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giovedì 21 Novembre 2024
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La compostezza di Frank Lampard

4 ' di letturaLa compostezza è una virtù per pochi. La precisione nell’assumere gli atteggiamenti corretti e rispettare tutto l’ambiente circostante con la propria educazione e professionalità equivale ad essere composti, dunque ad interpretare la compostezza in ogni situazione. La compostezza è la precisione, il controllo palla perfetto, i movimenti da campione, i tocchi al pallone, le azioni visionarie, i tiri precisi da fuori area. La compostezza è non uscire mai fuori dal rettangolo verde come un essere umano odiato, è provare ad entusiasmare la gente in silenzio, è rimanerci dentro al rettangolo, con semplicità, a testa alta, in ogni dove, in ogni occasione. Significa rispettare l’avversario, che non è avversario, ma soltanto un personaggio che si contrappone a te per ottenere qualcosa, sia questa un’emozione, una vittoria, un punto o un trofeo. E dunque anche l’avversario è amico, è qualcuno da superare con le proprie abilità, non un nemico.

2008 – Un’esultanza del campione

La compostezza è ricevere applausi, complimenti, congratulazioni, strette di mano, abbracci e consigli rimanendo tali. Seri, ma anche sorridenti. Perché la compostezza è anche sorriso, spontaneità. Come le esultanze a braccia aperte, o quelle in gruppo con i compagni. Essere composti vuol dire essere felici, soddisfatti, anche nelle notti di maggio in qui sei lontano da casa e la pioggia è battente e ti leva la vista. Sapersi adattare alla pioggia che cade pesantemente sul campo e non scivolare vuol dire essere composti. Prendere in mano la propria squadra in finale e rassicurarla, come i padri con i figli che hanno bisogno di un aiuto. L’uomo composto è così, affettivo, passionale, amorevole.

L’uomo con queste caratteristiche è riconoscente, è umile. Piange. Piange quando la sua dedizione e il suo lavoro costante, i suoi allenamenti, i suoi giorni passati a studiare, sperimentare, correre, saltare e tirare lo portano a qualcosa di diverso dal solito. Che può essere anche uno dei tanti gol che ha già segnato, o un passaggio normale come gli altri, che può sembrare anche banale, ma che in realtà non lo è affatto. Perché tutti prima o poi possono imparare a segnare, tutti possono iniziare a palleggiare e credere di poter investire il proprio futuro nel pallone. Tutti possono pensare di diventare calciatori se hanno un po’ di fortuna e qualche abilità in fase difensiva o in fase offensiva oppure tra i pali della porta. Ma solo gli uomini composti, un giorno, saranno campioni. E non semplici calciatori, che è diverso.

2008 – Il campione che consola il suo capitano

I campioni, come dicevamo prima, piangono. Sono pazienti, resilienti e concreti. Non sono per forza gli uomini che nelle partite decisive ti cambiano il corso degli eventi con una tripletta ed un assist. possono anche non segnare, possono anche vederci meno rispetto al solito, ma non significa che non siano presenti. Il campione lo è nello spirito, nell’abbraccio al proprio capitano dopo l’errore più grande della sua carriera, nell’accettazione del fatto di essere stato sconfitto. Lo è nel riprovarci qualche tempo dopo e vincere, vincere con la stessa squadra con cui si è caduti. Perché per il campione non c’è cosa migliore di riprendere in mano le situazioni che gli appartengono, di rendere grazie a chi gli ha permesso di diventare un soggetto amato dentro e fuori dal campo, un uomo incontestabile per certi versi, quello di cui non vorresti mai fare a meno.

Però a volte può succedere che dei campioni ci si privi. Così, senza un reale motivo o necessità. Succede quando il tempo vuole far credere a tutti quanti che il campione sia diventato “vecchio”. Quando il tempo vuole sottolineare il fatto che neanche i campioni sono eterni, purtroppo. E quindi che fa una volta capito tutto questo? Se ne va via, ovviamente. Per non creare polemiche, per non essere un fastidio, per rispettare la decisione di chi decide determinate cose, anche se queste cose possano sembrare le più strane. Ma il campione non ci pensa, prende la valigia e se ne va ringraziando.

2014 – Il campione che non esulta

E poi può anche succedere che questo campione ritrovi chi l’ha abbandonato. Può succedere in un pomeriggio di settembre a pochi minuti dal fischio finale di una partita di campionato, quando il campione trova un pallone e lo calcia in porta e segna. E quindi lo stadio va in subbuglio, tutto lo inseguono, lo cercano, lo vogliono abbracciare, ma lui è fermo mentalmente, perché non può capire cosa ha fatto. Forse l’ha capito, ma anche stavolta è meglio non pensarci. E non si emoziona, anzi fa rabbrividire. Potrebbe sfogare con un semplice gesto il fastidio che quello strano addio gli ha provocato qualche mese prima, ma non lo fa. Perché non porta rancore, ama quella squadra, quei tifosi che lo acclamano in piedi anche se indossa un’altra maglia. E quindi, come al solito, ringrazia.

2019 – Il campione è di nuovo a casa

Ma i campioni non lasciano le cose fuori posto. Devono tornare, devono riprovarci, devono ricominciare in qualche modo a donare emozioni alla propria gente. Anche se non giocano più, anche se adesso siedono in panchina. Che è poi una cosa sensazionale se lo fai nella tua squadra, quella che tante volte hai tirato via dal buio e che ti ha permesso di fare tutto. E non la lasci più, non lo farai. Forse ti manderanno via un giorno, non sarà una tua decisione probabilmente, ma tu, tu, non ti stancherai mai di lei. Come noi, che non abbiamo visto mai un uomo come te.

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