Una squadra che oggi prova a risalire la china con discreto successo, ma che – in passato – ha saputo vivere un’epoca grandiosa. La storia ha un anno di riferimento, il 1877, ed un nome ed un cognome: Harry Barcroft. Gentiluomo inglese, è preside della St. Luke’s School, un istituto infilato nel sobborgo di Blankehall. Un giorno di fine anno, per premiare un gruppo di studenti particolarmente meritevoli, regala loro un pallone da calcio: un suggerimento che gli arriva da due grandi appassionati, Jack Brodie e John Baynton. Passano soltanto due anni e la scuola si fonde con il Blankenhall Wanderers di cricket, dando così origine al Wolverhampton Wanderers Football Club, proprio come lo conosciamo oggi.
Il Molineux Stadium – fondato nel 1889 – ancora non esisteva quando i Wolves – che devono il loro soprannome allo stemma cittadino – divennero famosi nella storia del calcio. Brillanti, cattivi al punto giusto, ariosi nel gioco ma concreti sotto porta: i lupi vissero uno dei maggiori momenti di gloria a ridosso degli anni ’40 del Novecento, quando si piazzarono al secondo posto in campionato e persero per un nulla la finale di F.A. Cup (era il 1939) contro il meno quotato Portsmouth. Era la squadra guidata da Stan Cullis, ex mezzala il cui credo tattico veniva quasi religiosamente interpretato dai ragazzi sul rettangolo verde.
Un periodo dorato, proprio come le maglie dei giocatori. Ma, come spesso succede nella beffarda giostra della vita, una fase destinata a scemare. Un epilogo amaro che si traduce nella retrocessione del 1965. Sotto il manager Bill Mc Garry, tuttavia, ecco l’ennesima montagna russa emozionale: una finale di F.A. Cup persa contro il Tottenham e due Coppe di Lega portate in bacheca.
Nel frattempo il club vive qualche momento di forte tensione anche a causa della sua esagitata Firm: la Subway Army – che deve il suo soprannome agli agguati riservati ai rivali immaginate dove – mette a dura prova la pazienza di polizia e istituzioni, sfociando in violente risse con i rivali storici del West Brom, con quelli del Millwall e non soltanto. Nel 1982, dopo un violento scontro con gli hooligans del Leeds un ragazzo appena diciottenne viene accoltellato e muore: un episodio che segna lo scioglimento della Firm.
Un saliscendi continuo, fino al 1982, quando il club sfiora il baratro: i debiti seppelliscono la società, che rischia fortemente l’estinzione.
Il lupo è ferito, ma non è morto. Out of darkness cometh light, recita il motto cittadino. Già: la luce che penetra le tenebre. Il club viene salvato in extremis grazie all’operato di una ex stella, Derek Dougan, ed all’ingresso in società di due affaristi – i fratelli Bhatti – che lo gestiranno in modo disinvolto e delirante, fino a farlo sprofondare in quarta serie.
Un colpo durissimo, l’ennesimo, che affosserebbe chiunque. Ma non i Wolves. Il branco si lecca le ferite, si riorganizza e, grazie all’illuminata guida di Graham Turner, vince tre tornei in due anni completando una memorabile risalita verso la Second Division, vincendo la Fourth Division, il Football League Trophy nel 1988 e la Third Division l’anno successivo. In seguito Dave Jones diventa il primo tecnico a portare i Wolves nella moderna Premier League vincendo i play-off della First Divisione 2002/03. Un’impresa a cui fa eco quella dell’irlandese Mick McCarthy, che vince la Championship 2008/09.
Nel corso degli anni i Wolves hanno annoverato giocatori come Billy Wright, capitano dell’Inghilterra per oltre 90 partite, e Bill Slater, vincitore nel 1960 del premio come calciatore inglese dell’anno. Il miglio cannoniere nella storia dei lupi è l’indimenticato Steve Bull, autore di ben 306 centri in tutte le competizioni.
Oggi il Wolverhampton è una società all’avanguardia, con una proprietà che appare solida e facoltosa ed uno stadio sempre pieno. Un lupo che ha patito numerose ferite, ma che non si è mai arreso. E ora, più che mai, è pronto per tornare a sbranare il gregge.