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domenica 24 Novembre 2024
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Caro Marc, ecco tutto quello che non ti ho mai detto

8 ' di letturaDear Marc,

Non si capisce mai il dolore di perdere un familiare quando meno te l’aspetti fino a che non si prova di persona. Pensavo di trovarti qui, con i tuoi vestiti firmati e il tuo gruppo di amici di sempre, pronto a festeggiare chissà quale altro mio traguardo. Magari tornare su un campo di Premier League a 40 anni suonati, magari semplicemente il mio ritiro da calciatore professionista.
Fa troppo male pensare a te in questo momento. L’idea che quella Nissan abbia falciato via la tua vita in una frazione di secondo mi riempie e non riesco a far nulla. Sono intrappolato in questo circolo vizioso, in cui cerco di fuggire dal dolore della tua perdita ma la mia testa non può far altro che tornare a te.
E allora ho deciso di scriverti. E siccome non posso, non ce la faccio proprio a scrivere di te, ti parlerò di me come non ho mai saputo fare. Ti dirò tutte quelle cose che non ho mai voluto rovesciarti addosso, tanto a che sarebbe servito mi dicevo. Tanto vivi (vivevi) a poche decine di miglia, tanto basta una telefonata. E così il mio essere quieto e riservato ha come sempre preso il sopravvento, sei sempre stato tu il chiacchierone tra i due. E non ti ho mai raccontato molto di come mi sentivo. Quanto vorrei poterlo fare ora, viso a viso.

Non ho mai pensato di ringraziarti a fondo per quanto mi hai sostenuto durante tutta la mia carriera. Mi ricordo bene cosa mi dicesti quando stavo per andare a Birmingham. Avevo 16 anni ed ero ovviamente spaventato. Andare via da Brighton, anche se insieme a Michael, era difficile. Via dalla famiglia, via dagli amici, a 200 miglia di distanza in una città nuova. Mamma e papà hanno insistito perché non finissi a Londra, ma in una città più piccola dove potessi crescere con calma. Ero spaventato da morire. Ma la notte prima di andar via tu mi prendesti da parte, con quel fare da fratello maggiore che anche se hai solo due anni più di me hai sempre avuto in quei momenti. Mi guardasti negli occhi. “Brother, non aver paura di andar via. Sei fortissimo a giocare a pallone. Andrà tutto bene, lo sai. Noi ti staremo sempre accanto, tiferemo tutti per te a casa.”. E così mi hai rassicurato, e non sai quanto mi è servito sentirmi dire queste poche parole.

Non ti ho mai raccontato fino in fondo quanto odiassi i cambi di posizione che mi facevano girare la testa al Villa. Ogni nuovo allenatore era un nuovo giro di giostra per me, ma ero nato come un centrale a centrocampo e lì volevo giocare. Ma niente, Gregory mi faceva stare con Southgate in mezzo alla difesa o terzino sinistro, Graham Taylor mi faceva giocare ala sinistra e O’Leary pure. Solo O’Neill finalmente capì che il mio destino era essere un mediano. Ho passato anni nel limbo, ogni due stagioni dovevo entrare nelle logiche di una nuova posizione in campo e capirne i meccanismi. Non puoi immaginare quanto fossi frustrato. Chiaramente ero contento di giocare sempre, ma sentivo di non esprimere il mio gioco fino a che non mi mettevo in mezzo. Sono sempre stato un uomo squadra a disposizione dell’allenatore e poche volte ho detto qualcosa. Ma che nessuno volesse farmi giocare in mezzo al campo mi irritava profondamente.

Lo sai che non sono mai stato un atleta favoloso. Ero disciplinato, mi sono sempre allenato al meglio, ho fatto quel che dovevo per allungare la carriera il più possibile. Ma non ero mai il più veloce, neanche in famiglia. Probabilmente Bradley è più veloce di me. Eppure gli allenatori insistevano a mettermi in fascia. Ogni tanto alle cene di famiglia per le feste vi divertivate a prendermi in giro. Ma tu lo capivi, mi lanciavi uno dei tuoi sguardi penetranti e comprendevi che in fondo mi faceva male, e fermavi tutti. Non me ne sono mai voluto lamentare con te però, non mi volevo mostrare debole.

Ricordo ancora i miei primi traguardi, li abbiamo sempre festeggiati insieme. La mia prima convocazione in Nazionale, i primi goal col Villa, le prime 100 partite in Premier, e poi le 200 e infine i 300 match. Il più giovane di sempre, prima di Frankie Lampard. Sei sempre stato tra i primi a chiamarmi e congratularti. Avevi sempre tempo per fare due chiacchiere quando passavo da casa. E mi spronavi sempre a far meglio, a giocare meglio. Sei stato il primo a dirmi di prendere l’occasione di andar via da Birmingham quando avrei potuto. Mi faceva sempre ridere quando te la prendevi con la dirigenza dell’Aston Villa che non mi faceva andar via, quante gliene hai dette! Ma nulla, nonostante O’Neill mi dipingesse come un traditore mi vollero tenere lì un altro anno.

È incredibile quanto i tifosi abbiano la memoria corta. Mi sono sentito dire di tutto quando finalmente sono andato via, i Villans ormai mi stavano stretti. Meritavo di poter giocare in Champions. Meritavo la chance di poter vincere dei trofei, e onestamente a Birmingham non avrei mai potuto neanche provarci. Lo sapevi tu come lo sapevo io, e mi hai sempre incoraggiato a fare il meglio per la mia carriera. Con umiltà e perseveranza, come ti sei sempre comportato nella vita. I nostri genitori ci hanno cresciuto in questo modo, e tu lo incarnavi alla perfezione. E ricordo bene quella volta che venisti a trovarmi e si trovarono due tifosi per la via, come scattasti subito al primo coro contro di me. Sempre a proteggermi quando potevi. “Ha dato tutto per la vostra maglia di merda, è così che lo ripagate?” gli urlasti a pieni polmoni. Mamma mia come scapparono veloce quando ti videro così arrabbiato!

Sai che la Nazionale è sempre stato un tabù per me. Prima Ericksson che non mi ha chiamato, poi gli infortuni sempre prima di un evento importante. Capello stravedeva per me, ma era chiaro quanto non potessi mai essere in forma per i Mondiali nel 2010. Ti ricordi cosa ti dissi? Avevo paura che non riuscissi a dare un contributo importante. Ma Don Fabio si fidava troppo delle mie capacità di mediano, e lui come te credeva ciecamente in me. Ricordo che dopo quel 4-1 contro la Germania non riuscivo a sollevare lo sguardo da terra. Ero stato preso in velocità da Ozil, e me ne vergognavo. Capello di solito urlava ferocemente, ma finita quella partita non sapeva neanche lui cosa dire, era chiaro fosse successo qualcosa di strano. Ricordo anche quando ti sentii quella sera, la dolcezza con cui mi dicesti di star tranquillo. Ma mi vergognavo tanto per non esser stato capace di portare la mia Nazione sul tetto del mondo. Come ben sai, era il mio più grande sogno da calciatore. Quante volte da piccoli giocavamo a pallone e io sognavo di essere Bobby Charlton ai Mondiali del ’66? Poi dopo che un altro infortunio mi tenne fuori da Euro 2012 smisi anche di crederci. Non mi hanno più chiamato. Tu provasti a tirarmi su di morale, a farmi credere che ci fosse ancora qualche speranza per una chiamata. Ma dopo qualche mese smettesti anche tu.

Non ti ho mai sentito tanto felice quanto il giorno in cui vinsi la Premier. Eravamo ancora in spogliatoio, Super Mario e il Kun che dirigevano le bottiglie per festeggiare. Io seduto sulla panca ancora incredulo guardo distratto il telefono e vedo la tua chiamata. Rispondo rimbambito, e dall’altra parte tu che urli come uno scalmanato. Io ancora non realizzavo che dopo 466 partite di Premier finalmente ero riuscito a vincere il campionato. Io che agli occhi di tutti non valevo quanto Frankie Lampard o quanto Stevie Gerrard, e l’ho sempre accettato. Ma essere inferiore a un Hargreaves o a un Carrick mai. Eppure quanti mi consideravano inferiore a tanti nomi che sono andati e venuti nella Premier. Quell’anno Mancini più volte mi disse che secondo lui ero uno dei centrocampisti più forti d’Inghilterra, perché ero completo e intelligente sul campo e lavoravo sempre più degli altri per migliorare. Proprio come mi hai sempre detto tu. E alla fine ce l’ho fatta, ho vinto la Premier. E tu pure, con me sempre al mio fianco.

Alla fine arrivò Pellegrini sulla panchina a Manchester, e lui non mi vedeva per nulla. Capii subito che sarei andato via. Ero disperato, sapevo di meritare di più. 32 anni per un mediano di centrocampo non sono tanti, ma quello non volle sentir ragioni. Avevo paura di non trovare un club di una certa importanza che mi volesse. Ricordi cosa mi dicesti al tempo? “Ma che te ne frega di che dice quel sudamericano! Hai un’offerta dell’Everton? Vai e divertiti! Hai vinto la Premier, hai vinto la FA Cup. Ora devi giocare stagione per stagione, divertirti e vedere quanto riesci ancora a durare. Ricordati che cambiare nella vita non vuol dire mai tornare indietro, ma sempre andare avanti”. E avevi ragione. Giocare a Goodison Park, senza la pressione delle montagne di soldi del City, è stato come tornare indietro di anni. Tutto filò liscio passai quattro anni meravigliosi.

Quando seppi che anche all’Everton non mi volevano rinnovare il contratto ci rimasi un po’ male. Ero arrivato a 600 presenze ormai, come non mancavi di ricordarmi spesso. “Solo i vecchi noiosi come te giocano così tanto a calcio” dicevi sempre. E finito il campionato nel 2017 mi mancava poco per raggiungere Giggs in cima alla classifica. “Stai tranquillo che a un club di Premier il futuro primatista di presenze servirà a qualcosa, anche solo per scaldare la panchina 70 minuti a partita”, mi riuscivi a calmare e nello stesso tempo a far ridere come nessun altro. Alla fine per ironia della sorte è stato il WBA a offrirmi la possibilità di scavalcare Giggs, e sono diventato il giocatore con più presenze in Premier League con la rivale più accanita dell’Aston Villa. Ci facemmo una grassa risata al pensiero di tutti quei tifosi Villans rancorosi che ora si staranno mangiando le budella vedendomi indossare la maglia dell’Albion.

Il record l’ho battuto, ma mi sono fermato a 653 presenze. Come sai siamo retrocessi quest’anno. È la prima volta che mi succede in carriera. Ti ricordi cosa mi hai detto qualche giorno fa, l’ultima volta che ti ho sentito? “Gareth, hai 37 anni. Hai superato Giggs. Chi se ne frega se siete retrocessi. Ti piace ancora giocare, se loro ti vogliono ancora gioca in Championship. I soldi non ti mancano, la passione pure. Non devi niente a nessuno. Gioca per il piacere di prendere a calci qualche culo troppo giovane rispetto al tuo”. Avessi saputo che sarebbe stata la tua ultima telefonata, ti avrei detto almeno grazie. E invece no, come al solito ti ho risposto dandoti della merda che mi prende sempre in giro. Sai, ho voluto tornare ad allenarmi pochi giorni dopo che te ne sei andato, per evitare di pensare. Nessuno ci credeva quando mi sono ripresentato al campo così presto.

E così sto per ricominciare a giocare. La mia prima stagione in Championship, sempre col WBA. Come avresti voluto tu. Giocherò col tuo nome sulle labbra e con il tuo spirito nel cuore, perché anche se non sei più con noi in questo mondo triste il tuo modo di vivere rimane sempre con me. Grazie Marc, grazie per tutte le volte che mi hai capito senza che ci fosse il bisogno che dicessi nulla. Grazie per tutte le volte che mi hai difeso, che mi hai rincuorato, che mi hai ripreso. Grazie per essere stato il mio big brother e il mio migliore amico, la mia guida e la mia ancora. Grazie per non aver mai preteso nulla in cambio. Spero di non deluderti.

Con amore, tuo fratello
Gareth.

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Questo articolo contiene una versione romanzata del rapporto tra Gareth Barry e il fratello Marc. I fatti della carriera di Gareth sono invece autentici, così come l’incidente del fratello.

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