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venerdì 22 Novembre 2024
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Shaun Wright-Phillips, più veloce anche dei pregiudizi

Soprattutto con la maglia del Manchester City, con cui ha giocato in due epoche societarie diametralmente diverse, il figlio adottivo di Ian Wright ha zittito chi lo aveva etichettato come "raccomandato"

3 ' di letturaDi corsa, sempre, più veloce degli avversari e di tante critiche spesso gratuite.
Non è facile affermarsi nel campo in cui tuo padre è diventato leggenda, tanto più se si chiama Ian Wright, icona del calcio inglese nonché uno dei bomber più prolifici di ogni epoca.
Il grande attaccante, ora opinionista, che fece sognare i fans di Arsenal e Crystal Palace, adottò a 19 anni Shaun, all’epoca un bimbo di tre anni di cui si conoscevano solo le origini caraibiche dei genitori naturali.
Ian forse non pensava che quello scricciolo potesse anche lui diventare un calciatore professionista, eppure quella scheggia alta appena 168 centimetri ha disputato quasi 500 partite ufficiali nel calcio inglese.
Shaun Wright-Phillips ha diviso la sua carriera tra Manchester, sponda City, e Londra, città dov’è nato (a Greenwich, poi cresciuto in zona New Cross Gate) e che lo ha visto in azione con Chelsea e Queens Park Rangers.
Shaun è stato uno dei pochissimi calciatori ad aver vissuto due epoche del Manchester City.
Quella a cavallo del nuovo millennio, dove la permanenza in Premier era l’obiettivo primario, e quella dei fasti e delle esagerazioni moderne.
La sua prima stagione coincise con la retrocessione del 2001, l’ultima dieci anni dopo, all’inizio di un campionato che terminerà con il titolo vinto grazie al celebre gol di Aguero al 92’, partita in cui, ironia del destino, Wright-Phillips era in campo…ma con la maglia del QPR.
Alfa e omega di un’esperienza affettiva oltre che sportiva, con un pianto mai nascosto quando nel 2005 la dirigenza dei citizens, con il permesso del manager Stuart Pearce (subentrato al posto del padre putativo Kevin Keegan), accettò l’offerta stratosferica del Chelsea di José Mourinho.
Wright-Phillips resistette tre anni a Stamford Bridge, in un contesto di alto livello nel quale sì, fece bene quando chiamato in causa, ma con una concorrenza spietata che lo relegò al ruolo di comprimario, facendogli anche perdere il posto con l’Inghilterra per la Coppa del Mondo 2006.
Nell’estate 2009 il ritorno a Manchester dove l’ambiente era ben diverso rispetto a quello lasciato pochi anni prima.
Il City, ora allenato da Mark Hughes, aveva appena l’iniziato la nuova era dei petroldollari, ponendo le basi per i successi che arrivarono con Roberto Mancini; prima la FA Cup e poi il campionato, dopo quarantaquattro anni di digiuno, sofferenza e prese in giro degli odiati cugini dello United.
Come Billy Grimble nel film cult degli anni ’90, per Shaun è meglio l’azzurro che il rosso.
Lo vestiva in uno stadio di provincia come Stockport nel 2001, così come in Europa League contro la Juventus nel 2010, facendo da collante tra due epoche diametralmente opposte, da Weaver-Dickov-Goater a Kompany-David Silva-Yaya Tourè.
Oltre che un’ala veloce, ficcante, duttile (diverse le partite in cui fu sacrificato terzino, specialmente nella gestione Keegan), Shaun ha incarnato quell’attaccamento alla maglia che rappresenta identità e passione, elementi tipici del football anche se, purtroppo, diradati dalle dinamiche dell’era moderna.
Più delusioni che gioie, invece, con la nazionale dove ha toccato il punto più alto giocando due spezzoni di partita nel mondiale sudafricano.
Ne ha fatta di strada Shaun, sotto tutti i punti di vista e, soprattutto, alla faccia dei pregiudizi.

con il Chelsea tra il 2005 ed il 2008 ha totalizzato 128 presenze e 10 gol in tutte le competizioni
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Alberto Emmolo
Alberto Emmolohttp://www.urbone.eu
Classe 1984, travolto da una grande passione per il football fin da bambino, appena possibile vola a Londra per "respirare" calcio, atmosfere e sensazioni. Nel maggio 2019 ha pubblicato il suo primo libro "Hat-trick - i grandi attaccanti della Premier League" (ed. Urbone Publishing)

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