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Alex Jackson, il fenomeno scozzese che mollò la Football League a 28 anni

6 ' di letturaIl 31 marzo 1928 più di 80.000 tifosi sono radunati sugli spalti del Wembley Stadium per una delle ultime partite del British Home Championship, uno dei primi tornei continentali per nazioni. Ovviamente gli stati partecipanti sono tutti quelli raccolti dalla corona inglese: insieme ai padroni di casa ci sono Galles, Irlanda e Scozia.

L’Inghilterra ha fatto brutta figura fino a ora. Nonostante la presenza tra i ranghi di Dixie Dean, l’attaccante dell’Everton che proprio in questa stagione raggiungerà i 60 gol segnati, sono già due le sconfitte archiviate contro Irlanda e Galles. In questa piovosa serata di Wembley manca l’ultima partecipante, la Scozia, che con un solo punto guadagnato in due giornate è solo al terzo posto.

Quando gli scozzesi hanno annunciato la formazione che scenderà in campo a Wembley, sotto gli uffici della Scottish Football Association una masnada di gente si è assiepata per protestare. La selezione vede molti giocatori chiamati poche volte, se non alcuni alla prima assoluta. L’attacco è molto leggero, e soprattutto imperniato su tre calciatori che giocano nella Football League inglese: il cannoniere del Newcastle Hughie Gallacher, il suo grande amico e inside forward del Preston North End Alex James, e l’ala destra dell’Huddersfield Town Alex Jackson. Li chiamano “i Tre Moschettieri” della Scozia.

Jackson è incredibilmente il più alto di tutti nel reparto offensivo della sua squadra, tra i 170 e i 175 centimetri a seconda di chi risponde al quesito. Eppure quando i cinque attaccanti si stendono su tutta l’ampiezza del campo, gli inglesi non possono far nulla per fermarli. Giocano troppo bene, James li dirige alla perfezione, Gallacher è una spina del fianco e soprattutto Alex Jackson ha una delle sue serate migliori. I suoi tagli dalla destra mettono in crisi l’organizzazione avversaria, tanto che l’ala dell’Huddersfield segnerà tre gol e manderà in porta una volta James.

I giornalisti inglesi sono increduli. Mai visto giocare una squadra giocare così bene contro la Nazionale inglese, per giunta a Wembley. Questi scozzesi sono paradisiaci, eccezionali, mesmerici nella loro arte del passaggio e del controllo di palla. E tra loro spicca per bravura e precisione proprio Alex Jackson, secondo il Guardian il migliore dei suoi. Le descrizioni che si leggono sull’ala dell’Huddersfield sono a dir poco entusiaste: “È dritto come un bastone, ma con l’elasticità di un giovane salice. Quando i venti del football spirano verso di lui, Jackson si piega graziosamente a quella forza senza rompersi.” e “Il suo giudizio sulla sua posizione di gioco è immenso, e agisce tanto rapidamente quanto il suo pensiero.” sono due delle romantiche celebrazioni che lo scozzese si è guadagnato sui giornali d’oltremanica.

L’arrivo a Huddersfield

Quando due anni prima arriva all’Huddersfield Town, ingaggiato dal leggendario Herbert Chapman, Alex Jackson è uno dei giovani più promettenti dell’intero panorama del football del Regno Unito. Veloce, tecnicamente dotato, e capace di segnare molti gol, entra però a far parte di una squadra rodata e di altissima qualità, che ha vinto gli ultimi due campionati ed è guidata da uno dei manager più importanti della storia del calcio.

Quando cinque anni dopo Jackson lascerà i Terriers, non sono pochi quelli che lo definiscono il più forte calciatore del campionato inglese. Il suo modo di giocare, soprattutto quel movimento a tagliare verso il centro dell’area che nessuno prima di lui aveva mai pensato di implementare, lo rendono uno dei personaggi più in vista della Football League.

Purtroppo l’avventura dello scozzese con l’Huddersfield coincide con la fine dei successi della squadra. Chapman se ne va all’Arsenal poco dopo il suo arrivo, attirato dalla sfida di sollevare le sorti di una squadra della capitale e dai tanti soldi offerti da Henry Norris. Riescono a vincere il terzo campionato di fila, ma da lì ottengono poi due secondi posti e la parabola non può far altro che scendere ulteriormente. Le maggiori soddisfazioni arrivano dalla FA Cup, dove nel 1928 e nel 1930 i Terriers arrivano in finale.

Nella finale del ’28 Jackson segnerà il gol del 2-1 che poteva riaccendere la speranza per il suo team, ma il Blackburn manterrà il vantaggio siglando addirittura il 3-1. Due anni dopo l’ala scozzese trascinerà l’Huddersfield fino all’ultima partita con 9 gol sugli undici segnati dal team, ma dall’altra parte trova proprio l’Arsenal di Chapman e Alex James. La sfida nella sfida tra i due scozzesi la vincerà ampiamente l’inside forward dei Gunners, che disputerà una delle sue migliori partite della carriera, portando la sua squadra a vincere la FA Cup per 2-0.

L’avventura nella capitale

Nessuno sa che quella sarà anche l’ultima partita di Alex Jackson con la maglia dell’Huddersfield. E proprio come il suo ex allenatore, anche lui si muoverà verso una squadra di Londra in cerca di gloria. Non l’Arsenal, che aveva deciso di comprare Alex James dopo il rifiuto del Newcastle di cedere Gallacher, ma il Chelsea appena promosso dalla Second Division. E i Blues riusciranno ad acquistare sia Gallacher che Jackson, ricomponendo parte di quel trio di fenomeni che aveva umiliato la Nazionale inglese due anni prima.

Il Chelsea però non si ferma ai due scozzesi. David Calderhead, l’allenatore (anch’egli scozzese) che riuscì a imbastire una campagna acquisti degna dell’era Abramovich settant’anni dopo, porta a casa anche Alec Cheyne e altri giocatori minori, spendendo oltre 25.000 pound. Jackson decide di spostarsi a Londra anche per aspetti extra calcistici, visto che ha ben compreso che non potrà vivere dei proventi del football e non ha il carattere per fare il manager. Dopo poco tempo nella capitale, è riuscito già ad acquistare un pub a Covent Garden, una quota del Queen’s Hotel in Leicester Square e proprio come farà in seguito James sarà anche uno stimato columnist sportivo per i giornali.

Però è sempre sul campo che continua a far faville. Il secondo anno riceve anche la fascia di capitano direttamente dalla board dei dirigenti, di cui è amico e con cui passa molto tempo. I suoi compagni non sono molto “affascinati” dalla sua relazione con il management, ma Jackson ha una personalità molto estroversa e fa da calamita per tutti ciò che ha intorno. Sarà questa la sua croce e delizia, per tutta la sua carriera.

Infatti proprio da un pretesto di comunione con lo spogliatoio, un giro di drink per tutti i giocatori che Jackson ordina nella sua camera d’albergo a Manchester il giorno prima della partita col City, la stessa dirigenza che lo ha adorato fino a quel momento decide di farlo fuori per sempre. Jackson non avrà problemi a parlare a mezzo stampa, ironizzando sulla decisione di punirlo per aver ordinato un drink a testa quando già ne avevano avuto uno nel bar dell’hotel sotto gli occhi di tutti. È vero, ha pagato una bevuta a tutta la squadra, ma quale danno ci sarebbe?

Un addio avvenuto troppo presto

In realtà sembra che molti giocatori, tra cui i tre scozzesi Jackson, Gallacher e Cheyne, fossero stati approcciati da alcune squadre francesi pronte a offrire ricchissimi contratti, molto più importanti di quelli pagati dal Chelsea e superiori anche al tetto instaurato dalla Football League. Alla fine alcuni andarono, altri no, e l’ala scozzese decise di rimanere in patria. Ma la politica del “retain and trasfer” permetteva al Chelsea di impedire il suo trasferimento in qualsiasi altra squadra di Football League nonostante la scadenza naturale del contratto, e quindi di non pagarlo.

La carriera di Alex Jackson, ventisettenne fenomeno del calcio inglese, finisce incredibilmente qui. Giocherà un paio d’anni in club amatoriali, che proveranno a pagarlo più di un club di First Division finendo per ammontare migliaia di sterline di debiti, poi volerà in Francia in viaggio di nozze e deciderà solo a quel punto di deliziare i cugini oltre la Manica con il suo talento. Non accetterà mai di tornare al Chelsea, di scusarsi per le sue dichiarazioni, di fare mea culpa. Una volta smessa la divisa del Le Touquet, nel 1936, semplicemente molla il calcio giocato. Dirà che non è mai stato felice con i Blues, che il mondo del football l’aveva annoiato e non gli avrebbe mai perdonato l’affronto di averlo trattato in quel modo.

Jackson vivrà una vita effettivamente felice fuori dal campo da gioco. Come detto si sposa, ha due gemelli, lavora nel suo pub dove accoglie i tifosi col sorriso ed è sempre pronto a fare una foto. Ma condivide un’altra caratteristica con i Tre Moschettieri della Nazionale scozzese, con i più grandi dei Wembley Wizards: la loro vita non è destinata a durar tanto. Gallacher decide di chiuderla da sé, tirandosi sotto un treno nel 1957; James morirà per un cancro fulmineo nel 1953; Jackson li anticipa tutti. Arruolato dall’esercito per la Seconda Guerra Mondiale, verrà spedito in Africa. Finito il conflitto, deciderà di rimanere nella zona del Canale di Suez, dove troverà la sua fine in un incidente con il suo camion pochi mesi dopo il suo arrivo nel 1946.

Via da casa, tristemente allontanato dal mondo del football, molti sono stati i tifosi che hanno pianto alla notizia della morte di Alex Jackson. Un talento sopraffino, abbagliante nel suo portamento e comunque spensierato e sempre pronto a trascinar tutti. Una grandissima ala destra che per un paio di anni ha probabilmente giocato il miglior calcio d’Inghilterra, costretta all’esilio dalla Football League e mai più capace di illuminarne i campi.

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