Giugno 2004. A Parma non c’è neanche il tempo per godersi la qualificazione in Coppa UEFA ottenuta dai crociati, che un terremoto economico-sociale investe l’intera cittadina. Scoppia il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta della storia europea: il crac Parmalat. Anche la società calcistica deve correre ai ripari e, per cercare di salvare il salvabile, è costretta a cedere i pezzi pregiati del Tardini.
I gioielli di fattura sopraffina, in quegli anni, militano inaspettatamente in Primavera. Sono due giovani dalle belle speranze: il primo è Giuseppe Rossi, talento cristallino la cui ascesa nell’olimpo del calcio verrà ostacolata da una serie interminabile di infortuni, il secondo invece, forse meno noto, si chiama Arturo Lupoli. Di mestiere fanno entrambi gli attaccanti.
Quei ragazzi sono veri e propri fiori all’occhiello dell’intero panorama calcistico giovanile. I numeri del tandem offensivo sono sorprendenti. Tra i due si è creata un’alchimia tanto perfetta quanto devastante. Lupoli chiude la stagione con ben 27 reti messe a segno, dando sfoggio di grandi abilità tecniche, coniugate a una velocità fulminea e ad un mancino assai educato. È un piccolo folletto che ha nel suo sinistro un pungiglione letale. Già prima del crac finanziario su di lui è forte l’interesse di numerosi club europei. A fine stagione la cessione è inevitabile.
A spuntarla sulle numerose concorrenti è una big del calcio inglese, niente meno che l’Arsenal di Wenger. Il tecnico francese ha sempre avuto un occhio di riguardo per le giovani pianticelle sparse per il vecchio continente: un talento cristallino come quello di Arturo non può passare inosservato dalle parti di Highbury.
Una volta atterrato a Londra, sarebbe lecito aspettarsi una lunga gavetta nel settore giovanile. Tutto vero, se non fosse che con Wenger le gerarchie non esistono, tantomeno se fondate sull’età. Il ragazzo venuto da Brescia sa giocare, e bene: dispone di doti tecniche ed atletiche che possono tornare utili al tecnico francese per pungere a partita in corso. Un’arma inedita in un arsenale di tutto rispetto, che sino a quel momento aveva spazzato via qualsiasi avversario che fosse sfortunatamente incappato sul proprio cammino. L’Arsenal era infatti chiamato a replicare un’impresa eroica, poiché migliorarsi non poteva, all’indomani della trionfale cavalcata degli “invincibili”.
Lupoli viene arruolato immediatamente alla prima squadra e ben presto trova l’esordio. Il palcoscenico non è un teatro di periferia, ma un tempio architettonico nuovo di zecca: al City of Manchester va in scena Manchester City-Arsenal, incontro valido per il terzo turno di Carling Cup. È una gara da dentro-fuori, ma Wenger non ha paura. Partite del genere hanno da sempre rappresentato per il tecnico francese un’opportunità per concedere minutaggio a giovani talenti. Il buon Arsene sa che può fidarsi di quel biondino, così lo manda dentro dal primo minuto. L’Arsenal si impone per 1-2, al termine di una partita sofferta. Il giovane Arturo risponde sul campo con una prova solida, senza strafare, ma il talento c’è e si vede.
Convinto dalla prestazione offerta dall’attaccante italiano, dopo poche settimane Wenger decide di puntare nuovamente su di lui. Questa volta si gioca in casa; nel mitologico Higbury è la volta di Arsenal-Everton, gara valevole per il quarto turno di Curling Cup. Lupoli viene scelto per affiancare un giovane (in futuro devastante) Robin Van Persie. Il piccolo italiano gioca una partita semplicemente stratosferica, mettendo a segno una doppietta. Per una notte Higbury è ai suoi piedi. Per una notte in casa Arsenal si è convinti di aver scoperto un nuovo gioiello, un talento cristallino. Dal crac-Parmalat al crac-Lupoli, è un attimo.
Immaginate che cosa abbia provato un giovane 19 enne nel far tremare sino alle fondamenta un tempio del calcio. Tutte le aspirazioni covate, le gocce di sudore versate, le rinunce fatte nel corso degli anni: tutte racchiuse in un grido di gioia (anzi due), davanti a migliaia di persone che ti stanno celebrando. Un flash immediato, in cui tornano alla mente le fatiche nei campetti delle giovanili, i pomeriggi e le sere in cui i tuoi amici escono e tu invece resti a casa “perché domani c’è allenamento”, la fidanzatina che ti piace tanto ma decide di lasciarti perché “pensi solo al calcio”. Chissà se, per un istante, il giovane Arturo avrà pensato: “ho pensato solo al calcio, ed ho avuto ragione io”.
Un pensiero effimero, così come effimeri nel calcio sono quei momenti. Attimi che sfrecciano come un treno ad alta velocità, che però fa un’unica corsa. Un treno difficilissimo da prendere, che una volta passato non torna più. Arturo su una di quelle carrozze sembra esserci saltato alla grande. Ma proprio di questo stiamo parlando, di una parabola discendente. Una storia che nasce come favola e che invece, in maniera beffarda, è destinata a tramutarsi in un grigio diario di occasioni perse, di scelte sbagliate, di ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato.
Lupoli mette dunque in mostra un gran talento: la grande velocità sprigionata nell’uno contro uno, a fronte di una poco sagace gestione tattica dei duelli da parte dei difensori made in England, sembra destinata a renderlo devastante.
Quegli anni però Arturo calca uno dei prati più competitivi d’Europa; in squadra ci sono quegli “invincibili” che neanche due anni prima avevano compiuto un’impresa storica, destinata ad assumere tratti mitologici. Certo, allenarsi con giocatori del calibro di Henry, Pirès e Campbell è un sogno, un pozzo da cui attingere un’infinità di sapere calcistico, specialmente per un giovane sbarbato come lui. In tutto questo, c’è un unico grande risvolto negativo: ossia che a fronte di simili campioni, Lupoli il campo non lo vede quasi mai.
Per questo, un uomo intelligente come Wenger, decide di mandarlo a giocare in prestito. La scelta migliore è scendere di un gradino, nella tostissima Championship, a forgiare il carattere e capire quanto sia duro battagliare su un terreno di gioco oltremanica. Occorre che il ragazzo si cimenti in una realtà nella quale non c’è spazio per le lamentele, ma solo per la corsa, il sudore ed il lavoro duro. Lupoli viene dunque girato in prestito al Derby County, nobile decaduta che comunque si appresta a giocare un campionato con ottime prospettive.
Ancora una volta, i risultati danno ragione a Wenger. Arturo si cala perfettamente nella dura realtà della Championship, diventando uno dei punti di riferimento della squadra. Quell’anno il giovane italiano si conferma una vera e propria spina nel fianco per le difese avversarie, collezionando 7 reti in 35 presenze e dando un contributo essenziale alla cavalcata del Derby County verso la promozione. Lupoli è un concentrato di tecnica e rapidità, ma non solo. Il ragazzo infatti dimostra anche una discreta duttilità tattica, che gli permette di agire sia da seconda punta, a sostegno del centravanti boa, che da esterno offensivo, ruolo in cui può sprigionare le sue doti atletiche e la velocità nell’uno contro uno. Il tutto coronato da un mancino educatissimo, efficace tanto in fase realizzativa quanto nello scavare dal fondo ottime parabole per i compagni. Ecco un piccolo estratto delle sue qualità.
Rientrato a Londra dal prestito, Lupoli sembra definitivamente pronto alla consacrazione. Le richieste sul mercato sono tantissime. Con tutta probabilità l’opzione migliore sarebbe quella di restare in Premier League, in una squadra di rango inferiore ai Gunners: e perché non un rinnovo del prestito proprio al neopromosso Derby County, in un ambiente a lui già familiare ed affine. La scelta è però diversa. Arturo decide di far ritorno in patria, più precisamente a Firenze, stregato dal richiamo di una piazza calda e di un progetto ambizioso: la famiglia Della Valle mette sul piatto l’offerta più convincente, assicurandosi le prestazioni del talento bresciano.
Da questo momento in poi le belle speranze di Arturo subiscono una brutta battuta d’arresto. Per l’attaccante lombardo ha inizio un’inesorabile parabola discendente: Lupoli arriva in Italia in pompa magna, a Firenze se ne parla un gran bene, le sue prestazioni sono sotto gli occhi di tutti, ma l’ambiente è diverso. Non c’è la stessa sfrontatezza nel lanciare giovani dalle buone speranze, a meno che non si dimostrino dei crac, e non è il caso di Lupoli. A maggior ragione se la Fiorentina in quegli anni può contare su un parco attaccanti trascinato da un mostro sacro come Mutu, re indiscusso della città, coadiuvato dalla staffetta Pazzini-Vieri. Senza poi contare l’esplosione a stagione in corso di un giovanissimo Pablo Daniel Osvaldo.
Insomma, la Fiorentina vanta un reparto offensivo che mischia qualità, gioventù ed esperienza, nel quale lo spazio per Arturo proprio non c’è. È per questo che già nel Gennaio 2008 viene girato in prestito al Treviso, nella serie cadetta, dove gioca titolare, contribuendo alla salvezza della squadra veneta, ma senza riuscire a incidere.
È solo l’inizio di un’interminabile girandola di prestiti e pellegrinaggi. Tornato a Firenze, la società gigliata lo spedisce nuovamente in prestito in Championship. Un ritorno alle origini per Arturo, un’occasione per rilanciarsi proprio sul palcoscenico che lo aveva portato alla ribalta. Niente da fare. Né al Norwich, tantomeno allo Sheffield, il giovane dalle belle speranze riesce a riscattarsi.
Tornato a Firenze, la società viola non sa che farsene. Quel ragazzo, fino a pochi anni addietro desiderato da mezza Europa, adesso è divenuto un peso di cui liberarsi. Che strano il calcio. È proprio vero, alle volte si tratta di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. E se fai una scelta errata, se ti trovi nel posto sbagliato al momento giusto, rischi di entrare in un torbido torrente di emozioni che finiscono per risucchiarti e toglierti ogni energia fisico-mentale. Perché il calcio sa anche essere un mostro psicologico: se non sei in grado di reggere la pressione, ti fa a pezzi. E la forza di risalire non può dartela nessuno, o quasi, se non tu stesso.
Dopo quattro anni di Serie B tra Ascoli e Grosseto, inizia per Lupoli una girandola di migrazioni in Lega Pro, alla ricerca di nuovi palcoscenici in cui poter riacciuffare il treno perduto. Quel talento però sembra essere sparito, le certezze non si trovano più, i numeri non aiutano, la fortuna neanche. Varese, Frosinone, Pisa, Catania, Sudtirol, Fermana. Arturo Lupoli, da giovane marinaio in terra inglese, a migrante in lega pro. Tante città, luoghi, persone; un incessante pellegrinaggio senza però riuscire a dare una svolta, un colpo di reni per risalire la china.
Oggi veste la maglia della Virtus Verona e chissà se a 33 anni, correndo sulla fascia, “l’eterno giovane” Arturo si volterà indietro, a pensare ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.