Anche la fine della stagione 1924-1925 vede i Lilywhites di nuovo scendere in serie cadetta, situazione che diventa tragica visto che l’uomo a timone del club, tale James Isherwood Taylor, si trova da forzatamente escluso da qualsiasi evento della Football Association con l’accusa di aver approcciato illegalmente giocatori sotto contratto con altre squadre. In tutto questo marasma il Preston North End decide anche di cambiare guida tecnica, così dal Birmingham City arriva il nuovo allenatore Frankie Richards.
Richards conosce la storia del suo nuovo club. Ha ben presente che i titoli vinti prima dell’inizio del nuovo secolo hanno un marchio ben preciso, quello degli “Scotch Professors”: come molte altre squadre inglesi, anche il Preston si era avvalso di giocatori scozzesi, al tempo clamorosamente più avanzati a livello tecnico, per il suo progetto vincente. Così il nuovo manager decide in un certo senso di ritornare al passato, e sceglie di acquistare ben tre giocatori dalla Scozia. Dopo aver convinto il capitano della Nazionale a giocare nel Lancashire, Richards si rivolge a uno dei team più in forma degli ultimi anni per comprare due suoi gioielli, il Raith Rovers.
Qui trova un inside forward di livello ineguagliabile, Alex James. Un giocatore talmente particolare, e imbarazzantemente talentuoso, che non può evitare di visionarlo e acquistarlo. L’offerta da 3.000 pound è ritenuta sufficiente dai Rovers, che necessitano di fondi per riparare lo stadio, così il ragazzo dai capelli sempre gelati in un’ordinata riga centrale, e coi pantaloncini troppo lunghi e larghi per il suo corpo basso e tarchiato, prende un ticket di sola andata verso Preston.
Gioie e dolori nel Lancashire
Inizialmente la scelta sembra pagare. James si integra bene nella squadra, il livello della Seconda Divisione inglese è sicuramente più basso dei picchi a cui può giocare. Nella sua prima stagione segna 19 goal, più di tutti i compagni, e anche se il Preston non riesce a conquistare la promozione le premesse sembrano essere ottime. Con le sue prestazioni si guadagna anche la prima chiamata dalla Nazionale in una partita giocata in Galles.
Alex è ancora più soddisfatto perché, sul finire del 1925, viene raggiunto da uno dei suoi migliori amici. Hughie Gallacher infatti arriva in Inghilterra, ma non al Preston. Trova un accordo con il Newcastle United, in Prima Divisione, che è rimasto orfano del suo centravanti titolare e ha bisogno istantaneamente di un sostituto. I due ragazzi di Bellshill sono finalmente riusciti a emigrare, e diventare seriamente dei calciatori professionisti.
James vorrebbe avere la stessa fortuna di Gallacher, che a forza di gol diventerà in pochissimo tempo uno degli idoli del St James Park, ma purtroppo il feeling con il Preston non raggiungerà mai i livelli del suo amico. Innanzitutto perché i Lilywhites non riescono a vincere questo maledetto campionato. Nonostante l’acquisto ogni anno di un nuovo attaccante che segnerà inesorabilmente durante tutta la stagione caterve di gol, sempre facilitato dall’estrema facilità con cui l’inside forward scozzese riesce a servire i suoi compagni. Se ne avvicendano tre, tutti segnano oltre le venti reti stagionali, ma manca sempre qualcosa per completare l’opera. James diventa presto l’idolo indiscusso del Deepdale, la roccaforte di casa, dove folle di fan totalmente mesmerizzati dal suo talento ne seguono le lente gesta sul rettangolo verde. Ma non basta.
Lo stesso giocatore scozzese inizia a perdere un po’ la pazienza. Innanzitutto perché se sul campo possiede delle doti che pochi possono vantare, fuori riesce comunque a farsi notare. Certamente le difficoltà con i reumatismi aumentano, ma James ha un animo forte e non rimane nell’ombra come molti dei suoi colleghi al tempo. Ama concedersi lussi, a partire da qualche birra e un pacchetto di sigarette, e non si sente per nulla uno della working class che alla domenica va al campo a fare una sgambata. Lui è una star a tutti gli effetti, e i miseri 8 pound di stipendio (il massimo che la FA concedeva ai club di pagare i propri giocatori) non gli bastavano. Se molti altri club aggiravano quella legge, perché il Preston non poteva farlo?
In più il club non gli permetteva mai di accettare le convocazioni della Nazionale. Negare a uno scozzese un legame con le sue origini è peccato capitale, figurarsi impedirgli di poter rappresentare la Scozia negli scontri con le altre squadre del Regno Unito. Riuscì una sola volta a far cambiare idea al Preston, il 31 marzo del 1928. Avessero saputo, i poveri dirigenti, il ruolo che Alex James avrebbe ricoperto nella storica disfatta della Nazionale inglese, forse avrebbero di nuovo negato la possibilità al loro giocatore di vestire la casacca bianca e blu.
La popolarità di James infatti salirà alle stelle dopo quella partita. Un 5-1 imbarazzante per i Tre Leoni, umiliati senza possibilità di alcuna risposta. Gli undici scozzesi, portatori di un gioco corale annichilente esaltato dalle capacità tecniche dei singoli giocatori, diventano immediatamente delle figure quasi mitologiche, quei “Wembley Wizards” che ancora al giorno d’oggi fanno rizzare qualche pelo bianco nei tifosi inglesi più datati. E tra i leader dei Maghi ecco comparire i soliti due: Alex e Hughie. Sempre loro.
James non ne poteva più ormai del Preston. Alla fine della stagione 1928-1929 ecco allora arrivare un’altra occasione. A Londra c’era un certo signorotto, che da titolo di studi doveva essere un ingegnere ma si dilettava con successo nell’allenare calcio, che aveva deciso di implementare una variante del classico 2-3-5 giocato all’epoca. Gli inside forward dovevano arretrare quasi sulla linea dei centrocampisti, per collegare i reparti e fornire palloni giocabili ai tre rimasti davanti. L’idea era buona, e i soldi per comprare i giusti interpreti non mancavano, ma non aveva ancora trovato l’uomo giusto per far svoltare veramente la squadra. Herbert Chapman si rivolse allora, anche lui, ai talenti scozzesi: il suo primo obiettivo fu proprio Hughie Gallacher, che però non venne lasciato andare dal Newcastle, così si rivolse al suo grande amico. Un’altra delle intuizioni geniali di uno dei manager più importanti della storia del calcio.