Nella sua terra è il Willem II a notarlo per primo: il ragazzino ha il baricentro basso e le movenze di un’anguilla. Tradotto, non lo prendi mai. Dribbling e cross a mitraglietta. Sentenze sotto porta. Uno così, se ti chiami Louis Van Gaal, non puoi non notarlo: il guru degli allenatori lo porta in quell’Ajax sprezzante che fa del duello individuale il suo mantra. E Marc qui si diverte a manetta. Con i lancieri vince tre titoli e una Champions, contribuendo in modo decisivo a scolpire un glorioso e imperituro capitolo per il club che prende il nome dal guerriero Ajace.
Le sirene londinesi, però, riecheggiano già nell’aria. Arsene Wenger lo porta all’Arsenal: ed è qui che, se possibile, Overmars diventa un giocatore ancor più totale. Il Beep Beep che conosciamo. Un prospetto semplicemente ingiocabile. Nel nord della City, a due passi dal Tamigi, un fenomeno c’è già ed è olandese come lui: si chiama Dennis Bergkamp. Per Marc non è un problema: veste i panni dello scudiero di talento e comincia a fare quello che gli riesce meglio. Fare assist. Fare goal.
Alla terza giornata piazza già la prima perla, contro i Saints: converge da sinistra, manda al bar un paio di avversari e la piazza sul primo palo, con una sfrontatezza imbarazzante. L’intesa con il connazionale è atomica. Uno manda in rete l’altro, a ripetizione. L’Arsenal è primo in classifica. C’è soltanto un problema, una stramaledetta incognita che tempesterà la carriera dell’olandese: Marc è di cristallo.
Si ferma tre giornate per un risentimento muscolare ed anche i Gunners si inceppano, si avvitano, perdono quota. Overmars ritorna proprio quando Wenger sta lanciando il May Day. Il rientro è provvidenziale: ad Highbury arriva lo United, ma con un motorino perennemente acceso in squadra anche le vette più insidiose diventano morbide colline: finisce 3-2 per Wenger.
Marc si ferma ancora, l’Arsenal perde nuovamente terreno. Torna e stende il Leeds, con una doppietta ed una serie di giocate abbacinanti. Le ginocchia però continuano ad essere di gomma. Alla trentesima riecco il Man Utd, a Old Trafford. Le squadre sono appaiate a 57 punti in classifica. Quel giorno Overmars si rivela semplicemente ingestibile per la difesa dei Red Devils. Sbuca ovunque, dribbla mancuniani con la cadenza di un distributore automatico di Cola intasato di monetine, gli negano un rigore limpido, sfiora il gol saltando Schmeichel. E alla fine lo trova, infilandosi in area come un ago in mezzo a un esercito di palloncini rossi, bucando i sogni del teatro e il portiere danese. Old Trafford ammutolisce. Ferguson tira la vena nel collo e perde lo sguardo nel vuoto. Utd 0, Marc 1.
L’asso olandese si ripete ancora nei match successivi, fino al 3 maggio 1998. Ad Highbury l’Everton viene asfaltato – lui mette via una doppietta – e il titolo ritorna sulla sponda biancorossa di Londra dopo 7 anni d’attesa. Non finisce qui: nella finale di FA Cup, tredici giorni dopo, a Wembley, i Gunners devono vedersela ancora contro lo Utd. Marc si conferma l’anatema portatile scagliato contro la brama di successo di Sir Alex. Gol e vittoria Arsenal. Un copione che si ripeterà anche il 9 agosto, in occasione del Charity Shield: c’è anche la sua firma nei tre gol rifilati ai Red Devils, che ne escono ancora una volta con le ossa rotte.
L’immenso potenziale dell’imprendibile olandese viene tuttavia diluito da una tempesta di infortuni. Marc assomiglia sempre più ad una splendida freccia di cristallo. Passerà al Barcellona, dove disputerà quattro stagioni. I guai fisici però lo costringeranno a chiudere tutto a soli 31 anni.
Il ricordo però non si dissolverà mai. Marc Overmars resterà sempre, probabilmente insieme a Ryan Giggs ed a pochi altri eletti, l’incarnazione dell’ala totale.