Si dà il caso che Becheri sia oltretutto anche il nonno di Alessandro e, da esperto uomo di campo qual è, intuisce subito i meravigliosi colpi del nipote. Alino, infatti, è un anarchico che mal digerisce le gabbie tattiche, con un piede sinistro straordinariamente educato. I colpi meravigliosi del ragazzo, però, non sfuggono neppure agli osservatori più attenti. Il Prato, infatti, corteggia a lungo il giovane Diamanti. Ma Rodolfo aspetta il momento giusto, perché il talento non deve essere bruciato da scelte avventate. “C’è un tempo per ogni cosa”, dice. Di fatto aspetta che Alino sia maturo, e fa bene.
E il momento giusto arriva nell’estate del 1997, quando Diamanti ha appena compiuto quattordici anni. Da qui comincia una lunga gavetta, fatta di tanta panchina e duro lavoro. Esordisce in prima squadra a diciassette anni e, dopo varie parentesi a farsi le ossa in giro per la Toscana, Alessandro riesce a prendersi il suo spazio. È la stagione 2006-2007, e il Prato è arenato in C2. Dietro le due punte, con la massima libertà di creare e inventare calcio, c’è lui: il ragazzo con i riccioli d’oro e gli occhi azzurri. 15 reti in 31 partite, è un anno incredibile.
Un anno incredibile che gli vale la serie A, dove lo nota il Livorno del genovese Spinelli. Livorno, piazza meravigliosa. Fiera e orgogliosa come la sua gente, forgiata nei secoli dal mare e dal vento. Al Picchi, quell’anno, hanno dovuto dire addio al capitano di mille battaglie Cristiano Lucarelli. Il popolo livornese è in fermento e in corso c’è un duro faccia a faccia tra la città e il presidente, reo di usare la società solo per gonfiare il proprio portafogli. Nonostante il clima teso, sulla carta la squadra non è male. Amelia, Fabio Galante, l’immenso David Balleri, i gemelli Filippini, Vikash Dhorasoo, Giuliano Giannichedda, Ciccio Tavano, Diego Tristán, Fausto Rossini. E poi, appunto, c’è Alino Diamanti da Prato.
Le questioni societarie, però, incidono troppo sull’andamento in campo. La stagione, catastrofica, si conclude con l’ultimo posto in classifica. Uno dei pochi a far vedere qualcosa di buono è proprio Alino. Nonostante le offerte dalla serie A, Diamanti decide di rimanere a Livorno. Vuole riportare su gli amaranto e ci riesce. 20 gol in 39 partite in serie B. Si carica la squadra sulle spalle insieme a Tavano, centra i playoff e poi si guadagna di diritto la promozione. La città è innamorata persa del suo numero 23. Le ottime prestazioni, però, fanno anche lievitare il prezzo del cartellino. Spinelli non perde tempo: la sua avventura a Livorno termina non appena alla porta del presidente bussa il West Ham di Gianfranco Zola.
È il 28 Agosto del 2009, ed è appena cominciata l’avventura inglese di Alino. Londra, la gloria della Premier, il suggestivo Upton Park e il fascino eterno degli Irons. Serve altro?
In quella Premier, sin dalle prime giornate, si vede che la qualità è altissima. In campionato si consuma una lotta a due senza esclusione di colpi tra il Chelsea di Carletto Ancelotti e il Manchester United di Sir Alex. Dietro di loro, almeno sei squadre cercano disperatamente di guadagnarsi un pass per l’Europa. Tra queste, però, non c’è il West Ham. Nonostante i proclami estivi, infatti, la stagione degli Hammers è praticamente un disastro. Chiudono male, al diciassettesimo posto. Il primo utile per non retrocedere.
In mezzo a tutti quei campioni però Diamanti non sfigura, anzi. Gioca un’ottima stagione e dipinge vere meraviglie con il piede sinistro. Da quelle parti si ricordano bene la sua punizione sotto l’incrocio nella vittoria contro il Birmingham, con Joe Hart che sta ancora cercando di capire dov’è passata quella benedetta palla. Zola, orgoglioso, abbraccia il suo ragazzo dopo il gol. Si rivede in lui, adora l’uomo e il suo modo di esprimersi attraverso il calcio. Riaffiora nitido nella mente dei tifosi Hammers, poi, un geniale colpo di tacco di Alino che mette Luis Boa Morte davanti alla porta nell’1 a 1 interno contro il City di Roberto Mancini e Tévez. Tante intuizioni e una certezza, una sentenza dagli 11 metri. Proprio su calcio di rigore, Diamanti segna al Chelsea capolista e futuro campione, inchiodando i Blues sull’ 1 a 1 e togliendosi questa soddisfazione. Alla fine dell’anno, per lui, le statistiche diranno 8 gol in 29 partite. A Londra, com’è comprensibile, sono letteralmente pazzi della fantasia e del fare scanzonato dell’italiano riccioluto.
Alino però è un giramondo, uno zingaro di professione. E la City non gli sembra il posto più adatto per far crescere i suoi bambini. A questo proposito, in una sua recente intervista ad Asian Football, ha dichiarato: ”Amo Londra, dove ho ancora una casa, ma è troppo cara, troppo caotica per me.”
Al termine della stagione torna in Italia, al Brescia e poi al Bologna. Si, proprio le stesse maglie che prima di lui aveva indossato un altro che con i piedi faceva quello che voleva regalando sogni, Roberto Baggio da Caldogno. Dopo, ancora, le casacche saranno quelle di Fiorentina, Atalanta, Palermo e Perugia, con un romantico ritorno anche nella sua amata Livorno. Nel mezzo due parentesi, una in Cina e un’altra brevissima in Inghilterra, con la maglia del Watford. Oggi è dall’altra parte del mondo, tra l’oceano Indiano e il Pacifico, dove insegna ancora calcio nella massima serie del campionato australiano.
Un giramondo sognatore e fiero, Alino. Con un solo rimpianto: “Sarei rimasto al West Ham. Lì tutti mi volevano bene. Ho fatto un’annata straordinaria. I tifosi mi hanno votato nella finale del premio Hammers dell’anno. Poi Londra, dai, è esagerata”. [fonte: Asian Football]