Le truppe tedesche di stanza nella città subiscono ingenti perdite, così come l’indifesa popolazione civile. Manca la manodopera per poter cercare velocemente eventuali superstiti tra le macerie, e i pochi volenterosi rimasti si arrangiano come possono tra la fuliggine che non accenna a posarsi a terra. Qualche salvataggio riescono comunque a portarlo a termine, così dopo tre giorni dal bombardamento rinvengono ancora vivo tra le macerie di una scuola un giovane paracadutista ventiduenne, con la Croce di Ferro appuntata sul petto, di nome Bernhard Trautmann. Poco tempo dopo, ripresosi appena dall’ennesimo incidente quasi mortale della sua breve vita, il soldato capisce che ne ha viste abbastanza. Invece di ritornare a combattere, mentre il fronte sta sempre più arretrando, decide di tornare a Brema dove ancora vive la sua famiglia.
Il viaggio a piedi però è molto pericoloso. Non può farsi riconoscere dai suoi connazionali, nonostante il riconoscimento più alto per un militare del Reich guadagnato dopo anni di campagne, pena accusa di tradimento e fucilazione istantanea. Ovviamente non può neanche esser trovato dai soldati alleati. Così avanza di nascosto cercando di nascondersi alla vista di qualsiasi essere umano ma commette un errore fatale, fermarsi ad aiutare dei commilitoni anch’essi feriti, e viene catturato da una coppia di soldati americani. Lo interrogano in un granaio senza ottenere importanti notizie di intelligence. Quando però lo portano fuori a mitra spianato, l’incredibile istinto di sopravvivenza di Trautmann prende ancora una volta possesso del suo corpo e il paracadutista scappa. Gli americani rimangono di sasso e non provano a sparare nemmeno un colpo. Bernhard corre a perdifiato per i campi, senza fermarsi mai, respirando affannosamente mentre cerca di mettere più distanza che può dal nemico. Passano soli dieci minuti, salta l’ennesima siepe senza neanche guardare cosa l’aspetta dall’altra parte della rete, quando si trova davanti un soldato che sorride beffardamente. Un inglese, addetto alle comunicazioni a terra, che col fucile imbracciato lo schernisce: “Hello Fritz, gradiresti una tazza di tè?”.
Bernhard Trautmann, il fiero prodigio ariano
Bernhard Carl Trautmann nasce il 22 ottobre 1923 a Brema. Primo di anni nefasti per la giovanissima Repubblica di Weimar, diciassette giorni dopo in una birreria di Monaco Adolf Hitler tenterà per la prima di volta di assumere il controllo della Germania fallendo miseramente. Il padre Carl era un chimico che lavorava al porto e fiero possessore della tessera di iscritto al Partito Socialdemocratico. Fin da ragazzino è evidente quanto Bernhard sia portato per lo sport. Fa atletica, si disimpegna nel calcio dove gioca con la squadra locale come centrocampista, ma il suo sport preferito è il völkerball: una sorta di palla avvelenata giocata 10 contro 10 in un piccolo campo da gioco.
Cresce alto, biondo e forte. Ha un temperamento ribelle, incline allo scontro. A otto anni ha una violenta rissa con un compagno di scuola, che vede Trautmann riempirlo talmente tanto di botte da lasciarlo in fin di vita. L’insegnante medita di espellerlo ma alla fine lo incoraggia a sfogare la sua aggressività nell’attività sportiva. Due anni dopo entra in una associazione giovanile appena creata, la sezione per bambini dai 10 ai 14 anni della Gioventù Hitleriana chiamata Jungvolk. Trautmann è il perfetto esemplare di ragazzino dal fisico e modi ariani da indottrinare. L’operazione riesce perfettamente. Bernhard avrà un rapporto sempre più difficile col padre, visto come un socialista debole di mente per la sua relazione con la birra. Il ragazzo continua a praticare vari sport nell’organizzazione e riceve anche un attestato di eccellenza firmato direttamente dal presidente della Repubblica Paul von Hindenburg.
L’ascesa di Hitler al potere rende entusiasta il ragazzo di Brema. Finalmente la Germania potrà rialzare la testa guidata dal suo uomo forte. Il Fuhrer punta molto sul controllo delle giovani generazioni, sia attraverso un cambiamento dei programmi scolastici che con la diffusione capillare delle associazioni giovanili e dei programmi di lavoro doposcuola. Tutti i ragazzini devono essere convinti sostenitori della causa nazionale e familiari con i concetti di razza, pronti a scendere in guerra. Bernhard è uno dei più convinti. È pronto a sacrificarsi per il Reich, ha un fisico scolpito da anni di sport e a scuola ci va più che malvolentieri. Appena compiuti 17 anni decide di arruolarsi come volontario. Inizialmente sceglie di entrare nella Luftwaffe come specialista nelle comunicazioni, ma fallisce l’esame finale e viene spedito a Spandau alla scuola per paracadutisti. Nel maggio 1941 finisce l’addestramento e viene dislocato in Polonia, nelle retrovie del fronte orientale.
La lontananza dalla zona delle operazioni significa molto tempo libero. Trautmann lo passa soprattutto a fare sport e a organizzare scherzi con i suoi commilitoni. Quando però uno di questi non riesce perfettamente procura un’importante ustione al braccio di un sergente. Ancora una volta il suo spirito ribelle rischia di fargli fare una brutta fine. Spedito per direttissima alla corte marziale viene condannato a tre mesi di prigionia, ma dopo pochi giorni viene colpito da un fortissimo dolore all’addome. La diagnosi è chiara, si tratta di appendicite acuta. Se la malattia fosse stata scoperta qualche ora dopo sarebbe sicuramente morto. Per fortuna era in prigione e non sul campo. La sentenza viene tramutata in degenza all’ospedale militare.
Dopo essersi ripreso viene rispedito al fronte, ma se precedentemente aveva visto la guerra da lontano e in maniera infantile, ora si inizia a fare sul serio. Arriva nella regione di Dnipro, nella parte orientale dell’Ucraina. L’Operazione Barbarossa si è definitivamente bloccata su quel fronte, e i nazisti possono solo saccheggiare le rotte di rifornimento dei sovietici e terrorizzare la popolazione. In una gelida notte invernale Trautmann e un suo compagno si addentrano in un bosco dopo aver sentito delle urla. Riescono a non farsi scorgere mentre avvistano un manipolo di SS che ha catturato un nutrito gruppo di civili. Le urla dei paramilitari “Juden! Juden!” riempiono sinistramente la foresta. Dopo pochi minuti le SS iniziano il massacro degli ebrei. Nessuno dei civili rimane vivo. I due soldati si allontanano silenziosamente dalla zona, forgiati per la vita da una cicatrice indelebile.
Trautmann però non rinnega il dovere verso il Reich e combatte valorosamente al fronte, ma ormai i favori della guerra orientale non sono più con i nazisti. L’Unione Sovietica inizia a riguadagnare il terreno perso, fa arretrare la Wermacht colpendo sistematicamente le truppe tedesche rimaste. Il giovane paracadutista si distingue per coraggio e valore rimanendo in trincea con i suoi commilitoni nonostante una pallottola piantata nella gamba. Sopravvive quando il treno su cui viaggia viene fatto saltare per aria. Dopo esser stato catturato dai russi riesce addirittura a fuggire dal campo in cui viene rinchiuso. Alla fine riesce a tornare indietro, uno dei 300 sui 1000 e più membri della sua unità. Viene insignito di cinque medaglie al valore, una di queste la Croce di Ferro Prima Classe (la più alta medaglia al valore militare del Terzo Reich), prima di essere di nuovo mandato al fronte nel 1944, anche se stavolta ad affrontare gli Alleati in Francia. Si accorge presto che la guerra sta per essere persa, i nazisti perdono ogni giorno terreno mentre britannici e statunitensi iniziano a premere ai confini della Germania. Il suo reggimento trova riparo a Kleve, pronto a difendere le proprie postazioni metro per metro.
Bert Trautmann, il prigioniero di guerra diventato giocatore di football
Oostende, Essex, Northwich, Fort Crosby e infine Ashton-in-Makerfield. Il viaggio di Bernhard Trautmann nei campi di detenzione inglesi è lungo. Uno dei soli 90 uomini a sopravvivere del suo reggimento, il tedesco pensa che da lì a poco la sua vita prenderà una piega ancora più brutta. Viene inizialmente classificato come prigioniero di tipo C, considerato come un nazista a tutti gli effetti. Ma l’ex parà ventiduenne appare fin da subito come uno dei giovani indottrinati dal Reich e viene presto declassato al tipo B, perdendo l’accezione nazista. Già a Northwich ritrova la possibilità di fare attività sportiva, che tanto era mancata nei lunghi anni di guerra. Ma gli inglesi giocano solo a una sola cosa, il football. Così anche lui torna a toccare un pallone con i piedi, prima come laterale sinistro e poi come centrale o centrocampista difensivo.
Il campo di Ashton è la sua ultima destinazione da prigioniero di guerra. Perfettamente a metà strada tra Liverpool e Manchester ma più vicino a Wigan, il campo accoglie molti altri prigionieri tedeschi. Uno di questi è Günther Lühr, un altro giocatore di football, che solitamente si prende il ruolo di portiere. In una partita della domenica mattina contro una rappresentativa locale, Trautmann subisce un intervento molto duro. Le sostituzioni non esistono ancora, e l’arbitro lo “invita” a uscire dal campo. Bernhard, ormai diventato Bert per i britannici incapaci di pronunciare correttamente il suo nome, però non vuole mollare il colpo. Si rifiuta di farsi vedere debole dai suoi carcerieri. Così è Lühr a trovare la soluzione: lui diventa giocatore di movimento e Trautmann diventa per la prima volta portiere.
Si vede subito che ha un talento naturale per il ruolo. La sua formazione nell’atletica lo ha dotato di un fisico guizzante e di grande agilità nel salto, sia laterale che in verticale. La sua passione per il völkerball gli ha lasciato riflessi spaventosi e guizzi repentini. L’addestramento da paracadutista gli ha insegnato a tirarsi a terra e a non aver paura di lanciarsi in avanti verso il nemico. La guerra lo ha segnato nel profondo, rendendolo costantemente vigile di ciò che ha attorno e con un ardente desiderio di vincere a ogni costo. Il suo temperamento rimane quello della giovinezza, e anche nel campo un paio di volte si lascia andare a qualche comportamento non tollerato sul campo. Nonostante la sua provenienza, e i motivi per cui è rinchiuso ad Ashton, è chiaro a tutti che questo è veramente un portiere eccezionale.
Nel 1948 il campo di Ashton chiude i battenti. Ai prigionieri rimasti viene offerta la possibilità di tornare in patria. Bert incredibilmente rifiuta. Non ha bisogno di vedere cosa è rimasto della sua terra natale. In più sembra aver trovato il suo posto nel mondo. Ha conosciuto una ragazza, tale Margaret Friar figlia del segretario del St. Helens Town, una squadra di quarta divisione vicina a Huyton. Gioca come portiere nella modesta selezione locale e lavora per disinnescare gli ordigni di guerra nel paese. La reputazione del portiere tedesco ex soldato nazista cresce molto, più per le sue prestazioni eccelse in campo che per il suo passato. Alla finale di Mahon Cup, una coppa dilettantistica locale, del 1949 accorrono addirittura 9.000 spettatori, la maggior parte dei quali per osservare le prodezze del numero 1.
Lo stile di gioco di Trautmann poi è spettacolare: si lancia in tuffo verso gli attaccanti pronti a tirare verso la sua porta, pronto a smanaccare via il pallone dai loro piedi, senza timore delle conseguenze di un brutto impatto. Sembra sapere sempre dove vogliono andare o dove vogliono calciare, e li anticipa costantemente. Non si fa problemi a far sapere all’arbitro se ha subito un torto in campo. Inoltre è uno dei primi portieri pararigori della storia del gioco. In tutta la sua carriera salverà il 60% dei tiri dal dischetto contro di lui. Nel football del dopoguerra non è raro vedere giocatori saltare molte categorie a piè pari, e Trautmann è troppo forte per poter rimanere in quarta categoria. Quando arriva voce a Manchester, sponda City, che c’è un ex soldato tedesco molto bravo in porta i dirigenti si fiondano a contattarlo. I Citizens hanno appena vissuto il ritiro del loro idolo Frank Swift e hanno bisogno di un nuovo portiere. Lo firmano subito, senza pensare alle conseguenze dell’acquisto. Dalla stagione 1949-1950 Bert Trautmann sarà un portiere di First Division.
L’idolo del Manchester City
Manchester ha subito come buona parte dell’Inghilterra i bombardamenti furiosi della Luftwaffe. Inoltre è sede di una delle comunità ebraiche più grandi del regno. È facile quindi immaginare la reazione di tutti, tifosi e normali cittadini, nonché della stampa, alla notizia dell’arrivo di Trautmann. 40.000 persone si riversano per le strade di Manchester a voler ricacciare indietro la “feccia nazista” acquistata dal club. Migliaia di lettere arrivano alla dirigenza, minacciando di non andare più a vedere le partite, di organizzare un boicottaggio contro il City, oppure giurando di insultare il nuovo portiere ogni volta che sarebbe entrato in campo per tutti i novanta minuti. Bert stoicamente resiste alle pressioni, e armato delle sue scarpette da gioco Adidas (era amico del fondatore Adolf Dassler) si allena con i Citizens e si fa un mese nella squadra riserve.
Ci sono però delle persone che si comportano differentemente con lui. La maggior parte sono uomini e donne normali, fuori dalla luce dei riflettori, che decidono di regalargli un lusso: il tentativo di farsi conoscere come persona, prima che come ex soldato tedesco. La sua educazione e il suo modo di fare affabile, l’estrema lealtà e l’innata riservatezza fanno breccia. Chi decide di conoscerlo non parla che bene di lui. Anche qualche tifoso non abiura a priori la sua scelta, tanto che in una lettera dai toni chiari un fan Citizens scrive: “Non me ne fotte nulla (I don’t give a shit) cosa sei o da dove vieni, basta che sai giocare a football…”
Poi arrivano due personaggi pubblici in suo supporto. Il primo è Eric Westwood, terzino sinistro della squadra. È il capitano del City e soprattutto è un reduce dai combattimenti in Normandia. In privato ha espresso qualche riserva sull’acquisto di Trautmann, ma quando si presenta al pubblico dichiara lapidario: “Non c’è la guerra nello spogliatoio”. Il secondo invece si chiama Alexander Altmann, è slovacco e austro-ungarico di nascita ma è fuggito nel ’38 in Inghilterra. Studioso dell’ebraismo ortodosso e rabbino della comunità ebraica di Manchester, Altmann aveva perso entrambi i genitori e altri parenti a causa dei nazisti. Ma il giorno prima del debutto casalingo di Trautmann scrive una lettera aperta al Manchester Evening Chronicle. Senza mezzi termini il rabbino implora la comunità e i tifosi di Manchester di dare una chance all’ex soldato tedesco, di cercare di mostrargli rispetto prima di conoscerlo. Non deve essere un giovane ex soldato a essere il bersaglio della rappresaglia di una popolazione intera che ha sofferto durante la guerra.
Bert Trautmann esordisce a Bolton, dove concede tre gol nel secondo tempo. Dagli spalti le minacce e gli insulti si sprecano. “Mangiacrauti”, “feccia”, “Sieg Heil!”, “Nazista muori!” sono solo alcuni dei colorati epiteti che volano verso di lui come rasoiate. Alla prima in casa però, contro il Birmingham, in un contesto leggermente più tranquillo la porta rimane inviolata. I Citizens vincono 4-0 e Trautmann si rende protagonista della sua prima ottima prestazione a Manchester. I tifosi di casa però ancora non sono convinti. Al terzo match a Derby il City prende sette gol. Bert non è l’unico da incolpare per la prestazione terribile ma è chiaro che la pressione costante contro di lui ha lasciato il segno. La partita successiva si gioca in uno stadio ancora più caldo. Per la prima volta il portiere tedesco va a giocare a Londra, passando per le strade appena ricostruite dopo la devastazione portata dalla sua Luftwaffe. I cortei contro Trautmann sono pieni di tifosi arrabbiati. Tutta la stampa inglese è pronta a saltare addosso alla vittima designata. Le vicinanze di Craven Cottage esplodono di rabbia, mentre il City si prepara ad affrontare il Fulham.
La partita inizia sotto i boati dei tifosi, entrambe le fazioni intente a massacrare il portiere tedesco. Il City subisce subito il primo gol, e giù altri fischi e altri insulti. Ma da quel momento succede qualcosa di inaspettato. Trautmann oppone resistenza. Non permette più all’ambiente di farsi influenzare, e nonostante la sua squadra sia incline a non giocare decide di non subire più gol. Para tutto il parabile e aggiunge svariati miracoli calcistici. Gli spalti passano dal feroce rancore all’astio silenzioso, alla muta sorpresa e ammirazione. I giocatori del Fulham non sanno più come fare, e al termine i 90 minuti la partita si conclude sull’1-0. Secondo i giornalisti presenti un più tennistico 6-0 sarebbe stato il risultato più appropriato, ma quel diavolo di un portiere non ha voluto finisse in quel modo. Quelli del Fulham e anche quelli del City, strabiliati dalla prestazione, non possono far altro che rimanere in campo ad applaudire. Dalle terrazze del Craven Cottage i tifosi si uniscono a quella che diventa a tutti gli effetti una standing ovation.
Il punto di svolta della carriera di Bert Trautmann è indubbiamente questa prestazione. I tifosi di casa non possono negare di avere un fenomeno tra i pali, e iniziano a considerarlo per il giocatore che è e non per il soldato che era. In trasferta ancora trova molta ostilità nei suoi confronti ma con l’aiuto dei compagni impara a superarla. Il City non si separa più da Trautmann, che salterà solo una manciata di partite nei suoi primi sei anni a Manchester e solo per intemperanze sul campo. Come quando nel novembre 1954 prima urla ripetutamente all’arbitro: “chi ti ha fatto arbitro?” e poi una volta espulso dà come nome “Stanley Matthews”. Arriva meritato il ban per due giornate. Dopo una retrocessione e un’immediata promozione nelle stagioni precedenti, è nel 1955 e nel 1956 che arrivano i momenti più importanti della sua carriera.
Uno dei due portieri più forti del mondo
Il Manchester City non è una squadra così forte. Sul lungo periodo, in un campionato difficile, non può mai dire la sua per il titolo. Così l’allenatore Les McDowall decide di porre ancor di più l’accento sulle prestazioni in FA Cup. Il titolo è ancora il più ambito d’Inghilterra, Elisabetta II e il principe Filippo ancora assistono alla finale a Wembley e ogni squadra sogna di vincere il trofeo. McDowall da un paio d’anni ha dato una svolta radicale al gioco della sua squadra. Vuole un gioco basato sul possesso palla costante. I pilastri di questo tipo di tattica sono due: il centravanti Don Revie, la prima seconda punta della storia del calcio inglese, un giocatore lento e compassato ma forte tecnicamente più adatto a fare da perno della squadra che da punta boa lì davanti; e il portiere Bert Trautmann, che da ex giocatore di völkerball era capace di fare lunghi rilanci con le mani verso i terzini, così da mantenere il possesso del pallone e non perderlo con calcioni verso la metà campo. Prima del tedesco solo il portiere ungherese Gyula Grosics si era visto giocare in questo modo. Questo stile, chiamato Revie Plan, diventa il marchio di fabbrica dei Citizens.
Nel 1955 riescono ad arrivare alla finale di FA Cup, dopo una battaglia nel fango del Villa Park dove hanno la meglio 1-0 del Sunderland. Gli ultimi avversari però sono ancora più affermati, quel Newcastle United capace di vincere la coppa già nel 1951 e nel 1952 guidato da Jackie Milburn. La squadra è tesa, così come Trautmann. Il fenomenale portiere è il primo tedesco a disputare una finale di FA Cup. La partita inizia col botto, Milburn segna dopo 45 secondi. Al 18′ uno dei terzini del City subisce un infortunio lasciando la squadra in dieci. I Citizens riescono anche a pareggiare, ma una disattenzione di Trautmann e la mancanza di abitudine a disputare questo tipo di gare permette al Newcastle di portare a casa la partita 3-1.
L’anno successivo succede l’impronosticabile. Il City raggiunge di nuovo la finale. Trautmann disputa un’annata fantastica, tanto che viene incoronato miglior giocatore dell’anno dalla FA. È il primo straniero a ricevere il trofeo, così come il primo portiere. La squadra ha finito il campionato al quarto posto, e arriva alla partita di Wembley con più fiducia ed esperienza della stagione precedente. Di fronte trova il Birmingham, un avversario sicuramente più abbordabile. Infatti come l’anno precedente Milburn segnò prestissimo, così stavolta è il City ad andare a rete dopo soli tre minuti. Gli altri però non mollano facilmente e pareggiano dopo un quarto d’ora. La partita scorre fino a metà secondo tempo, quando due lampi dei Citizens in cinque minuti portano il risultato sul 3-1. Il Birmingham a questo punto si riversa in avanti.
Al minuto 75 un cross arriva nell’area del City. Dopo una sponda di un compagno, l’attaccante Peter Murphy vede il pallone arrivare sulle sue tracce poco lontano dalla porta difesa da Trautmann. Murphy si avventa sulla sfera, ma il portiere tedesco non è da meno. Anzi è proprio il suo stile quello di lanciarsi senza remore su palloni del genere, stoppando i tiri sui piedi dei centravanti avversari. Stavolta però succede qualcosa. Bert arriva con la testa sul ginocchio sinistro di Murphy prima che con le mani. L’impatto è forte, terribile, col pallone che rimane fermo in mezzo ai due. L’attaccante del Birmingham urla di dolore, Trautmann rimane immobile a terra. La preoccupazione è forte in campo e sugli spalti. Il medico del City arriva sul campo e dopo qualche minuto rimette incredibilmente in piedi il tedesco. Ancora non erano previste sostituzioni, e nulla al mondo avrebbe permesso al portiere di abbandonare la sua squadra.
Gli ultimi quindici minuti di partita sono uno strazio. Trautmann ciondola davanti la porta, come fosse ubriaco, massaggiandosi il collo e faticando a rimanere in piedi. La vista gli si è appannata, distingue solo sagome sfocate in un mondo in bianco e nero. Eppure appena la palla arriva dalle sue parti balza a prenderla. Compie alcune parate esemplari, compreso un altro tuffo simile a quello precedente per levare ancora una volta la possibilità a Murphy di segnare. Ormai incapace di muovere testa e collo arriva finalmente il fischio finale. Il Manchester City ha vinto la FA Cup 1956 battendo 3-1 il Birmingham. Trautmann esulta in preda al dolore, tanto che quando arriva sul palco per la premiazione il principe Filippo si preoccupa delle sue condizioni. Quattro giorni dopo arriva il responso dei raggi X svolti al Manchester Royal Infirmary: dislocazione di cinque vertebre del collo, con la seconda spezzata letteralmente in due. Solo il posizionamento anomalo della terza, incastrata sulla rovina di quella sopra, ha permesso a Trautmann di sopravvivere ai successivi scontri e alla fine della partita.
Bert Trautmann, il gentleman
Bobby Charlton, dall’altra parte della barricata in quel di Manchester, racconta che per due-tre stagioni Trautmann è stato il portiere più forte della First Division. Era impossibile fargli gol. “The man was inhuman.”. Racconta pure che il leggendario Matt Busby fosse solito parlare di un solo portiere nel suo discorso pre-partita: “Non fermatevi a pensare dove calciare con Trautmann. Prima colpite e poi pensate. Se alzate lo sguardo e ci pensate quello vi guarda nell’anima e ferma il tiro”. Anche il portiere più forte di tutti tempi, il russo Lev Yashin, dichiarò che “Ci sono stati solo due portieri di classe mondiale. Uno era Lev Yashin, l’altro quel ragazzo tedesco che giocava a Manchester.”
Bert Trautmann ha conquistato con le unghie e con i denti un posto nel cuore degli appassionati di football inglese, non solo quelli del Manchester City. Partito come soldato nazista bersagliato più di ogni altro è riuscito a guadagnarsi il rispetto di tutto il mondo del calcio, oltre che di una nazione intera. Dopo il tremendo infortunio ha avuto bisogno di mesi di cura e riabilitazione, ma alla fine è tornato a giocare con i Citizens chiudendo la sua carriera nel 1964 dopo 545 partite. Alla sua partita testimonial si presentarono 47.000 spettatori a tributare l’ultimo saluto. Dopo qualche avventura da allenatore in categorie inferiori inglesi e tedesche, la Federazione calcistica della Germania l’ha utilizzato come volto nuovo per esportare il calcio nei paesi in via di sviluppo. Ha allenato le nazionali di Birmania, Tanzania, Liberia, Pakistan e Yemen, prima di ritirarsi finalmente nel 1988 a Valencia. Prima di morire nel 2013 creò la Fondazione Trautmann, che aiuta i giovani a esprimere coraggio e lealtà in ambito sportivo.
I demoni del passato ancora lo tormentavano. Il massacro di ebrei a cui assistette nelle foreste di Dnipro lo ha segnato a vita. Negli ultimi anni rispondeva spesso a domande riguardanti la guerra, spiegando come fosse essere col fucile in mano davanti a centinaia di soldati pronti a spararti per sopravvivere. Ha sempre ringraziato profusamente gli inglesi, nonostante l’astio iniziale, per l’accoglienza riservatagli durante gli anni. Ma il punto più alto della sua vita è sempre stato quella finale del 1956. Nel 2004 la Regina Elisabetta decise di renderlo Ufficiale Onorario dell’Ordine dell’Impero Britannico, l’onorificenza maggiore da poter ricevere per i suoi meriti nel promuovere le relazioni tra Germania e Inghilterra dopo la guerra. Memore della partita di Wembley, la sbarazzina regnante quando lo vide avvicinarsi lo apostrofò: “Ah, Herr Trautmann, mi ricordo di lei. Ha ancora male al collo?”