“Colui che tradisce camminerà per sempre solo”. Parola dei tifosi del Liverpool, che rivisitando il celebre inno “you’ll never walk alone”, con questo striscione esposto a Stamford Bridge accoglievano il loro ex beniamino Fernando Torres, dopo il suo passaggio al Chelsea.
ALAN SMITH, IL FIGLIO DI LEEDS CHE ABBANDONO’ LA NAVE UNA VOLTA AFFONDATA
Un amore così profondo richiede anni per guarire, a volte non lo fa mai. Quando l’amore si rompe, per alcuni non si può tornare indietro. Nessun perdono, nessun attenuamento del disprezzo e del dolore. Con il passare degli anni potremmo forse considerare se questo sentimento è sproporzionato, ma ormai sarà troppo tardi. Pochi giocatori del Leeds hanno diviso l’opinione pubblica come Alan Smith. Sui social, nelle piazze e nei pub, per giorni, per mesi, si sono protratte accese le discussioni sul tradimento del figliol prodigo. Lui, nato a una decina di chilometri da Ellan Road, esordiente a 18 anni in prima squadra e trascinatore dell’ultimo grande Leeds proatgonista in Inghilterra e in Europa. Quando nel 2004 arriva l’offerta del Manchester United per acquistarlo, i Whites sono una società con l’acqua alla gola, retrocessa in Championship e sommersa dai debiti. Dai tempi delle scorribande in Champions League con i vari Viduka, Kewell, Ferdinad e compagnia cantante sono passati appena tre anni, ma sembra un’eternità. Tutti i campioni in rosa sono stati venduti per cercare di dare respiro alle casse sociatarie. Soltanto lui, Alan Smith, è rimasto fedele come un capitano che non abbandona la nave che affonda. Solamente a retrocessione certificata dal campo, la mezza punta ammette in conferenza stampa di non sentirsi un giocatore di seconda serie. Gli scherzi del destino: una sola squadra è disposta a sborsare in unica soluzione i 10 milioni di sterline necessari all’acquisto del platinato giocatore, e indispensabili al club dello Yorkshire per sopravvivere. Proprio quello United arci rivale del Leeds. E pazienza se uno Smith ancora teenager in una della prime interviste della carriera aveva giurato che mai avrebbe giocato in futuro per quella squadra. La sensazione è che questa mezza punta tecnica e veloce abbia già espresso il suo massimo potenziale. Dopo una prima stagione discreta con i Red Devils, Sir Alex Ferguson lo reinventa centrocampista centrale con buoni risultati, prima che una terribile frattura alla caviglia nel 2006 ne comprometta in modo irreversibile il rendimento futuro.
ASHLEY COLE, QUANDO LA FAME DI VITTORIE SUPERA LA FEDELTA’ ALLA SQUADRA CHE TI HA LANCIATO
Il suo passaggio dall’Arsenal al Chelsea nell’estate del 2006 mise la parola “fine” a quella che fu una vera e propria telenovela di calciomercato. Ashley Cole, prodotto del settore giovanile dei Gunners, si era affermato nei primi anni 2000 come uno dei giovani difensori più promettenti nel panorama europeo. In un primo momento da riserva di Silvinho, poi da titolare, ha fatto parte del cosidetto Arsenal degli Invincibili. Diventato un perno anche della nazionale inglese, nel gennaio del 2005 inizia il corteggiamento nei suoi confronti da parte dei Blues. Avviene un incontro fra il terzino, il suo procuratore, Mourinho e il super agente Zahavi. Il tutto alle spalle dell’Arsenal. La vicenda porta a una multa in denaro al giocatore, allo Special One e al Chelsea, che viene anche penalizzato di tre punti in classifica. I rapporti fra Cole e la dirigenza dei Gunners sono ormai compromessi in modo irreparabile. Al calciatore viene prolungato il contratto per un solo anno, a cifre ben inferiori rispetto a quanto percepisce un top player. E’ lo strappo definitivo. Cole disputa il suo ultimo anno in maglia rossa, e, dopo ulteriori tira e molla sulle cifre del trasferimento, i due club si accordano per uno scambio con Gallas, più 5 milioni di sterline all’Arsenal. I tifosi Gunners reagiscono malissimo, inventano il soprannome “Cashley”, e alla prima da avversario accolgono il loro ex beniamino con un lancio di banconote da 20 sterline false. In alcune interviste degli anni successivi, Cole ha chiarito che la motivazione principale del suo cambio di maglia è stata l’ambizione di vincere trofei a livello europeo. L’Arsenal era in fase calante, mentre il Chelsea di Abramovich si stava affermando come una potenza in grado di dire la sua anche in campo internazionale. In effetti, il difensore alla corte dei Blues riesce ad alzare al cielo una Champions League e una coppa Uefa, anche se recentemente ai microfoni di Sky UK ha ammesso le sue colpe all’epoca del fattaccio. “Sono stato testardo – ha dichiarato – Ero giovane, stupido e ingenuo. Avrei dovuto affrontare la cosa con lucidità a quel tempo”.
GARETH BARRY, LA BANDIERA DI BIRMINGHAM AMMAINATA DAL VENTO DEGLI SCEICCHI
Questo ragazzo prodigio cresce nelle giovanili del Brighton, prima di essere prelevato a 16 anni dall’Aston Villa. A Birmingham il giovane si mette in mostra come giocatore completo, in grado di giocare efficacemente tanto sulla fascia sinistra quanto in mezo al campo, grazie all’abilità negli assist unita alla potenza fisica adatta all’interdizione. In maglia claret stabilisce una serie di primati: nel 2007 diviene il giocatore più giovane a raggiungere le 300 presenze in Premier (superato Lampard), mentre l’anno successivo è il recordman per presenze con i Villans, con quasi 400 gettoni all’età di 27 anni. Barry è decisivo in campo, e grazie al suo carisma è un punto di riferimento per compagni e tifosi. L’amore fra il centrocampista e il Villa inizia a scricchiolare quando nel maggio del 2008 il Liverpool avanza due offerte per il centrocampista, entrambe però respinte al mittente. Barry, al contrario, manifesta apertamente il suo desiderio di trasferirsi ad Anfield. Ne nasce un braccio di ferro che porta il giocatore a rimanere a Birmingham, privato della fascia da capitano. Il rapporto è ormai compromesso, e il cambio di maglia arriva l’anno dopo. E’ il Manchester City ad aggiudicarsi le presazioni del giocatore. Operazione che suscita l’ira e le critiche dei supporters Villans, che vedono traditi i loro sentimenti verso quella che ormai era a tutti gli effetti una bandiera. Barry – diventato nemico pubblico numero uno da quelle parti – esprime in una lettera aperta tutta la gratitudine per il supporto e l’affetto ricevuto, ma sottolinea la sua volontà di giocare la Champions League, cosa che nella ex squadra non sarebbe stata possibile. A poco serve, i suoi vecchi tifosi vedono solo mancata riconoscenza, a fronte di uno stipendio – quello assicurato dallo sceicco Mansour – decisamente più alto di quello percepito al Villa. Come dire… punti di vista.
EMMANUEL ADEBAYOR E L’ARSENAL, STORIA DI GOL, FRASI FORTI, RANCORE E VENDETTA
Questo girovago del calcio (ha giocato anche in Francia, Spagna, Turchia e Paraguay) ha fatto vedere le cose migliori in carriera in Premier League, con le maglie di Arsenal, Manchester City e Tottenham. Arrivato dal Monaco alla Corte di Wenger nel gennaio 2006, dopo un anno e mezzo di assestamento come apprendista di Henry, vive un’annata molto prolifica dopo il trasferimento di Titì al Barcellona. Grazie a 24 reti in campionato e 30 totali in stagione diviene idolo assoluto del vecchio Highbury. La stagione successiva la media realizzativa del togolese è inferiore, ma pur sempre discreta, così i suoi tifosi lo continuano a sostenere, anche perché segna praticamente sempre agli acerrimi rivali del Tottenham. Ecco che però nell’estate del 2009 arriva la doccia fredda: l’Arsenal ha venduto Adebayor al Manchester City per 25 milioni di sterline. Sono i primi anni del City degli sceicchi, che senza badare a spese acquista in giro per i maggiori campionati. I sostenitori dei Gunners si sentono traditi, e senza pensarci due volte accusano l’attaccante di essere un mercenario, un venduto che rincorre i soldi. Il bomber non migliora la sua posizione quando alla presentazione con il nuovo club definisce quelli dell’Arsenal tifosi non veri, pronti a cambiare squadra in caso di scarsi risultati sportivi. E si arriva così al famoso fattaccio, quando Adebayor doppo un gol segnato proprio contrro i Gunners, corre ad esultare in faccia agli ex supporters, in risposta ai cori offensivi ricevuti per tutto il match. “Sono stato maltrattato senza motivo dalla gente che sei mesi prima cantava il mio nome – sarà la spiegazione del togolese a bocce ferme – Ho voluto mostrare loro che non è una buona idea mettersi contro di me. E’ arrivata un’offerta per me, e, da quel che ho capito, Wenger e il club l’hanno accettata. La mia partenza non è stata colpa mia, ma di Wenger”.
FERNANDO TORRES, IL PARADOSSO DEL TORERO FRAGILE
Quando nel 2007 sbarca al Liverpool, l’attaccante madrileno è all’apice della carriera, soprattutto dal punto di vista atletico. Lui che basa il suo gioco su velocità e potenza si rivela perfetto per lo stile di gioco della Premier League. Nel suo primo anno in Inghilterra Torres è semplicemente devastante, e per una stagione e mezzo è senza dubbio fra i due/tre migliori centravanti in Europa. C’è solo un problema. I Reds non sono più quelli che fra il 2005 e il 2007 hanno raggiunto due finali di Champions League, vincendone una. La società sta attraversando le delicate fasi del cambio di proprietà a favore degli americani di Boston, e ricostruire in tempi brevi non è possibile. Così, le grandi prestazioni dell’attaccante coincidono con risultati di squadra deludenti. Iniziano i primi acciacchi, in particolare al ginocchio destro. Le presenze di Torres in campo si riducono drasticamente, ma la sua media gol rimane altissima: quando gioca sa ancora bene come si butta la palla dentro. All’inizio del quarto campionato con il Liverpool – è il 2010 – è però evidente a staff e compagni che lo spagnolo è in forte fase calante, a causa dei continui guai muscolari. Per fortuna dei Reds, il Niňo a fine anno realizza una doppietta contro il Chelsea – squadra che per prima aveva “battezzato” appena arrivato in Premier, e a cui ha segnato ben 7 volte – e così Abramovič si convince che quel giocatore deve essere suo. “Quando abbiamo saputo dell’offerta di 50 milioni di sterline, nello spogliatoio non ci potevamo credere – ha affermato l’ex difensore del Liverpool Jamie Carragher alle telecamere di Sky UK– Da 12 mesi Torres era l’ombra di sé stesso. Sapevamo che con quella cessione stavamo prendendo in giro il Chelsea”. I supporters della Kop ovviamente sono insorti alla notizia della partenza del loro beniamino, e non si sono fatti pregare per dare del traditore all’attaccante. La storia ci dice che alla fine l’affare lo hanno fatto tutti: i Reds hanno sostituito Torres con Suarez, mantre il Niňo, seppur da comprimario, ha vinto Champions ed Europa League.