Il sole timidamente cerca di divincolarsi tra le fessure delle nuvole grigie, ancora un po’ cariche, che da un momento all’altro possono ricominciare a versare quella pioggerellina che irrigherà l’erba più verde che c’è, quella inglese, quella che la natura ha creato per farci rotolare sopra un pallone, per lanciarsi in una scivolata che non sai dove finisce, e che anche per questo viene spesso condotta con entrambi i piedi uniti e piegati a martello. È un giorno qualunque, o forse no, veramente chiamiamo ancora il sabato “un giorno qualunque”? Forse è il caso di rendersene conto, oggi è un giorno speciale, non solo perché si gioca, non solo perché ci si butta nella mischia di un’altra interminabile giornata di campionato, no, oggi la pelle reagisce più sensibilmente alle note della canzone che ascoltiamo, “Here Comes the Sun”, e sta pure provando ad uscire questo pallido sole. Oggi i nervi vibrano più forte del solito, passiamo di lì, non so perché, Penny Lane è tranquilla ma viva, il barbiere all’angolo quasi non si riconosce, l’insegna è offuscata, i vetri sono tutti appannati, è pieno di gente dentro, tutti a mettersi a posto barba e capelli, ma soprattutto, tutti con un’unica meta una volta usciti da lì. La giornata è grigia, anche se questo sole non mollerà tanto facilmente, ma il colore lo prende per forza in una giornata così, è ovvio, prenderà certamente uno di quei due colori, accesi, lucenti e quanto mai iconici. No, tra questi non ci sono il giallo del sottomarino più famoso del mondo né il bianco che ha reso una raccolta di canzoni un autentico mito. I colori sono quelli di chi due volte l’anno, qui, proprio in questa città, si dà da fare per battere l’altro su un prato, quello umido e incredibilmente liscio che solo in due luoghi si può trovare: c’è quello con gli spalti blu tutto intorno e c’è quello che invece riflette solo il colore rosso.
È oggi, è il giorno del derby del Merseyside, il derby di Liverpool. Di storie da raccontare ce ne sono, se non altro perché questa stracittadina è la più antica del calcio inglese, la più antica e, in un certo senso, la più particolare. Di particolare c’è che, pur avendo, come usa per tutti in Gran Bretagna, due stadi di proprietà, lo stadio del Liverpool, quel leggendario Anfield che quando scendi quegli scalini che portano dagli spogliatoi al campo non perde occasione per ricordarci dove ti trovi, è stato inizialmente la casa dell’Everton. I Reds ancora non esistevano, Liverpool era tutta blu prima del 1892, perché l’unica squadra di football in città erano i Toffees, e nello stadio che avrebbe rappresentato un’icona rossa, i primi a giocarci e a poterlo chiamare “home”, sono stati i giocatori e i tifosi dell’Everton. Il problema di Anfield Road, però, era che all’epoca apparteneva alla città di Liverpool, la quale non esitava a batter cassa quando si arrivava al giorno del saldo dell’affitto, un affitto non economico che non faceva per le tasche dei dirigenti dell’Everton. Fu così che, nel pieno dello stile Toffee che di fronte a qualunque problema non fa altro che trovare una soluzione, l’Everton decise di spostarsi a pochi isolati di distanza e costruire un proprio stadio. Quello stadio se lo sarebbe costruito dove voleva, cioè in quella zona, la zona nord di Liverpool dove tutto era nato, dov’era nato il football nel Merseyside. Determinazione, intraprendenza e “politica” della Chiesa metodista della città (l’Everton nasce da una congregazione di questa Chiesa) regalarono alla squadra un nuovo stadio proprio lì vicino a dove la squadra aveva giocato fino ad allora. Da Anfield basta attraversare Stanley Park per pochi isolati e si arriva al Goodison Park. È qui che nasce la rivalità tra le due compagini cittadine, in questi anni della fine dell’Ottocento, quando nel frattempo anche il Liverpool Football Club è venuto alla luce. La rivalità in questione è una di quelle insolite, come insolita ne è stata la nascita, perché tra le tante diatribe cittadine di tutta Europa e di tutto il mondo, quella di Liverpool è forse quella meno violenta, la meno carica d’odio, sia da parte delle due squadre che per quanto riguarda le tifoserie. Attenzione, non stiamo diceendo che Liverpool ed Everton si amano, piuttosto che si fronteggiano rispettandosi, anche se questa sfida la vedono come una vera e propria ragione di vita. Il perché di tutto questo è forse che nella città in cui il colore del mare diventa un tutt’uno con quello del cielo nei giorni di pioggia di ottobre, le sedi delle due società sono vicine, molto vicine, forse anche troppo. Non è come a Birmingham o a Manchester, dove gli stadi delle squadre che si battono per la supremazia cittadina si trovano in quartieri diversi e distanti, a Liverpool c’è solo uno spicchio del prato di Stanley Park, dove la Liverpool dei Toffees si scontra, oppure potremmo dire si fonde, con quella dei Reds, che divide calcisticamente la città. Si tratta di un pezzo di terra molto piccolo, troppo piccolo per due fazioni che hanno un cuore grande che batte per la propria squadra, molto più grande della distanza effettiva che separa la Kop dalla Grand Old Lady.
Video: emozioni a Goodison Park durante i Merseyside derby
La realtà, tuttavia, è una sola, quella che arriva dal campo, quella che ogni anno, in uno o nell’altro stadio, regala emozioni tanto diverse quanto riconoscibili, perché sono le emozioni del Merseyside Derby, quelle che hanno nutrito il cuore di chi è grande e lo è sempre stato, vincendo titoli e trofei, ma anche quelle di chi ha sofferto di più, che ha lottato per giocarsi questa partita anche l’anno seguente. Liverpool ed Everton hanno sempre viaggiato su binari paralleli, e una delle due è sempre stata abituata ad andare più forte dell’altra, ma questa partita le ha sempre viste allo stesso livello, con la cattiveria e l’agonismo che solo un vecchio derby britannico sull’erba bagnata e sotto un cielo grigiastro può tirar fuori.
Video: uno dei gol più belli della storia del derby di Liverpool
La traduzione di tutto questo è un giovane centrocampista con la maglia rossa e sulle spalle il numero 17, numero che su quelle spalle si adagerà per poco tempo e verrà sostituito da un ben più classico e credibile 8, che si libera per il tiro da una posizione estremamente defilata e calcia all’incrocio dei pali opposto con una violenza che regala un brivido istantaneo a chi siede dietro la porta dei Toffees. Quel giovane si chiama Steven Gerrard e quello non sarebbe rimasto l’unico centro contro i cugini; oppure è un australiano che, neanche a farlo apposta, porta lo stesso numero dietro la maglietta, il 17, solo che la maglietta è del colore del cielo sereno e del mare profondo e incontaminato, che prende il tempo a tutti e spunta sul primo palo per gonfiare la rete, grazie anche a te, Tim Cahill. Potremmo elencarne centinaia di emozioni come queste, scriverci un libro, la verità è che questa partita la si aspetta ogni anno, che sia di campionato, di F.A. Cup o di Coppa di Lega, è come se a Liverpool la gente non aspettasse altro, proprio come il merlo più famoso della musica, quello che da Liverpool ha spiccato il volo e non aspettava altro:
“all your life
You were only waiting for this moment to arise
Blackbird fly”
Oggi si gioca il derby, si va in campo a Goodison Park, è sabato, ma la città non è la stessa, è tutto chiuso, non si può passare per Penny lane, neanche per Stanley park. Non si può andare a farci la barba, figuriamoci pensare di andarci in tanti da appannare la vetrina. Non si può andare al pub, non ci è concesso, è tutto chiuso, è chiuso anche lo stadio, o meglio, è chiuso per noi, gli unici che ci possono andare sono i calciatori, nella città serrata e quasi deserta solo le squadre possono muoversi, possono entrare in campo. E allora “Imagine”, proviamo a immaginare, al fischio di inizio, che gli spalti siano gremiti e che le nostre vene siano state scaldate dalla birra di mezz’ora fa, il respiro della gente, le grida, la gioia, la disperazione di chi subisce un gol, lo possiamo fare, possiamo immaginarlo, lo dobbiamo fare perché questa non è una partita normale, questo è il derby del Merseyside.
Città di Liverpool, Buon divertimento!