair”, a cui Fowler e McManaman partecipano, che ricorda un gioco alcolico fatto in ritiro qualche giorno prima. Poi la volta in cui danzano in camicia da notte dietro Jack Charlton e Bob Wilson in diretta televisiva dal ritiro della Nazionale.

Fowler non ha mai accettato queste critiche accanite. Riconosce di aver compiuto degli errori, e di non aver capito quando doveva magari essere un po’ più contenuto nei suoi comportamenti. Ma non ha mai voluto far del male a nessuno, e ha risposto per le rime sempre e solo quando offeso in prima istanza. E a un certo punto, quando tutti dai media agli allenatori iniziano a fargli la morale su come dovrebbe comportarsi, inizia a spazientirsi. Insomma, ha battuto il record di Rush segnando 100 gol per il Liverpool in sole 165 partite. Ha segnato più di trenta gol in 3 stagioni consecutive. Tutto gli si poteva dire tranne che non tenesse alla maglia e non facesse il suo lavoro. Sbuca di nuovo fuori il ragazzo sfrontato di Toxtenth che se attaccato non risparmia la sagacia.

La stagione 97-98 vede la rottura del crociato anteriore sinistro di Fowler, che così salterà anche i Mondiali di Francia e giocherà solo 20 partite nell’anno. Al Liverpool invece arrivano due persone destinate in modi diversi a bloccare il suo cammino con i Reds: Michael Owen e Gerard Houllier. Il primo arriva dalle giovanili come lui, e come lui inizia facendo subito faville. La Kop lo nomina subito “Saint Michael”, perché per loro il ruolo di Dio era già occupato. Houllier invece lo vede come un grosso problema più che come una risorsa, e inizia a metterlo in panchina anche quando si riprende.

Fowler guarisce definitivamente alla fine del 1998. L’inizio dell’anno successivo vede il suo centesimo gol in Premier League, in una partita contro il Southampton. Da lì però è un crescendo di problemi. Il 27 febbraio è il giorno dello scontro con Graeme Le Saux. Fowler dice di aver reagito alle continue gomitate che il difensore del Chelsea gli tirava dal primo minuto. Le Saux impazzisce quando Fowler gli mostra le terga dopo avergli dato del “frocio” per l’ennesima volta, e poco dopo gli tira una gomitata questa volta molto evidente che stende in terra l’attaccante del Liverpool.

Un mese dopo c’è il derby con l’Everton. I compagni di squadra di Fowler raccontano che Robbie era subissato dai tifosi dei Toffees con questa storia che lui fosse uno che si drogasse. Se c’è una cosa su cui Fowler non ama scherzare è la droga. Figurarsi se sniffava o si faceva di eroina, lui che sapeva benissimo che effetto faceva alla gente. Lo considera un insulto a lui e alla sua famiglia. Ma nulla, i tifosi dell’Everton continuavano imperterriti a urlarglielo in campo o in giro, e arrivarono a scrivere a grosse lettere sulla casa della madre “smackhead”, che è un modo di chiamare chi si fa di eroina regolarmente.

Il 3 aprile del 1999 si gioca Liverpool-Everton ad Anfield. Al 13′ Fowler va a battere un rigore conquistato dai Reds. Segna sotto la curva ospite. Si avvicina alla riga di fondo, si piega in ginocchio e inizia a far finta di sniffare la riga del campo. I tifosi dell’Everton esplodono, Houllier in conferenza stampa cercherà di inventare una scusa talmente stupida che non ci crede neanche lui mentre la dice. Tutti i giornali attaccano Fowler, mentre la FA decide di multare il giocatore con sei giornate di squalifica per la combinata Le Saux-cocaina e una multa di 30.000 pound.

Nessuno sa spiegarsi come possa venire in mente di rispondere alle accuse di usare stupefacenti simulandone l’utilizzo sulla riga di fondo di un campo da calcio. Fowler dice che voleva dimostrare come non potesse essere uno smackhead viste le prestazioni in campo, e che più loro avessero continuato più lui avrebbe risposto. Avrebbe risposto perché per lui che viene da Toxtenth non esiste che si possa scherzare su una cosa del genere. Perché lì non c’è solo la sua famiglia che viene sottoposta a pressioni ogni santo giorno, ma perché ce ne sono centinaia di famiglie uguali con gli stessi ideali e la stessa bontà della sua che siccome vengono da lì allora devono essere per forza criminali e drogati. Il ragazzo delle case popolari sfrontato e senza peli sulla lingua non ci sta e risponde per le rime.

È la goccia che fa traboccare il vaso. Houllier nell’estate del ’99 acquista Emile Heskey dal Leicester che diventa subito il partner d’attacco titolare con Owen. Fowler viene declassato a prima riserva viste anche le due operazioni alla caviglia a cui viene sottoposto. Gioca poche partite e quasi tutte da subentrato. Nel dicembre 2000 arriva una prima offerta di 12 milioni di sterline dal Chelsea, e Houllier la accetta subito nonostante le proteste della Kop. Ma Fowler rifiuta. Fa bene, perché questo sarà l’anno del treble con la vittoria in Coppa UEFA, FA Cup e Coppa di Lega. Sarà anche capitano vista la mancanza di Redknapp e segnerà 17 gol. Ma all’inizio della nuova stagione litiga con Phil Thompson, assistente allenatore di Houllier, e viene messo in panchina per la Charity Shield. Dopo un mese viene venduto al Leeds per 11 milioni, e stavolta Fowler non può fare altro che accettare. La Kop insorge, Dio non può lasciare Anfield. E invece è tutto vero, dopo 330 presenze e 171 gol Robbie Fowler viene venduto dal Liverpool.

Hanno avuto ragione loro, il Dio della Scala e quello degli inglesi di cui non ci si deve fidare.

E a un Dio a lieto fine non credere mai

Poi tornammo in Brianza per l’apertura
della caccia al bisonte
ci fecero l’esame dell’alito e delle urine
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso
“Per la caccia al bisonte” – disse – “il numero è chiuso”
e a un dio a lieto fine non credere mai.

A Istanbul nel 2005 il Liverpool vince una della finali di Champions League più incredibili della storia alle spese di un Milan fortissimo che aveva buttato fuori sonoramente il Manchester United. Nella curva dei Reds allo Stadio Olimpico Ataturk c’è un uomo che ha appena compiuto trent’anni, tifosissimo del Liverpool nonostante da ragazzino il suo idolo giocava nell’Everton.

Robbie Fowler segue la partita e i festeggiamenti come un tifoso Reds qualsiasi. Ovviamente è estasiato dalla vittoria, ma anche un po’ dispiaciuto. Sente che se le circostanze fossero state altre, se gli allenatori fossero stati diversi, se lui fosse stato più pronto a gestire la situazione quella coppa l’avrebbe festeggiata in campo.

Qualche sera dopo è in un pub di Liverpool con Steve McManaman. Un paio di posti più in là al bancone c’è nientemeno che Rafa Benitez. Si salutano, si scambiano opinioni sulla partita. Robbie racconta al manager del Liverpool dove ha visto la partita e i suoi sentimenti. Nasce un’idea. Otto mesi dopo, Robbie Fowler parcheggia la sua macchina fuori da Anfield. Non ci crede ancora ma Benitez gli sta offrendo un contratto. Sarà di nuovo un giocatore del Liverpool, in trasferimento gratuito dal Manchester City. La maglia numero 9 non è disponibile ma alla Kop non interessa. Dio è tornato a casa.

Il nuovo esordio con i Reds è fissato contro il Birmingham. Entra a mezz’ora dalla fine sul risultato di 1-1. Pochi minuti dopo un lancio lungo un po’ casuale riesce a far arrivare il pallone in area dalle sue parti. Robbie è acciaccato e in evidente declino fisico, ma è sempre un goleador di razza. Si coordina e colpisce la sfera in rovesciata. Segna di nuovo per i Reds. Ma il guardalinee alza la bandierina e nega tutta l’epicità del suo ritorno in campo.

Il suo secondo stint a Liverpool è una serie di lieto fine che non si avverano. Non può giocare la FA Cup vinta dai Reds nel 2006 perché ha fatto una presenza nella competizione col City. I problemi fisici lo limitano ancora, e dopo una fine stagione con cinque gol in sei partite nell’annata successiva fa solo 3 gol in campionato, tutti rigori tirati contro lo Sheffield United. Benitez lo aiuta come può, ma non può far altro che inserirlo per pochi minuti alla fine delle partite. Dio non è più onnipotente ad Anfield.

Così succede anche al 118′ della semifinale di Champions League contro il Chelsea. Fowler entra per tirare i rigori. È segnato come il quinto e ultimo ad andare sul dischetto. Ma non ci arriverà mai, visto che il Chelsea sbaglia due tiri su quattro e il Liverpool nessuno. Allora magari, per l’ultima volta, Robbie Fowler potrà essere l’eroe, il Dio della Kop, nella partita contro il Milan. Il rematch della finale di due anni prima. E invece no, Benitez non lo porta neanche in panchina e il Liverpool perderà 2-1. L’ultima partita di Fowler a Liverpool è il 13 maggio 2007 contro il Charlton Athletic, con una standing ovation di Anfield al momento della sostituzione mai sentita prima.

È proprio vero che a un Dio a lieto fine non devi credere mai.

42,353FansMi piace

LEGGI E COMMENTA

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Articoli Correlati

Condividi: