Dietro queste parole è racchiuso un coacervo di sofferenze e difficoltà superate da un ragazzino di colore, cresciuto con la sola madre in un’angusta stamberga nella periferia di Le Havre. Caucriauville è un quartiere nel quale il calcio di strada si mischia indifferentemente a sparatorie e rapine. I bimbi giocano ad una manciata di contrade nelle quali esplodono scontri contro le forze di polizia, e va bene così. Fermare la partita perchè un colpo d’arma da fuoco è passato troppo vicino al campo costruito, spostarsi qualche isolato più in là per riprendere a giocare, da quelle parti, è pura normalità.
In un contesto simile, per forza di cose, si cresce in fretta. Non c’è la possibilità di sognare, se non correndo dietro a un pallone. Tra le centinaia di ragazzini che si agitano in strada, ignari di un destino già scritto, ce n’è uno che corre più veloce degli altri, l’unico in grado di sfuggire dalle tenaglie di una vita intrisa di miseria e delinquenza: il suo nome è Charles N’Zogbia. Per questo tremendo folletto, il talento applicato al calcio si rivela come strada maestra verso la salvezza. I primi anni li passa come tutti i coetanei del suo sobborgo, accarezzando il pallone per i vicoli del suo quartiere, ma nel farlo, è dannatamente più bravo degli altri. A soli nove anni viene casualmente notato da un osservatore del Le Havre: il talento è lampante. Quella rapidità ed il tocco di sinistro, acquisiti sull’asfalto, non glieli toglierà nessuno. Ci sono fondamentali tecnici che con il duro allenamento possono esser migliorati, ma se madre natura decide di donarteli è tutta un’altra storia.
L’entourage del club invita Charles ad unirsi all’Academy, ove avrebbe potuto allenarsi dopo la scuola, levigando quel mancino che pochi anni più tardi avrebbe seminato il panico sulle fascia e tormentato le difese in Terra d’Albione. Le sue doti tecniche erano fuori discussione, ma ciò che preoccupava maggiormente il club era il contesto sociale nel quale quel ragazzo stava crescendo, in special modo le compagnie che andava frequentando. Così, nonostante l’abitazione della madre fosse ad una manciata di chilometri dalla scuola e dal campo di allenamento, il Le Havre offrì la possibilità di far crescere Charles nelle strutture messe a disposizione dalla società per i ragazzi che venivano da fuori. Nessuna madre vorrebbe lasciar andare via un figlio di casa in età prematura, ma quella di Charles, emigrata dal Congo e costretta a distruggersi di lavoro per dar qualcosa da mangiare ai suoi quattro figli, è conscia che quella sia l’unica via per assicurarsi che il suo piccolo (almeno uno) non venga risucchiato da quell’incertezza sociale e dal degrado urbano, che si avvinghiano come le spire di un constrictor sulle aspirazioni giovanili, fino a soffocarle, in maniera irreversibile.
“Nel centro mi insegnarono la disciplina, perché ero un po’ribelle. Ci dissero che non erano assolutamente tollerate le risse. Era una questione di rispetto e di lavoro collettivo, ed è proprio questo senso del rispetto e del lavoro comune che mi ha insegnato il Le Havre. A volte, quando cresci nel ghetto, sei portato a non fidarti di nessuno. Ma a Le Havre era diverso, potevi fidarti di chiunque, chiunque era tuo amico e pensava al tuo bene. Sono stato lì 8 anni e tutti erano felici l’uno per l’altro”.
In un ambiente sereno, lontano dai colpi d’arma da fuoco delle banlieue, Charles può concentrarsi sul campo, accrescere il proprio talento ed imparare cosa significhi comportarsi da professionista. La sua crescita è esponenziale, tanto che le voci sulle doti di quel ragazzino si rincorrono sino aldilà del Canale della Manica. Il Newcastle si fa avanti, vuole assicurarsi le prestazioni di quel talento dal mancino siderale e dalla personalità dirompente. Personalità che non tarda a mostrare anche ai dirigenti delle Magpies, giunti a Le Havre per presentare la loro offerta: “Sono stato nel Le Havre per 8 anni e loro mi stavano chiedendo di firmare un sorta di pre-contratto, qualcosa di simile ad un apprendistato. Io ho solamente detto loro: ‘Se credete in me, mi fate firmare un contratto da professionista, altrimenti sarò felice di andare altrove“.
All’ombra del St James’Park Charles impiega ben poco tempo a mostrare di che pasta sia fatto. Il campo di allenamento svela subito ai compagni la rapidità di quel francesino irriverente, la passione per il dribbling e per la fascia sinistra. Graeme Souness, coach delle Magpies, fin da subito fa affidamento sui colpi del ragazzo, e lo stesso varrà per i suoi successori. In sei stagioni passate al Newcastle Charles militerà sotto 5 gestioni diverse, tutte accomunate dal ritenerlo un giocatore indispensabile, un talento cristallino al quale è impossibile rinunciare. Le sue scorribande sulla fascia sinistra ben presto divengono tanto celebri quanto temute. Il francese mette in mostra una prestanza fisica che sprigiona in percussioni tambureggianti. Avanza con la palla al piede con l’inarrestabile forza di un trattore, con la linea della fascia sinistra al suo fianco, fedele compagna da render sovente terra bruciata. Non è imprevedibile, ma semplicemente inarrestabile: il difensore di turno sapeva benissimo che sarebbe andato sul sinistro per crossare dal fondo, si preparava ottimamente col corpo per contrastarlo e scippargli il pallone, ma poi, alla fine… non lo prendeva mai. Charles spostava sempre il pallone una frazione di secondo prima dell’intervento, e quell’attimo fuggente… si chiama talento.
Col trascorrere delle stagioni N’Zogbia viene sempre più plasmato nell’ala ideale , il perfetto scudiero di qualsiasi centravanti d’area. I suoi cross sono palloni educati, da serata di gala, vestiti che si cuciono perfettamente anche addosso ad attaccanti che non fanno dell’essere cecchini infallibili la loro qualità principale… Se a crossare è Charles è tutto più semplice. La crescita esponenziale del francese, unita alle incomprensioni con il coach Kinnear (che gli contesta un eccesso di indolenza), accendono le sirene di un club che punta tutto sui giovani: è il Wigan Athletic di Roberto Martinez.
Sotto la guida del tecnico ispanico N’Zogbia arricchisce il proprio repertorio. Martinez crede tanto nelle qualità in fase offensiva dell’ala francese, tanto da iniziare ad impiegarlo sulla fascia opposta, a piede invertito, convinto che da quella posizione abbia la scelta di pennellare parabole deliziose per i compagni oppure di dar voce al suo sinistro, un cannone che non ha mai sparato a pieno regime verso la porta avversaria. I risultati sono ancor più entusiasmanti: Il talento francese si afferma indiscutibilmente come il trascinatore di una squadra mediocre a due salvezze eroiche. Martinez dirà di lui al termine della stagione: “E’ evidente a tutti il talento di Charles. Lo vedremo presto ai vertici del calcio mondiale, senza ombra di dubbio”
Col senno di poi tali affermazioni suonano come un’iperbole, ma all’epoca non era affatto così. Il talento francese aveva infatti attirato l’interesse di club come il Bayern Monaco, la Juventus ed il Liverpool di Benitez. Alla fine, a spuntarla nella corsa per l’ala francese, è l’Aston Villa. Il glorioso club di Birmingham ha voglia di tornare a fare la voce grossa dopo anni trascorsi nel dimenticatoio: il blocco scandinavo unito al talento di Barry, Petrov Ashley Young, Carew ed Agbonlahor hanno portato nuovamente i Villans a bussare alle porte dell’Europa. Le intenzioni sono delle più ambiziose, proprio come quelle di Charles, tanto che il club stacca una cifra faraonica per portarselo a casa: circa 10,8 milioni di euro.
La favola Villans, che in molti si aspettano, non fiorisce mai. Sin dalla prima stagione le complicazioni sono molte. Persi grandi talenti sul mercato, la squadra vive una stagione nettamente al di sotto delle aspettative. Le ambizioni europee si infrangono ben presto; il team si ritrova invischiato nella lotta per non retrocedere, dalla quale esce per il rotto della cuffia sul finir della stagione. Dalle ceneri di un’annata sfortunata tutti si aspettano un riscatto, una risurrezione dalle ceneri come quella dell’araba fenice: ma questa storia non ha un lieto fine. Il progetto dei Villans entra in un turbinio di mediocrità che attanaglia anche le prestazioni di N’Zogbia. Il talento da tutti ammirato sfrecciare sulla fascia sembra essersi perso definitivamente. A Charles non riesce praticamente più niente, sembra diventato un giocatore normale, a tratti dannoso.
Per il francese inizia una parabola discendente che non culmina con una storia di riscatto. Non c’è un guizzo, un colpo di reni, uno spirito di rivalsa di chi, per sfuggire da un’esistenza cruda, si è dovuto affidare al calcio. La storia di N’Zogbia è la storia di un eterno incompiuto, di un ragazzo che dei fantasmi dei sobborghi di Le Havre non si è mai liberato sino in fondo. In prigione non ci è finito, è pur vero, ma a differenza degli amici di infanzia (il cui destino era tristemente scritto nella miseria) ha forse tradito le aspettative che la Terra d’Albione riponeva in lui.