Benoit Assou-Ekotto ha rappresentato il prototipo del calciatore moderno al contrario, la cui vita spesso scorre sulle bacheche dei social network o sulle prime pagine dei tabloid.
Impegnato nel sociale, affascinato dalle mille sfumature di una città cosmopolita come Londra, il terzino classe 1984 ha vissuto il periodo principale della sua carriera al Tottenham. Proprio nel quartiere del nord-est della capitale, prima comunità caraibica del mondo fuori dal continente americano, Benoit ha scelto di vivere senza mai far pesare il suo status di calciatore di un blasonato club di Premier League ed, anzi, adoperandosi in prima persona come raramente accade nel dorato mondo dello sport.
Spesso i tifosi si sono trovati il giocatore sul bus che collega la stazione di Seven Sisters a White Hart Lane, se non durante il tragitto a piedi, lungo un miglio e mezzo, che separa lo stadio degli Spurs (forse il più scomodo da raggiungere fra tutti quelli londinesi) dalla stazione underground più vicina.
Una scena di per sé insolita in Inghilterra, di pura fantasia in Italia.
Assou-Ekotto, persona semplice, dotato di una schiettezza perfino disarmante:
“Per me il calcio vero è sempre stato quello giocato in Francia con i miei amici, con spensieratezza: quando è diventato il mio lavoro l’ho sempre vissuto al massimo dell’impegno ma senza alcuna ossessione, finito l’allenamento diventavo un turista cercando di spendere al meglio i miei guadagni” aveva dichiarato il giocatore africano al Guardian.
Già, l’Africa, terra d’origine che Benoit ha onorato scegliendo di giocare per il Camerun, da cui il padre David partì ancora minorenne per arrivare a Nizza dove diventò calciatore professionista. Nonostante sia nato e cresciuto ad Arras, non lontano da Calais, quindi eleggibile per la nazionale maggiore francese, Assou-Ekotto ha sempre avuto le idee chiare riguardo i colori da indossare.
“Non ho mai percepito alcun feeling con i compagni di squadra francesi, mi è venuto naturale vestire la maglia del Camerun e vado orgoglioso di questa scelta”, aveva dichiarato il terzino, che ha vestito la maglia che dei Leoni Indomabili per 24 volte tra il 2009 ed il 2014.
Non sono mancate le critiche nei confronti del giocatore mancino che, tra i suoi vezzi, ha avuto quello di giocare con due scarpe di colore diverso. Assou-Ekotto, grande amico di Alex Song (sfidato nel North London Derby) aveva anche espresso un marcato “dissenso per l’elevato livello di ipocrisia che gira attorno al mondo della Premier League, dove tanti giocatori non solo guadagnano cifre spropositate ma non hanno alcuna interazione sociale: vivono in una bolla, fuori dal mondo.
Per me è una cosa senza alcun senso”.
Benoit si è legato al Tottenham ed a Tottenham, inteso come quartiere cosmopolita, melting pot, in cui camminando sui marciapiedi di fronte ai locali senti odori di cucina africana, di spezie orientali e di frutta esotica, trovi le botteghe con le offerte a pochi pounds per farti i dreadlock.
Il terzino degli Spurs fu protagonista per la sua generosità (non solo a parole) nell’estate 2011, quando scoppiò una rivolta popolare per la morte di Mark Duggan, ragazzo di colore ucciso dalla Polizia sul ponte di Ferry Lane nei pressi della stazione di Tottenham Hale, in un contesto molto simile a quanto accaduto di recente a Minneapolis con George Floyd.
Le proteste sono diventate i London riots, con cinque vittime, decine di feriti, incidenti, devastazioni, incendi, rapine ed un quartiere sotto assedio.
Fu anche rinviata, in maniera inedita quanto inevitabile, Spurs-Everton per motivi di ordine pubblico, essendo Bill Nicholson Way e le vie intorno allo stadio di fatto impraticabili e troppo pericolose. Gli scontri ed i vandalismi si estesero anche in altre zone di Londra e periferie del Regno Unito, Birmingham su tutte, per un’estate particolarmente calda per le forze dell’ordine. Assou-Ekotto, sia in autonomia che tramite la Tottenham Hotspur Foundation, aveva donato parte del suo stipendio in soccorso delle famiglie disagiate della zona, incontrando una delegazione delle stesse sia per far terminare gli scontri che, soprattutto, per capirne le ragioni.
Sia in privato che ripreso dalla telecamere, più volte aveva consumato pasti nei vari locali etnici del quartiere, spesso insieme ai giovani, fermandosi a parlare con loro.
Scene davvero inedite, la maggior parte senza l’utilizzo di telefoni e giornalisti al seguito, segno di interesse vero e non strumentalizzazione mediatica.
Nella rubrica che per settimane ha tenuto sull’Evening Standard (free-press distribuito ogni pomeriggio nelle stazioni della metropolitana), Benoit aveva invitato tutti i colleghi indistintamente a “mettere le mani in tasca ed aiutare, in prima persona, le persone in difficoltà senza fare finta di non vederle: basta fare gli avidi e pensare sempre solo ai soldi, pensiamo alla comunità ed a chi ci sta vicino. Se abbiamo una coscienza, usiamola”.
Un messaggio sociale forte, un segno della sensibilità della persona per cui il calcio non è solo un gioco, ma un momento di gioia e di aggregazione.
Davvero lontano dagli stereotipi, Benoit Assou-Ekotto.