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Materazzi e l’Everton: una storia d’amore con il cartellino rosso.

Ripercorriamo l'avventura di Matrix in Terra d'Albione.

5 ' di lettura

La carriera di ciascun calciatore, dalla più insignificante alla più celebre, passa per tappe interlocutorie. Ed è bello andare a scavare nel passato di coloro che diverranno vincenti, a riscoprirne i momenti di incertezza, le cadute e le risalite, le occasioni perse e le rivincite guadagnate sul campo. In un simile groviglio di storie, quale esempio migliore se non quello di Marco Materazzi e del suo primo tentativo di spiccare il volo nel calcio che conta, proprio in Terra d’Albione.

All’indomani di una stagione memorabile, nella quale si era reso uno degli artefici della promozione nella massima serie del Perugia di Gaucci, il talento leccese desidera cimentarsi in una nuova avventura, un’esperienza che possa segnare la sua consacrazione ai più alti livelli.

Siamo nel cuore della torrida Estate del ’98. A 25 anni suonati, nel pieno della maturità calcistica, Materazzi sbarca a Liverpool, precisamente sulla sponda blu del Mersey River, voluto fortemente da Walter Smith, neo manager dei Toffees. Smith ripone grandi aspettative in quel ragazzone di oltre un metro e novanta, e non ne fa segreto in conferenza stampa.

“A Perugia preferivano cedere il giocatore all’estero piuttosto che a una loro diretta concorrente, così siamo riusciti a prenderlo. Sono felice di poterlo allenare. È un ottimo difensore, aggressivo, bravo nel gioco aereo ed ha ottime qualità nel passaggio. È un giocatore che ha catturato la mia attenzione e penso che si adatterà alla Premiership senza problemi”.

Un giovanissimo Materazzi durante la sua conferenza stampa di presentazione .

Insomma, un grosso attestato di stima, ma anche un carico da novanta in termini di responsabilità. Chissà come avrà vissuto il buon Marco quel momento. Sì, perché un buon biglietto da visita è un’arma a doppio taglio. Materazzi quelle qualità ha dimostrato di averle, ma un conto è sfoggiarle in un ambiente comodo, altra storia è imporsi di fronte a un popolo carico di aspettative, con le pressioni di chi desidera tutto, bene e subito, in un campionato tutt’altro che semplice. Quella in cui approda Materazzi è una Premier League nel pieno della sua metamorfosi, destinata a diventare nel giro di un decennio la vetrina di lusso del calcio europeo. Non è più la patria dell’“hit and run” e dell’“in the box”; all’indomani della sentenza Bosman queste due componenti storiche vanno a miscelarsi ad un flusso di svariati calciatori di valore provenienti da tutta Europa.

Marco si trova davanti ad un campionato ibrido, di difficile interpretazione. Un torneo in cui un difensore non può prescindere dal fare a sportellate con il centravanti di turno, ma nel quale, allo stesso tempo, deve essere abile nei duelli contro quei giocatori ricchi di individualità. Nonostante ciò, in casa Everton sono tutti convinti che Materazzi farà bene. Proviene da una scuola di difensori di assoluta eccellenza, quella italiana; la sua fisicità, mista ad una spiccata cattiveria agonistica, gli avrebbe consentito di reggere l’urto dell’agonismo del calcio inglese. Il fatto che fosse un mancino dotato di buone abilità in fase di impostazione, a differenza della maggioranza dei legnosi centrali britannici, non faceva altro che renderlo un oggetto di pregio che tifosi e addetti ai lavori desiderano vedere al centro della difesa.

Dalle parole ai fatti. Walter Smith sceglie Materazzi quale pedina da affiancare ad un mito di Goodison Park come David Unsworth. La sua esperienza in terra inglese inizia in modo incoraggiante: il centrale italiano disputa delle buone gare, mostrando personalità e temperamento da vendere, oltre alle già decantate qualità tecniche. Al contempo non tardano ad emergere alcuni dei suoi insidiosi lati caratteriali, come l’eccessiva foga agonistica (tendente a divenire furia, se provocato) e la poca lucidità, che talvolta lo inducono a scelte illogiche. Suona un primo campanello d’allarme in casa Toffees: Matrix palesa due difetti che rischiano di dilatarsi a macchia d’olio.

C’è una partita in particolare, una delle primissime, che racchiude l’anticipazione di quella che sarà l’esperienza di Materazzi con la casacca dei Toffees.

È il 23 Settembre del ’98 ed a Goodison Park va in scena Everton-Huddersfield, gara valevole per il secondo turno di League Cup. Marco, come al solito, viene schierato al centro della difesa. I Toffees vanno sotto di un goal ma Olivier Dacourt pareggia i conti. A deciderla è proprio Materazzi, che dà sfoggio della sua vena realizzativa, un vero e proprio marchio di fabbrica del difensore italiano (come dimenticare le incornate con cui trafisse Cech e Barthez ai Mondiali del 2006). Marco si lascia andare in un’esultanza incontenibile, toccando il cielo con le dita, invaso dal calore trasmessogli dai tifosi in festa. L’euforia dà, l’euforia toglie. A metà della ripresa, in preda al nervosismo, il talento leccese rimedia due cartellini gialli in una manciata di minuti e finisce sotto la doccia anzitempo. Il triplice fischio giunge senza drastiche conseguenze: la gioia per la vittoria finale cancella ogni sbavatura.  Ancora non sa che quell’anno, alle docce in anticipo, dovrà farci l’abitudine.

Dopo un avvio promettente, l’Everton si trasforma in una bagnarola in precario equilibrio nel mare tempestoso della Premier. Ha inizio un periodo terrificante. Da Dicembre a Febbraio i Toffees non centrano neanche un successo, scivolando in una posizione di classifica tale da spaventare la sponda blu del Mersey River e non far altro che accrescere il clima d’astio da parte dei tifosi. Al centro delle critiche non può che finire anche Materazzi, risucchiato nell’occhio del ciclone: i tifosi gli imputano di essere troppo acerbo per giocare a quei livelli, di non aver sufficiente esperienza e curriculum calcistico per vestire la gloriosa casacca dell’Everton. La sua eccessiva foga ed impulsività non passa inosservata, così come l’elevato numero di cartellini collezionato, gialli e rossi, senza gelosia alcuna.

Al termine di un trimestre da far invidia ai migliori horror movies, i Toffees tornano a vedere la luce in fondo al tunnel. A Goodison Park i blu di Liverpool strapazzano il Middlesbrough con un sonoro 5 a 0. Sembra essere la partita del riscatto: i ragazzi di Smith rialzano la testa, e lo fanno proprio davanti a quei supporters ormai disinnamorati, seppur sempre presenti, uniti in un atto di fedeltà verso i colori che amano da una vita. Materazzi contribuisce al successo con una prestazione solida, coronata da una bella rete su calcio di punizione, altro fiore all’occhiello del talento leccese. Sarà la sua ultima gioia in Terra d’Albione.

Contro Marco gioca anche la fortuna. Infatti, alle prestazioni altalenanti della squadra, va ad aggiungersi l’infortunio rimediato contro il Coventry City, che lo condanna a terminare la stagione. Materazzi chiude l’esperienza in Premier League avendo collezionato 27 presenze condite da 4 espulsioni, un vero e proprio record negativo, decisamente troppe se l’obiettivo è quello di consacrarsi nell’olimpo del grande calcio.

Così, all’indomani di un’esperienza poco esaltante, Marco fa rientro in Italia. L’Everton è ben felice di rispedirlo a Perugia, ignara del fatto che, nel giro di pochi anni, quel ragazzone irascibile avrebbe alzato al cielo praticamente qualsiasi trofeo che un calciatore sogni conquistare sul campo. Dal fallimento in Terra d’Albione, un guerriero come lui, trae la forza per risalire la china ed arrivare, questa volta sì, ai vertici del calcio che conta.

Qualche giorno fa, in una diretta Instagram con Sébastien Frey, lo stesso Materazzi è tornato a parlare della sua esperienza in Premier League: Io e Olivier (Dacourt) eravamo stranieri, arrivammo all’Everton quando in Inghilterra avevano appena aperto le frontiere. Ci dicevano che, sino a qualche anno prima, si vedevano pochi calciatori esteri sui campi di calcio. Gli allenamenti erano duri, il nonnismo era all’ordine del giorno, quando andavamo dentro il torello segavamo pure gli alberi. Ci facevamo coraggio l’un con l’altro, uno dovrebbe provare da atleta ad essere straniero, non è semplice.”

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