Dammi la mano. Torniamo indietro insieme. Ecco, affonda comodamente tra i cuscini del divano e socchiudi gli occhi per una manciata di istanti. Li vedi anche tu? Forse dovresti. Sì, lo so: 28 anni sono davvero un mucchio di tempo. Ma se sforzi un po’ la vista ce la fai. Eccoli lì, guarda. Quello biondino si chiama David. Dicono che si muova già con un’eleganza innata in giro per il campo e che abbia un destro telecomandato, anche. I due rossicci, dici? Paul e Nicky. Uno è un fenomeno, l’altro un duro. E poi c’è Gary: un treno che non conosce stazioni. Ha un fratello di nome Phil, che prova a emularlo e a volte ci riesce. E Ryan? Un fottuto folletto che fluttua su quella fascia, tessendo sogni impossibili.
Sì, 28 anni sono un mucchio di tempo. Davvero. Ti ricordi cosa facevi 28 anni fa? Magari non eri ancora nato. Magari eri su questa terra già da un pezzo. Comunque sia, è molto probabile che tu non riesca a fare mente locale: Gesù, chi ce la farebbe? Però, se ti dico Beckham, Scholes, Butt, Giggs ed i fratelli Neville, sono sicuro che il quadro nella tua testa si fa subito nitido. Non ti preoccupare: capita a tutti. E’ solo che la bellezza, quando intride le nostre vite, lascia segni destinati a durare.
Siediti con me, qui, sulle gradinate. Oggi è ancora il 15 maggio 1992 e questi ragazzi – eccetto Phil, che arriverà dopo – stanno vincendo la FA Cup Youth Cup. I primi sorrisi. La vita che deve ancora suonare al campanello di casa stringendo sotto al braccio un mazzo delle carte migliori. Il tutto ancora da fare. Hanno appena sconfitto il Crystal Palace nella finale di ritorno, ad Old Trafford.
Nemmeno il mister delle giovanili, Eric Harrison, potrebbe immaginare quel che sarà in futuro. Come te lo spieghi che questo gruppetto terribile metterà via un treble nel 1998/99? Sono soltanto sei anni dopo. Ma come è cominciato tutto? Chiudi ancora di più gli occhi e concentrati. Siamo al bordo di un campetto dell’Academy, a due passi da Old Trafford. La luce morbida della sera si lavora le tribune. Un uomo dall’aspetto imperioso dirige una partitella: si chiama Alex Ferguson e vuole che i ragazzi della prima squadra si diano da fare. Per questo ha invitato una formazione delle giovanili. Nel 1992, già: i ragazzini fanno a pezzi i titolari dei Red Devils imponendosi 4-2.
Guardali anche te. Guarda gli occhi del manager scozzese che brillano, mentre pensa che una manciata di loro è già pronta per il grande salto. Certo, i prescelti di quell’annata miracolosa non faranno prigionieri. Non conosceranno compromessi.
Così gente come Robbie Savage e Raphael Burke farà bene, ma non verrà mai ascritta allo status di leggenda del Man Utd. Lee Sharpe non riuscirà a superare la concorrenza del mago gallese, che eroderà il suo ruolo fino a strapparlo via. Il sacrificio di sangue imposto dagli Dèi del calcio per consegnarti la gloria imperitura. I Fergie’s Fledglings, la generazione precedente, verrà compromessa in modo irreversibile dall’ascesa di Scholesy e compagni.
Keith Gillespie segna al debutto contro il Bury: l’ennesimo paragone con Best, l’ennesima piccola stella offuscata da una Supernova che esplode all’improvviso, senza lasciartelo detto dal vicino di casa, grattando via ogni scampolo di certezza.
Perché, vogliamo veramente parlare di Terry Cooke? Sul serio? Dai, apri pure gli occhi adesso e mettiti a cercarlo. L’apice della sua notorietà è inciso in una foto con gli altri membri della classe – quelli che hanno avuto successo – in occasione di un premio assegnato al manager Harrison. Quando i suoi compagni saranno a giocarsi il tetto del mondo, qualche anno dopo, lui si divincolerà tra le fottute sabbie mobili: promozione in seconda serie, ecco il meglio che passa la casa.
Il cerchio si chiude con Adrian Doherty: il ragazzo di Strabane sembra un prodigio. Fergie se lo mette in tasca dopo 15 minuti di provino. Avvicinati a Giggs o Scholes: ti diranno che è stato il giocatore più talentuoso con cui abbiano avuto a che fare. Solo che prima si rompe il legamento crociato: fuori 7 mesi. Poi torna e si infortuna di nuovo: fuori un anno. Quando rientra di nuovo non è più lui: quella fascia diventerà proprietà di Beckham ed Adrian, qualche anno dopo, lascerà tutto per dedicarsi alla sua passione, la musica.
Ma la Class of ’92 non ha rappresentato soltanto un’impensabile deflagrazione di talento calcistico. No: è stata molto più di questo. Ha condensato la voglia di riscatto di una nazione – anche di quelli che non tifavano United – dopo anni passati al rinchiuso, nel perimetro di casa, senza poter prendere aria. Subendo la furia degli Hooligans ed il pugno d’acciaio di Margaret Thatcher.
Così la coppa dei Campioni sollevata sotto il cielo di Barcellona, dopo aver intascato campionato ed FA Cup, assurge a qualcosa di più di un semplice trionfo sportivo: è la rinascita di una generazione che ha finalmente dispiegato le ali, ispirando migliaia di ragazzini, suggerendo coraggio, pompando luce e speranza in camerette infilate dentro quartieri fetidi.
Apri pure gli occhi, ora.
Ma ricorda.
Oltre la paura, dove è difficile arrivare, puoi scorgere una piccola Supernova anche dentro di te: devi solo fidarti e lasciarla esplodere.