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martedì 3 Dicembre 2024
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I 5 tradimenti sportivi più clamorosi nella storia della Premier League

7 ' di lettura

Tradimenti nel mondo del calcio: argomento scottante fra i tifosi. Se sei l’idolo di un popolo calcistico, ci sono alcune squadre segnate nella “lista nera” nelle quali non dovresti mai andare a giocare. I cinque protagonisti di questo articolo hanno preferito anteporre le ambizioni personali alla fedeltà verso una maglia. Diciamo che le reazioni di tifosi ed ex compagni non sempre sono state delle più comprensive.
ÉRIC CANTONA, DAL LEEDS ALLO UNITED PER FARE UN FAVORE AL MANAGER DEL… LEEDS

Nell’autunno del 1992, dopo circa un anno solare a cavallo fra due diverse stagioni al Leeds, Cantona è già leader carismatico e tecnico della squadra. Ha fatto in tempo a condurre i whites alla vittoria del terzo e ultimo campionato della loro storia, oltre che di una Charity sheild, nella quale è trascinatore con una tripletta al Liverpool. I tifosi se ne innamorano praticamente da subito, c’è però un problema, ovvero il carattere tutt’altro che semplice e tranquillo del francese. Proprio per questo motivo, il rapporto con il manager Howard Wilkinson si deteriora, e la cessione del giocatore diventa inevitabile.

Il caso vuole che proprio in quei giorni il Leeds si muova con i dirigenti dello United per riportare Denis Irwin ad Ellan Road, dove il difensore era stato a inizio carriera. Il “no” di Ferguson per il suo giocatore è categorico, ma nel giro di telefonate a un certo punto viene chiesto allo scozzese “ma se tu potessi, prenderesti Cantona?”. “Cavolo, assolutamente sì!” è la risposta incredula di Sir Alex. Wilkinson non ne vuole più sapere del carismatico attaccante d’oltremanica, con il suo acquisto Fergie gli sta facendo un favore. Nasce così una trattativa lampo, dettata dalla necessità di fare in fretta, perché “la folla lo adora, e saremo massacrati”, spiega al telefono l’amministratore delegato del Leeds, Bill Fotherby. Così, in giornata le parti sono già sedute a un tavolo per firmare. “Au revoir”, dunque, con buona pace dei tifosi whites, ovviamente infuriati. Il resto è storia ben nota. A Old Trafford Cantona diventa the king, e aggiunge in bacheca quattro campionati, tre Charity Shields e due FA cups, con 82 gol all’attivo.

SOL CAMPBELL, DAL TOTTENHAM ALL’ARSENAL… AMICI COME PRIMA, VERO?

Da bandiera a traditore. È così che cambia il destino di Sol Campbell quando firma il contratto che lo lega all’Arsenal. Dieci anni al centro della difesa del Tottenham, e prima ancora parte della trafila nelle giovanili. Nell’estate del 2001 il possente difensore inglese è un perno della nazionale, ed è riconosciuto come uno dei migliori interpreti nel suo ruolo a livello europeo. Tutto perfetto, quindi. Quasi, perché il ragazzo è animato da una forte fame di vittorie, e la sola coppa di lega sollevata con gli Spurs, è troppo poco per potersi definire un vincente. Così quando arriva l’offerta dell’Arsenal degli “invincibili” di Wenger, Campbell non se la sente proprio di rifiutare; troppa l’ambizione che lo anima a ottenere il massimo dalla propria carriera.

E in effetti, con i gunners riuscirà a conquistare due campionati e tre coppe di Inghilterra, oltre che sfiorare una Champions sfumata in finale. Non aveva però fatto i conti con i tifosi del Tottenham, che prendono il suo passaggio agli odiati rivali come un vero tradimento personale. Ovviamente ogni volta che Campbell metterà piede dentro White Heart Lane da avversario sarà accolto da un trattamento “speciale” da parte dei suoi ex sostenitori, con tanto di cartelli che lo appellano come “Giuda”. Ancora oggi che è un ex giocatore, e sono passati quasi venti anni dal “fattaccio”, per i tifosi del Tottenham si tratta di una ferita ancora aperta, e l’argomento è ancora dibattuto, tanto che In una intervista del 2018, Campbell si chiedeva “E’ passato così tanto tempo, continueremo a parlarne ancora per i prossimi dieci anni?”. Probabilmente sì.

PETER SCHMEICHEL, DALLO UNITED AL CITY: NEVILLE E QUELLA MANO NEGATA

Semplicemente una leggenda. Schmeichel rappresenta senza dubbio uno dei migliori interpreti del ruolo nella storia del calcio. Nella sua generazione è stato tra i più forti e vincenti numeri uno in assoluto (con lo United cinque campionati, una champions, una super coppa Uefa e quasi una decina di coppe nazionali), e dalle parti di Old Trafford è considerato un monumento… O forse lo era. Già, perché per un tifoso dello United “non puoi giocare per il City, non puoi giocare per il Leeds, non puoi giocare per il Liverpool. E’ scritto sulla pietra”. Parole e musica di Gary Neville.

Riavvolgiamo il nastro. E’ il 9 novembre 2002, a Manchester si gioca l’ultimo derby nel vecchio Maine Road, e nel tunnel che porta all’ingresso in campo avviene il famoso rifiuto di Neville di stringere la mano all’ex compagno Scmheichel. La colpa di quest’ultimo? Essere passato ai nemici del City, of course. Il danese infatti, terminato il proprio ciclo allo United ha continuato a fare ottime cose fra Sporting Lisbona e Aston Villa. Deve aver pensato che, ormai a fine carriera, non sarebbe stata una colpa troppo grande quella di vestire i colori dei cugini. Ma evidentemente non aveva fatto i conti con l’orgoglio dei tifosi di sponda rossa, dei quali Neville è un illustre rappresentante. Tradimento che è diventato un affare di famiglia, visto che nell’ultima stagione della carriera del forte portiere danese, il figlio Kasper – oggi portiere del Leicester – si è affacciato al mondo del grande calcio aggregandosi proprio alle giovanili del City.

CARLOS TEVEZ, DALLO UNITED AL CITY, SENZA RANCORE

L’attaccante argentino si presenta all’Inghilterra in maglia Hammers, e dopo un solo anno viene acquistato dal Manchester United. Con i red devils, non è protagonista assoluto in termini di titolarità e reti segnate, è più una spalla di Rooney e Cristiano Ronaldo, ma in sole due stagioni contribuisce alla vittoria di due campionati, una Champions League, una coppa del mondo per club, una coppa di Lega e una Community Shield. Ma evidentemente a Tevez il ruolo di vice bomber sta stretto, così quando nel 2009 i cugini del City lo ricoprono d’oro mettendolo al centro del loro progetto tecnico, l’argentino accetta senza indugi. Una decisione che non deve essere stata presa benissimo dallo spogliatoio, visto che in un’intervista Rio Ferdinand racconterà di quanto l’Apache in allenamento non si impegnasse mai al massimo.

Oltre all’onta per i tifosi dello United del passaggio ai rivali cittadini, va sottolineato come per gli appassionati più romantici il City rappresenti l’esempio perfetto di squadra con scarsa tradizione di vittorie resa forte dai “petrol dollari” degli emiri del Quatar. In questo senso Tevez è stato identificato come il mercenario per antonomasia. Dal punto di vista personale, per l’argentino il bottino in maglia azzurra è molto più soddisfacente che nell’esperienza allo United, con 73 reti totali in quattro stagioni, per una media quasi perfetta di un gol ogni due partite. Nella personale bacheca riesce ad aggiungere una coppa d’Inghilterra, una Community Sheild, una coppa di Lega e un campionato. Memorabile, durante i festeggiamenti di quest’ultimo, il cartello esposto da Tevez con l’eloquente scritta “Fergie R.I.P.”. Il messaggio è una frecciata all’ex allenatore, che aveva dichiarato che finchè lui sarebbe stato in vita, lo United non sarebbe mai stata la seconda squadra della cità…

CESC FABREGAS, DALL’ ARSENAL AL CHELSEA: UNA PACCA SUL CUORE DI TROPPO

Cresciuto nella prodigiosa cantera del Barcellona, ma diventato uomo e giocatore vero nell’Arsenal, Fabregas è stato uno dei punti di forza dei londinesi per ben otto anni. Studia da mediano alle spalle di Vieira, da cui poi eredita la maglia numero 4 e la leadership del centrocampo, fino a diventare centrocampista totale, principale fonte di gioco dei gunners. Nel 2011, diventato ormai un top player a livello mondiale, si rende conto che la grande squadra che aveva conosciuto a 16 anni non esiste più. Inoltre, non avverte nei compagni la sua stessa voglia di vincere. Non convinto del progetto tecnico della squadra, che stenta a decollare, accetta il corteggiamento del Barcellona. Torna dunque a casa e si toglie diverse soddisfazioni personali, con il dream team di Messi e compagni. Fino a quando, tre anni più tardi – siamo 2014 –  la nostalgia della Premier si fa sentire. La sua priorità è fare ritorno all’Arsenal, ma Wenger, con cui aveva avviato i contatti, non si fa sentire per una settimana.

E qua scatta il “fattore Mou”. Già, perché Fabregas parla con United e City, ma sarà Mourinho – all’epoca manager del Chelsea – a toccare le corde giuste del centrocampista. Il catalano si sente nuovamente al centro di un progetto, ed è conquistato dalle idee del portoghese. Sapevo che avrei avuto problemi con i tifosi dell’Arsenal, ma volevo tornare in Premier”. E infatti i problemi ci saranno. Ai sostenitori dei gunners, in particolare, non va giù il gesto che compie il loro ex beniamino mettendosi la mano sul cuore, in corrispondenza dello stemma del Chelsea (stesso atto di amore che aveva mostrato anni prima, con la casacca rossa e bianca). Proprio in questi mesi, Fabregas è stato protagonista di un battibecco su Twitter con un tifoso dell’Arsenal, che ha rivangato questo episdio, accusando lo spagnolo di “aver gettato il club sotto l’autobus”. “Se pensi che io sia in grado di fare gesti da voltagabbana non conosci affatto me e nemmeno i miei sentimenti nei confronti di tutti voi – la replica piccata del centocampista – In realtà stavo dicendo ai tifosi che saranno sempre nel mio cuore. Loro meritano sempre rispetto”.

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