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Arsenal-Birmingham City, la magia della coppa all’opera in finale di League Cup

8 ' di letturaIl 27 febbraio 2011 le luci dello stadio di Wembley sono accese, anche se sono solo le 4 del pomeriggio. All’interno del tempio del calcio inglese, 88 mila e più tifosi sono pronti a godersi una partita di cui pochi, a inizio stagione, avrebbero potuto predire le componenti. Già, perché Wembley non viene scomodato per una partita qualsiasi: stiamo ovviamente parlando di una finale, in questo caso di League Cup. In quei giorni si chiamava Carling, e la coppa ne aveva preso il nome.

Lo stadio è conteso da due tinte ben differenti. La prima è inequivocabilmente rossa, come quella dell’Arsenal di Arsène Wenger. I londinesi vengono da parecchi anni di digiuno, nonostante il via-vai di talenti alla corte del francese. In campionato non ci si smuove dalla terza o quarta posizione, mentre nelle coppe l’ultima partita sta diventando un po’ una maledizione. Sono almeno 6 anni che un trofeo non arriva tra le loro mani.

Gli altri invece si presentano in blu. Non provengono dalla capitale, bensì da quella che gli inglesi chiamano la “Second City”. La città dell’acciaio, il grande polo industriale, dove la grande tradizione non ha mai portato a una gran quantità di trofei. I Blues del giorno sono il Birmingham City, la sorpresa del torneo, una squadra antichissima ma senza una storia ricca di coppe.

I romantici Gunners…

Per quanto le coppe nazionali abbiano perso gran parte del loro antico fascino, una finale è sempre una finale. Quindi, entrambe le squadre si schierano con i migliori undici possibili. In realtà così proprio non è, perché Wenger non ha mai avuto problemi a schierare ragazzi giovani ma di prospettiva. Nei suoi titolari ce ne sono due. Uno è Jack Wilshere, che ha compiuto da poco 19 anni. È la prima stagione che riesce a entrare stabilmente nella rotazione del centrocampo dei Gunners, e il manager francese decide di lasciarlo al suo posto anche per una partita così significativa.

Il secondo invece difende i pali dell’Arsenal. È polacco, un po’ allampanato e ha preso i geni del portiere dal papà, che vestì i guantoni della Nazionale per sette volte nella sua carriera. Wojciech Szczęsny ha raggranellato poche partite in prima squadra fino a questa stagione. Solo che i due davanti a lui, Manuel Almunia e il compatriota Łukasz Fabiański, non è che offrano grandi sicurezze, e Wenger si è accorto che lasciando giocare qualche partita consecutiva al ventenne Szczęsny gli ha portato in dote un portiere capace di qualche miracolo e anche di più. Così sarà lui il titolare nella finale.

Come sempre però, l’Arsenal risplende dalla cintola in su. È qui che si avviluppa un coacervo confuso di romanticismo e promesse mai ripagate, giocatori che rendono i Gunners da anni una delle squadre più belle e disperate da poter seguire. Andrei Arshavin, Samir Nasri e Tomáš Rosický sono un terzetto di genietti dal peso piuma che se avessero avuto la carriera giusta, quella che avrebbe meritato lo sconfinato talento presente in ognuno dei tre, avrebbe reso arricchito la bacheca dei trofei dei londinesi di numerosi titoli. Grandi assenti ce ne sono, a partire dal capitano Cesc Fabregas e da Theo Walcott. Infortuni che si faranno sentire.

Davanti c’è il vice-capitano, quello che da lì a qualche anno sarebbe diventato l’Olandese Volante, proprio a contrasto con il Dennis Bergkamp che i Gunners conoscevano bene, e che di staccare i piedi da terra proprio non ne aveva intenzione. Un attaccante completo, fisicamente attrezzato, tecnicamente dotato, capace di trovare il gol in ogni posizione e con quel pizzico di follia da inventarsi anche un gesto sconsiderato per segnare, e soprattutto il leader della squadra. Robin Van Persie, che avrebbe tradito l’Arsenal da lì a poco tempo, guida i compagni in quella che dovrebbe essere una facile vittoria.

… contro i coriacei Blues

Dall’altra parte della barricata, i ragazzi in blu sono sicuramente meno attrattivi dei regali londinesi. Il Birmingham City è una squadra costruita per sopravvivere alle parti basse della Premier, una compagine che deve lottare per guadagnare ogni singolo punto sulla scheda di classifica. Si schierano con un arroccato 4-5-1, composto da personaggi di vario genere assortito.

In porta c’è Ben Foster, che non è riuscito a imporsi come un serio candidato ai guantoni dei Red Devils e ha appena lasciato Old Trafford. Però lui una League Cup l’ha già portata a casa, due anni prima sempre con la maglia dello United, e ha vinto anche il Man of the Match in quella partita. Certo, ormai ha 27 anni e non può essere più considerato una giovane promessa, ma il futuro può sempre riservargli una seconda metà di carriera d’impatto. Birmingham è la sua ripartenza.

Il capitano è l’inossidabile Stephen Carr. Dublinese doc dalla calotta cranica perfettamente tonda e imberbe, aveva già deciso di ritirarsi nel dicembre 2008, martoriato dagli infortuni. Poi il richiamo del campo si è fatto troppo forte, il Birmingham ha chiamato e lui ha risposto presente. Sembra un tenente di fanteria, il portamento sul campo lo suggerisce, il modo in cui scuote le truppe Blues pure. I tempi del Tottenham sono lontani, ma su di lui si può sempre contare.

Ci sarebbero anche personaggi particolari come il ceco Martin Jiránek, un passato in Italia alla Reggina, o lo scozzese Barry Ferguson, che fuori da Glasgow non ha reso come quando era il capitano dei Rangers, ma tra i cinque di centrocampo il nome che spicca non può che essere quello di Lee Bowyer. Il rissaiolo d’Inghilterra, uno che non avrebbe sfigurato nella “gloriosa” Crazy Gang, uno che non si è mai tirato indietro quando si tratta di tirare un colpo o insultare qualche etnia. Il tramonto di carriera l’ha portato nella Second City, e anche qui ha lasciato in eredità una montagna di cartellini gialli e qualche baruffa dentro e fuori il campo.

Lì davanti, ipoteticamente sola o comunque poco accompagnata, si staglia una figura solitaria. Alta, quasi troppo per vagare su un campo da calcio. Qualche centimetro oltre i due metri, un corpo che si sviluppa oblungo quasi senza fine. Svetta sopra tutti i suoi compagni, pure sui difensori dell’Arsenal. Uno di quegli attaccanti che in altri tempi sarebbe stato conteso da tante squadre, ma nel 2011 ormai è troppo tardi. Se poi non fa di nome Peter Crouch e non ha il suo swag, allora Birmingham City è il porto finale della carriera modesta di Nikola Žigić da Bačka Topola, cittadina al confine tra Serbia e Ungheria.

Una vera finale di coppa inglese

Non dovrebbe esserci storia in questo confronto. Nessuno scommette sulla vittoria dei Blues di Birmingham. Per l’Arsenal è forse una delle finali più facili della sua storia recente. Eppure, eppure per quanto dismessa e venduta a facili storielle romantiche, la magia della coppa forse continua ad albergare sui campi d’Inghilterra. Forse mantiene un minimo di quello spirito duro, che decenni prima faceva temere ogni giocatore, che rendeva una partita di calcio uno scontro sanguinoso che pochi vivevano nell’attesa di affrontare.

Così ci vuole una svista clamorosa del guardalinee per evitare dopo soli tre minuti il primo sussulto del match. A favorirne però sarebbe stato il Birmingham, con Žigić che riesce a lanciare Lee Bowyer nelle profondità delle apertissime maglie della difesa Gunners. Ci sarebbe Bacary Sagna, che di movimenti difensivi e linea del fuorigioco non si è mai effettivamente interessato, a rendere regolare la posizione del vecchio agitatore di polemiche, ma la bandierina alzata salva il povero Szczęsny che già aveva dovuto mettere le mani sulle gambe degli avversari. Probabilmente sarebbe finita con un rosso al portiere polacco e rigore per i Blues. Un inizio non proprio idilliaco.

L’Arsenal prova ad attaccare, lasciando campo al contropiede avversario (non proprio temutissimo visto lo spilungone davanti e chi dovrebbe appoggiarlo), cercando in tutti i modi di accendere quel trio delle meraviglie incompiute. Invece a passare in vantaggio è davvero il City. Un corner alla mezz’ora vede Žigić sostare al centro dell’area piccola, davanti a Szczęsny. I difensori attorno si preoccupano solo della torre serba, fregandosene degli altri avversari. Il cross però arriva sul limite dell’area, dove il Blues Roger Johnson riesce a deviarlo verso la porta. Il pallone va in direzione di Žigić. Tutti lo sanno, tutti si avventano su di lui. Lo circondano, Szczęsny prova a mettergli le mani attorno. Non serve a nulla. Dall’altro dei suoi due metri, il serbo arriva comunque per primo sul pallone e la spizza a lato del portiere polacco. È 1-0 per il Birmingham.

Ora si tratta di tenere duro. Barry Ferguson già lo sta facendo, visto che si è incrinato due costole ma continua a giocare imperterrito. I Gunners provano ad alzare il ritmo, e la resistenza dei Blues dura solo dieci minuti. Jack Wilshere prende una sonora traversa con un bellissimo tiro da fuori area, e mentre il legno ancora suona sordo la palla finisce sul lato dell’area di rigore, in mano al folletto russo Arshavin. Andrei non può che mangiarsi il diretto avversario e arrivare sul fondo, per mettere la palla in mezzo dove vola Robin Van Persie. Una girata difficilissima, perché al volo e molto bassa, dritta all’angolino. L’olandese si infortuna, contrastato duro sul tiro da Jiránek e cadendo male. Continuerà a giocare per un po’, poi a metà secondo tempo deve subire il cambio. Entra Lord (purtroppo non per la Regina, ma per tutti noi comuni mortali sicuramente) Nicklas Bendtner.

Ecco, le sostituzioni sono una di quelle variabili che nel calcio possono scardinare una partita ben preparata. La panchina dell’Arsenal è sicuramente superiore a quella dei rivali. C’è Marouane Chamack, arrivato giusto all’inizio della stagione dal Bordeaux come il prossimo grande bomber dei Gunners, oppure Kieran Gibbs, giovane promettente anche per la Nazionale. Di là tanti nomi di basso profilo, tutti autoctoni a parte due. Uno è cileno ma dal sapore francese, Jean Beausejour, l’altro è di quelli che non ti aspetti. Obafemi Martins è appena tornato in Inghilterra, perché è appena diventato padre e vuole stare vicino alla famiglia. Dopo Inter e Newcastle, la sua parabola calcistica è sicuramente in declino. Le famose capriole dell’attaccante nigeriano l’avevano portato fino in Russia, fin quando il Birmingham era stata l’unica squadra di Premier ad accogliere la sua richiesta. È nella Second City da meno di un mese, ha giocato solo due partite, ma è a disposizione e a 7 minuti dal termine entra.

Il Birmingham aveva tenuto il pareggio fino a quel momento. Foster indubbiamente il migliore dei suoi, a salvare il risultato sulle folate offensive dell’Arsenal. Per la verità i Blues hanno preso un palo su un tiro di Keith Fahey, ma i Gunners meriterebbero nel complesso la coppa. Il trio delle meraviglie però non è riuscito a incidere più di tanto. Nasri a parte qualche dribbling ubriacante ha espresso poco, Arshavin è stato più sostanzioso ma si è fermato davanti i guantoni di Foster, Rosický ha mandato a lato una buona occasione ma a parte la buona volontà non ha inciso. Così gli ultimi minuti il City lancia dalle retrovie per le spizzate di Žigić, un rebus irrisolvibile per Koscielny che dovrebbe marcarlo.

All’89’ c’è l’ennesimo lancio. L’ennesima deviazione, lontano dalla porta, di Žigić. La palla va verso Koscielny che vorrebbe rilanciarla, ma Szczęsny pare chiamarla. Non si capiscono. Il difensore francese proprio all’ultimo leva la gamba. Il portiere polacco non ha la prontezza di acchiappare il pallone al volo, che invece sbatte sulle sue ginocchia e rotola poco lontano. Dove non c’è un suo compagno. No, appostato lì incredulo c’è proprio Oba-Oba, appena entrato e sicuramente non nella migliore condizione, che deve solo spingere in rete il più facile dei gol che ha realizzato in carriera e far partire ancora una volta le iconiche capriole, anche sul prato di Wembley.

La partita si chiude qui. Gli ultimi arrembaggi degli uomini di Wenger non hanno esito. Sul palco del nuovo Wembley non ci sono i regnanti d’Inghilterra, ma il popolo della Second City se lo fa bastare. Il Birmingham City vince il suo secondo alloro nazionale, dopo cinquant’anni di attesa. Ben Foster è di nuovo Man of the Match, come due anni prima. Stephen Carr alza al cielo la League Cup per la seconda volta, dopo la vittoria col Tottenham troppo tempo prima. E poco importa se a fine stagione i Blues retrocederanno, perché ancora una volta, una delle ultime volte (merito del Wigan due anni dopo), la magia della coppa è di nuovo apparsa sui campi d’Inghilterra.

Leggi anche: La vita secondo Lee Bowyer, il rissaiolo del calcio inglese

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