Partite in notturna? Le propose lui, e fu il primo a installare i riflettori allo stadio. Acquisto di giocatori stranieri? Uno dei primi a esserne favorevole, anche se alla fine non riuscì a farlo con costanza. Competizioni internazionali per club? Provò a convincere i club inglesi a prendere parte alle coppe che stavano nascendo sul continente negli anni ’20 e ’30, ma nessuno volle dargli retta. Il pallone a spicchi bianchi e neri? Sempre lui. I numeri sulla maglia? Pure. Addirittura supervisionò la progettazione di buona parte di Highbury, e l’ormai iconica divisa dell’Arsenal fu sempre opera sua.
Ma è ovviamante a livello tattico che il nome di Chapman rimarrà per sempre nella storia del gioco. L’adozione del “sistema”, il “WM” che contemporaneamente arretrava i due “inside forward” a centrocampo e uno dei tre mediani al centro della difesa, cambiò sostanzialmente il gioco prima dei Gunners e subito dopo per tutta la First Division, che cercò innanzitutto di emularlo (senza riuscirci molto) e successivamente di contrastarlo in tutti modi. Molte evoluzioni tattiche odierne nascono proprio da qui.
I problemi che quasi tutte le squadre si trovarono ad affrontare, quando cercarono di applicare il “sistema”, erano principalmente tre: la necessità di avere degli atleti eccezionali, visto che anche ai nuovi centrocampisti (e delle volte alle ali) era chiesto di cercare di coprire con più decisione; allo stesso modo le qualità tecniche dei singoli giocatori dovevano essere eccellenti, per gestire con precisione sia le rapide transizioni offensive che il possesso palla basso e ragionato permesso da avere un centrocampo più folto; ma soprattutto, dopo anni di applicazione, si è capito che lo schema gira molto di più se c’è una “mente” in campo, un playmaker in grado di svoltare la squadra.
Chapman aveva ben chiare le necessità della sua idea di calcio. Arrivato all’Arsanal nel 1925, quando il club del nord di Londra non aveva ancora mai vinto un titolo ed era considerato tra i peggiori della First Division, aveva convinto il presidente Henry Norris a sborsare migliaia di sterline per acquistare i giocatori secondo lui adatti al sistema, uscendo anche molto fuori dagli schemi per convincere i più dubbiosi. Così i critici del tecnico dei Gunners, e al tempo ce n’erano molti, erano sempre pronti a indicarlo come uno spendaccione che però aveva fallito a portare risultati nel nuovissimo Highbury. D’altra parte aveva infranto il record di acquisto più costoso della storia del football dopo aver pagato più di 10.000 pounds l’attaccante David Jack dal Bolton. Eppure i risultati ancora non riuscivano ad arrivare.
Così nell’estate del 1929, muovendosi per aggiungere ulteriori pezzi pregiati alla sua rosa, decise di rivolgersi ai talenti scozzesi che avevano recentemente umiliato la Nazionale inglese. Inizialmente pensò al goleador Hughie Gallacher, in rotta perenne con il Newcastle, ma i dirigenti geordie decisero di mantenere a ogni costo il loro bomber. Così che Chapman fu costretto dalle circostanze a pescare dal fondo del barile, in Second Division, e fu proprio lì che trovò il suo nuovo pupillo. Un giocatore unico, inspiegabilmente ancora di proprietà del Preston North End nonostante fosse evidentemente di un’altra categoria. Lento, impacciato e spesso anche infortunato, con un caratterino difficile da domare, ma tecnicamente superiore a qualsiasi giocatore visto prima. L’allenatore dell’Arsenal si innamorò talmente tanto di Alex James da pagarlo 8.250 sterline, molto di più di tanti altri giocatori di First Division, e se lo portò subito a Highbury.
Il perfetto playmaker del sistema
James aveva giocato tutta la carriera in attacco. Non era il più prolifico dei centravanti, né aveva doti fisiche che lo avrebbero fatto eccellere sulle ali. Il suo gioco era tutto incentrato sul dribbling secco, grazie a un repertorio di finte mai visto al tempo, e sulla incredibile visione di gioco che gli permetteva di trovare sempre l’uomo giusto al posto giusto nel momento più opportuno. Così Chapman ebbe un’altra delle sue intuizioni geniali: decise di posizionarlo come “inside forward” ma arretrandone ancora di più la posizione, permettendogli di avere più spazio per il suo gioco e rendendolo il playmaker della squadra. Sarebbe diventato l’anello di congiunzione tra blocco difensivo e offensivo. Un ruolo difficilmente visto prima su un campo da football.
L’inizio del mago scozzese però non fu dei migliori. James soffriva di forti reumatismi, e per quanto si provasse a coprire con lunghi scaldamuscoli nascosti dai suoi ormai celebri “baggy pants”, le caviglie soffrivano spesso del gioco ruvido. Inoltre arrivava da un’ultima stagione travagliata, e così buona parte del primo anno con l’Arsenal non aveva la forma necessaria per reggere un campionato intero. Chapman decise stranamente di dare vita facile al suo nuovo pupillo, fatto accolto con costernazione dagli altri giocatori. Fino a quel momento in campo non aveva impressionato, aveva passato un periodo anche come riserva, eppure il boss gli concedeva di fare più o meno quel che gli pareva.
Ma il mister aveva ben chiaro che non poteva gestire tutti allo stesso modo. E Alex James, con quella terribile testardaggine tipica degli scozzesi che si ritrovava, non poteva essere trattato col pugno duro. Così era nato il loro legame, fin da subito: era stato Chapman a garantire a James un contratto da 250 sterline a Selfridges, i grandi magazzini più in della Londra del tempo, come “sport demonstrator” così da aggirare la regola degli 8 pound massimi di stipendio decisi dalla FA. In questo modo lo scozzese poteva non solo permettersi di pagarsi tutti i suoi numerosi vizi, dalle birre alle sigarette, dai vestiti costosi alle gite fuori porta, ma anche conoscere molti altri personaggi famosi dell’epoca.
La schiera di amici di cui poteva vantarsi infatti era lunga: tennisti come il leggendario Fred Perry e Suzanne Lenglen (sei volte vincitrice di Wimbledon, di cui cinque consecutive) erano spesso suoi compagni di drink, così come l’aviatrice Amy Johnson, la prima donna a volare dall’Inghilterra all’Australia e molto conosciuta nei circoli sociali londinesi. James era a suo agio nell’alta società delle serate inglesi dove poteva dimostrare tutta la sua arguzia e prontezza di spirito, il primo calciatore a rompere quel muro invisibile che faceva apparire i giocatori di football ancora come degli operai appena usciti dal dopolavoro. Era però anche il primo a infilarsi al pub poco dopo la partita insieme ai suoi stessi tifosi, con cui iniziava a bere a sera e ne usciva al mattino dopo totalmente ubriaco, oppure a firmare autografi per chiunque fosse in attesa della sua uscita dal campo, andandosene solo quando l’ultimo ragazzo aveva avuto il suo saluto. Lo scozzese era indubbiamente una star, la prima grande icona pop del calcio, e sicuramente Chapman godeva appieno della popolarità che il suo playmaker portava a tutta la società.
La cocciutaggine e il forte carattere di James uscivano sempre fuori, anche in vicende più propriamente calcistiche. Così, nonostante il primo periodo poco brillante, in una riunione di spogliatoio lo scozzese fece sapere al suo allenatore che lui (come sempre) di inseguire gli avversari in campo come un qualsiasi altro difensore non ne aveva proprio intenzione. Incredibilmente Chapman non si oppose al rifiuto. Anzi, poco tempo dopo lo lasciò tornare a casa per riposarsi dopo un’altra prestazione incolore, saltando alcune partite. E come al solito, l’allenatore dei Gunners ci aveva visto bene.
Lo andò a richiamare solo quando era assolutamente necessario per le sorti della squadra, per il replay della sfida di quarto turno di FA Cup contro il Birmingham, una trasferta al tempo molto difficile. Chapman andò da James, rese ben chiara quale fosse la posta in gioco e cosa avrebbe significato perdere, lui capì che non era più il momento di cincischiare e andò al campo. Entrò nei suoi baggy pants e dominò la partita, l’Arsenal vinse 1-0 e spianò la strada verso la conquista del primo trofeo della sua storia.
Il dominio dell’Arsenal
Da quella partita nessuno ebbe più dubbi sull’impatto di Alex James sulla squadra. Dopo la conquista della FA Cup del 1930, dove segnò il primo gol della finale contro l’Huddersfield Town, l’Arsenal iniziò ad ammassare vittorie su vittorie. L’anno successivo arrivò il primo titolo in First Division, e dei 38 gol di Jack Lambert la maggior parte vennero propiziati proprio dallo scozzese.
La stagione successiva gli infortuni prima di Lambert e poi dello stesso James videro i Gunners arrivare al secondo posto in campionato e in FA Cup, ma nel 1933 l’Arsenal ritornò a vincere la First Division. Solo le due ali Bastin e Hulme segnarono ben 53 gol, e delle 118 reti complessive della squadra pare che James, che nel frattempo diventò anche il capitano, ne fosse il diretto assistman di almeno una cinquantina. Numeri da capogiro che portarono al club londinese la reputazione di cui gode ancora oggi.
Al titolo del 1933 seguirono altri due campionati consecutivi. James, sempre da capitano della squadra, guidò i Gunners anche dopo la morte improvvisa di Herbert Chapman il 6 gennaio 1934. Il geniale allenatore morì come solo un folle amante del football poteva andarsene: nonostante un terribile raffreddore, decise di andare a vedere sotto una pioggia torrenziale la terza squadra dell’Arsenal giocare contro il Guildford City. Il raffreddore così diventò una polmonite acuta e pochi giorni dopo Chapman non ce la fece più.
James riuscì a giocare, nonostante i suoi malanni sempre più tassanti sul fisico, ancora per qualche tempo. Portò a casa una seconda FA Cup nel 1936, ma non poté più esprimersi ai suoi livelli e fu costretto a rimaner fuori dal campo più volte. Alla fine della stagione 1937 decise definitivamente di ritirarsi, dopo 231 partite con la maglia dell’Arsenal condite da 26 reti e centinaia di assist per le sue punte. Il ritiro però non significò assolutamente l’abbandono della scena pubblica. Due anni dopo volò in Polonia per sei settimane, in una sorta di workshop antesignano per giocatori e allenatori della Nazionale locale, e dopo la guerra (a cui partecipò come membro della Royal Artillery) diventò per un po’ anche giornalista sportivo mentre teneva un’agenzia di scommesse.
Il richiamo del calcio però era troppo forte, così nel 1949 diventò il nuovo coach delle giovanili dell’Arsenal. Come Chapman prima di lui, era ansioso di poter condividere la sua infinita saggezza calcistica con le nuove leve del football, ma la sorte gli fu avversa. Solo quattro anni dopo scoprì di avere un cancro, che troppo velocemente lo sconfisse definitivamente l’1 giugno 1953.