In un templio storico quale Goodison Park va in scena Everton-Aston Villa. 63 sono i minuti che bastano a Gabby per lasciare la sua prima zampata nel calcio che conta, con un secco diagonale che trafigge Wright senza possibilità d’appello. I Villans perdono 4-1, ma il giorno dopo i titoli dei giornali sono tutti per lui. Il figlio di Villa Park debutta, convince e segna, mostrando una promettente miscela di tecnica rapidità e killer instinct. Quel match segna l’inizio della storia d’amore tra Agbonlahor e il popolo del Villa Park. Un rapporto intenso, travagliato, colmo di passione viscerale, ma anche di spaccature tanto profonde quanto il sentimento che li lega.
Tredici stagioni passate a sfrecciare e segnare sotto la Holte End. Bruciante come nei suoi scatti, già l’anno successivo al debutto il figliol prodigo si prende di diritto un posto da titolare nell’undici di Birmingham. È un calciatore poliedrico, nasce prima punta ma le sue doti atletiche e tecniche gli consentono di agire anche come esterno d’attacco, partendo da una zona decentrata del campo e seminando il panico sulla fascia. In quegli anni occorre adattarsi, anche perché in avanti la concorrenza è delle migliori. L’Aston Villa conta una squadra competitiva, in grado di recare spinosi grattacapi anche alle big del campionato. Una rosa che mischia fisicità, tecnica e cattiveria agonistica. La retroguardia parla scandinavo, leggasi Sorensen a difendere i pali e gli esperti Laursen e Mellberg a guidare il roccioso avamposto difensivo. In mezzo al campo a dare le geometrie probabilmente la più bella rappresentazione di Gareth Barry in Premier, Stylian Petrov ed un usurato ma pur sempre valido Patrik Berger. Tra le punte centrali si annoverano giocatori del calibro di Angel, Baros, e Carew, oltre ad un giovanissimo e talentuoso Ashley Young in una primordiale versione da esterno d’attacco.
Gabby deve adattarsi, fungendo da spalla tanto del colombiano quanto del colosso norvegese, andando a formare un temibile trio d’attacco con Young. I meccanismi funzionano eccome: Agbonlahor chiude la stagione da miglior marcatore della squadra.
Il ragazzo esplode e si mostra in tutta la sua potenza in Terra d’Albione. La velocità fulminea lo rende imprendibile nell’attacco degli spazi, mentre la tecnica nell’uno contro uno è sinonimo di imprevedibilità. Per i difensori avversari è un vero e proprio incubo marcarlo. Sì perché Gabby, quando non si impigrisce, è il classico centravanti che non dà punti di riferimento, un antesignano del falso nueve tanto inflazionato in tempi odierni. Non sai mai se può attaccarti centralmente, aggirandoti con una mezza luna e aggredendo lo spazio, oppure puntarti dritto per dritto, con sfacciataggine, conscio delle sue capacità in accelerazione palla al piede. Il suo scatto bruciante diventa celebre in tutta Inghilterra, tanto che la Nike decide ingaggiarlo per girare uno spot assieme ad Aaron Lennon per sponsorizzare le neo-uscite Mercurial Vapor. Un’epica gara di velocità tra due delle frecce più fulminee che abbiano calcato i campi di sua maestà. Una chicca tutta da gustare, in special modo per i nostalgici.
Tredici stagioni in cui all’appello certamente non mancano gol segnati, assist e tante giocate, ma anche una serie indefinita di bravate. Come quando nel 2016, al termine di una stagione conclusasi con l’impietoso bilancio di 17 punti e la conseguente relegazione in Championship, nel giorno stesso in cui il campo aveva decretato la dura sentenza per i Villans, Gabby, nonché capitano della squadra, viene pizzicato a divertirsi ad un festino a luci rosse in un noto hotel di Londra. Uno smacco troppo grosso per l’intero popolo di Villa Park, sbeffeggiato e tradito nell’orgoglio dal suo condottiero. Dopo essere stato pesantemente multato e messo fuori rosa, Agbonlahor decide di rassegnare le sue dimissioni da capitano dei Villans.
Sa anche lui di aver esagerato, pertanto si riscopre figlio di quella Birmingham operaia, ed inizia a lavorare a testa bassa con l’Under 23, cercando di riguadagnarsi una chance, ma soprattutto il rispetto della sua gente, per ritrovare l’amore perduto. Col passare dei mesi, la non rosea situazione del club in Championship fa sì che per Gabby inizino a riaprirsi le porte della prima squadra. Tante dure panchine tra gli sguardi di ghiaccio della gente, poi, come nei più classico dei romanzi, piove dal cielo l’occasione per riprendersi tutto ciò che aveva gettato al vento.
Al Villa Park non si gioca una partita qualsiasi: va in scena il derby di Birmingham. Descrivere l’atmosfera di un derby è inutile, anzi, riduttivo. Per capirla occorre necessariamente viverlo. Gabby è ormai un calciatore esperto ed un puro cuore villans: sa cosa significhi giocare una gara del genere, ma soprattutto sa come deciderle. È forse questo che spinge Steve Bruce, in una fase di stallo del match, a voltarsi verso la panchina e decidere di farlo entrare. Talvolta l’istinto ed il sesto senso contano più di ogni altra cosa. Pochi minuti dopo il suo ingresso viene assegnato un calcio d’angolo ai Villans. Dopo un rocambolesco rimpallo in area di rigore, a mettere il fisico davanti a tutti e scagliare la palla in rete è proprio Gabby. Villa Park esplode in un ruggito di rabbia e liberazione. Emblematica è la sua corsa liberatoria sotto la Holte End, quasi a chiedere perdono. La frattura viene ricomposta sul campo, è l’ultimo tassello di un mosaico di rara bellezza e verità.
Forse anche per questo, a soli 32 anni, inaspettatamente, Agbonlahor si ritira dal calcio giocato. Un vero peccato, perché un talento simile è sempre in grado di accendere di bellezza le pupille degli spettatori, anche se con qualche chilo di troppo o con qualche bravata all’attivo.