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“Dentro il Cross-Border Derby. Chester vs Wrexham, le radici dell’odio tra ricchi e poveri”

L'acerrima rivalità tra Inghilterra e Galles traslata sul rettangolo verde.

6 ' di letturaIl Cross Border Derby. La chiamano così la sfida tra Wrexham e Chester. A separare le cittadine soltanto 12 Miglia, ma con in mezzo un confine che a livello calcistico, e non solo, conta eccome: quello tra Inghilterra e Galles. Da una parte Chester, ultimo avamposto della civiltà inglese prima di fare ingresso nella arcigna e volgare terra dei dragoni; dall’altra Wrexham, ex polmone industriale e baluardo dell’identità gallese, dello spirito operaio contro il capitalismo esogeno. La rivalità tra i due club, o per meglio dire tra le due cittadine, è un qualcosa che abbraccia la storia, la politica, la concezione della società, un qualcosa che va oltre il campo da gioco: il derby è soltanto una delle violente forme d’espressione di questa dicotomia, la sua sublimazione.

Un’ostilità partita da lontano, ma che raggiunse l’apice della sua brutalità negli anni ’80, con l’esplosione della “casual culture” e la degenerazione del fenomeno Hooligans. Nel 1983 il Wrexham retrocesse nella vecchia Fourth Division, finendo nella stessa lega degli acerrimi rivali. Una lunga serie di violentissimi scontri ebbe luogo a partire dalla prima sfida di campionato. Proprio in quell’occasione, un gruppo di hooligans del Wrexham si infiltrò tra le gradinate del Sealant Stadium, millantando di far parte dei sostenitori dei Blues. Inutile dire che successe il putiferio. Come se non bastasse, anche la poca lungimiranza dei club contribuì ad acuire (se possibile ulteriormente) l’odio tra i due popoli. Nel 1985 venne infatti organizzata una sconsiderata amichevole tra le due compagini, la quale, come era prevedibile, culminò in una vera e propria guerriglia urbana che mise a ferro e fuoco la cittadina. Scontri fuori dallo stadio, ma anche sugli spalti, che degenerarono in un conflitto aperto sul terreno di gioco (ormai invaso dai tifosi), sopito soltanto grazie al fermo intervento della polizia e dei suoi amichevoli cani. Per placare gli scontri che andavano proliferando all’esterno dell’impianto di gioco, furono addirittura necessari i rinforzi degli agenti dalla vicina Crewe. Quel giorno era facile perdere il conto degli autobus carichi di feriti che venivano spediti dritti all’ospedale.

Proprio al fine di ridurre i guai prima del calcio di inizio, il Cross border derby ha guadagnato il triste riconoscimento di primo ed unico “bubble game” nella storia della Non League Football. In soldoni, significa che tutti i supporters della squadra ospite possono acquistare i biglietti a sole 4 ore dal calcio di inizio e devono viaggiare su mezzi di trasporto predefiniti -tendenzialmente pullman messi a disposizione del club- che partono da diversi e specifici punti di raccolta. Il trasporto all’impianto di turno avviene con tanto di scorte della polizia a far da corredo. Molti tifosi però sostengono che la previsione di queste misure abbia contribuito a causare i più incresciosi episodi nei recenti derbies, dal momento che, come dichiarato da un tifoso del Chester a Vice, la sterilità del prepartita forza I tifosi ad esprimere il loro odio reciproco con cori e striscioni piuttosto che facendo a pugni e lanciandosi boccali di birra. In una recente intervista John, fan del Chester, conferma questa tesi, dichiarando ai microfoni: “[The bubble] per me ha rovinato la partita. Ha anche portato a degli spiacevoli, seppur non violenti, incidenti dentro gli stadi”. A ben vedere, negli ultimi anni si è registrato un incremento di episodi infelici- tanto allo storico Racecourse (la casa dei Dragoni sin dal lontano 1872) che al Deva Stadium (nuovo impianto dei Blues) – con soggetti di ambedue le tifoserie coinvolti in vergognosi sberleffi riguardo la morte dei supporters rivali durante gli scontri. Come nel 2013, quando una frangia della tifoseria del Wrexham espose uno striscione che recitava “Come join Lunty in Hell”, riferendosi al povero Danny Lunt, fan del Chester vittima degli scontri. Appena un anno dopo, alcuni tifosi del Chester pensarono di vendicarsi in grande, arrivando a collezionare il record di 30 anni complessivi di “banning orders”, probabilmente un record per un singolo match. I componenti della falange più temuta – ‘The 125s’ – si dilettarono nel rullare i tamburi e nel cantare oscenità durante il minuto di silenzio commemorativo dell’80esimo anniversario del disastro minerario di Gresford, una tragedia costata la vita di 266 uomini in Galles.

Questa è la sanguinosa storia sul campo. Ma è soltanto una parte della storia; è l’estrinsecazione di un odio che ha radici ben più profonde, che possono essere comprese soltanto avendo la fotografia di queste due realtà, tanto diverse nel modo di essere quanto simili nell’odiarsi.

Con i suoi 43 mila abitanti Wrexham è una delle più piccole cittadine ad ospitare un club di Football League. Il piccolo centro crebbe con lo sviluppo industriale, in particolar modo per via della proliferazione di mattonifici, acciaierie ed anche grazie alla Wrexham lager (uno storico birrificio rimasto in attività sino al 2000). Ciascuno di questi centri produttivi fungeva da calamita per gente umile in cerca di un lavoro, la quale, dalle zone limitrofe, confluiva in una cittadina viva e operaia, in rapida via d’espansione. Così, in un contesto proletario, i cui molti sacrifici venivano goduti dalla parte civilizzata del confine, si sviluppa una forte identità territoriale, in contrapposizione al mondo dei tiranni. E cosa può esprimere al meglio un’identità territoriale, un coacervo di valori e simboli, se non una squadra di calcio. Perché il terreno di gioco è l’unico spazio in cui poter fronteggiare “i potenti” ad armi pari, in cui reclamare la propria legittimazione storica. Il campo è il luogo per ripagare il disprezzo di cui è marchiato un popolo che, per questione di nascita, si considera emarginato.

L’orgoglio dei supporters del Wrexham

I 70’s, sportivamente parlando, offrirono al Wrexham fortune a fasi alterne. La compagine disputò ben 4 volte la Coppa delle Coppe e per due volte si spinse addirittura sino ai sedicesimi di FA Cup. Nel frattempo però, il progressivo declino del tessuto economico-industriale cittadino recava con sé effetti socialmente devastanti, ma certamente non in grado di scalfire la fede calcistica di gente dura e pura. Così un fan dei Dragoni racconta di quel periodo in una dichiarazione rilasciata a FourFourTwo “Ricordo che mio padre perse il lavoro, e che volevamo lasciare Wrexham per trovare opportunità altrove, come tutti del resto, ma le quotazioni delle nostre abitazioni crollarono, quindi non potevamo andare da nessuna parte. La vita era tosta, ma papà trovava sempre qualcosa per portarci alla partita”.

Se nasci a Wrexham, o per meglio dire nel North Wales, il sentirsi emarginato fa parte di un portato storico. Non si spiega, è così e basta. Sentirsi l’ultima ruota del carro, quelli sporchi brutti e cattivi. Ma questo senso di emarginazione, di essere alle soglie della società, è ciò che unisce maggiormente.  “Non che in certi isolati di Chester se la passino meglio, ma non scherziamo. Noi rimaniamo l’antitesi della benestante Chester. E siamo fieri della tremenda reputazione che ha la nostra cittadina”.

Ed eccola lì, sulla sponda destra del Dee, la bellissima Chester. Una città che, a differenza dei bruti vicini, non si è mai basata sull’industria tradizionale, ma è piuttosto divenuta la casa di un’ingente quantità di colletti bianchi, per lo più coinvolti nel settore dei servizi finanziari. Le sue origini sono nobili e antichissime: fondata ad opera dei romani nel I secolo d.C., conserva ancora la cinta muraria e la struttura dell’antico insediamento. A prima vista, appare una cittadina che nel tempo ha mutato la sua anima, lasciando però intatto il suo scheletro. Il centro storico, ricco di edifici di epoca Tudor e vittoriana, è considerato uno dei più suggestivi di tutta l’Inghilterra e, dopo le mura romane e la cattedrale, la principale attrazione della città sono le cosiddette Rows, splendide case a graticcio porticate che oggi ospitano negozietti e boutique. Durante l’anno, Chester ospita numerosi festival ed eventi di vario tipo, il più celebre dei quali è senza dubbio la “Chester Racecourse”, un’antica corsa di cavalli che si tiene dal lontano 1539.

Di primordiale, forse non quanto le origini della città, c’è anche l’odio e il disprezzo verso i villani che stanno di là dal confine.  L’orologio incastonato nel municipio reca soltanto tre facce: il lato rivolto verso il Galles fu lasciato spoglio perché, a detta degli architetti, “Chester won’t give Wales the time of day.” Il testo di una legge arcaica, ma spesso citata, dispone che “ogni cittadino di Chester può sparare a un gallese con arco e frecce qualora, dopo il tramonto, lo scorga a vagabondare all’interno della cinta muraria”.

L’orologio dell’elegantissima Chester

Chester oggi conta 90 mila abitanti, più del doppio della rivale cittadina, nonostante ciò si stima che il tifo sia circa la metà di quello di Wrexham, ad onor del vero perché quest’ultima attrae fans da tutto il North Wales. Se vi capitasse di entrare in uno dei pub della cittadina gallese, quasi sicuramente trovereste al bancone un tale che per prima cosa vi dirà che la gente di Chester non si merita un club di Footbal League. “Chester è troppo elegante per il calcio. Per loro vanno bene il tennis, il polo, le corse dei cavalli e il golf, insomma roba da ricchi”. Oppure, come accaduto a un reporter di FourFourTwo, potreste trovare Baker, che coi suoi toni rudi vi sintetizzerebbe meglio di chiunque altro l’odio che promana dal popolo di Wrexham verso gli abitanti della vicina cittadina britannica. Un odio figlio di una subalternità sociale latente, che finisce per espresso o con cali e pugni o con toni violenti: “Quelli di Chester hanno un palo ficcato su per il culo. Noi di Wrexham portiamo I pantaloni; loro magliette rosa e si imbrattano i capelli di gel. Noi andiamo fuori a ubriacarci e farci due risate. Loro vogliono soltanto farsi un fottuto drink e abbordare le ragazze. Ecco perché le ragazze di qui se ne vanno a Chester a fare serata- a loro piace essere trattate bene e sanno che noi siamo un mucchio di alcolizzati”.

Adesso capirete perché quella tra Chester e Wrexham non può essere una partita come le altre.

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