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Charles Reep, l’inventore del “Palla avanti e pedalare” in salsa british

8 ' di letturaIl primo pare esser stato Mario Sperone, allenatore del Milan nella stagione 1952/53. È stato però il Paròn, Nereo Rocco, a portare questa espressione nel gergo di tutti gli italiani che seguivano il calcio. “Palla avanti e pedalare”, una di quelle frasi che ci ricordano i tempi che furono, un calcio più semplice e d’annata. Ora ci si vergogna anche un po’ a utilizzarla, soprattutto se affiancata alla partita di una grande squadra. I dettami tattici moderni sono diversissimi, e quegli allenatori che non guardano all’estetica tanto quanto al risultato sono considerati dei retrogradi.

Lanciare il pallone il più possibile in avanti sul campo da gioco, senza passare da intricate manovre di metà campo, è stato per anni un marchio di fabbrica del calcio, non solo italiano. Più o meno negli stessi anni, dall’altra parte della Manica nasceva la stessa idea di gioco. Curiosamente però, il promotore di questa visione aveva pochissimo in comune con Sperone e Rocco. Prima di tutto, non era un allenatore, anzi non faceva proprio parte del mondo del calcio.

Era un contabile, e veterano della Royal Air Force. Ma soprattutto, non intendeva quel “Palla lunga e pedalare”, o come lo chiamava lui “Long ball football”, come mezzo per difendersi, ma come modo più efficiente per segnare più reti possibili. E tutto ciò non nasceva solo da una sua convinzione, ma dall’apporto di una gran serie di dati. Perché Charles Reep è stato, sopra ogni cosa, il primo analista della storia del calcio.

Un giovane contabile alla RAF

Sulla frastagliata costa della Cornovaglia fustigata dal vento, Torpoint è una piccola cittadina di qualche centinaio di anime. Pianificato a metà del ‘700 come zona di residenza per gli operai delle vicine industrie, è sostanzialmente un carino distaccamento di Devonport. Ogni giorno chi lavora nella zona portuale di Plymouth prende un grane traghetto bianco e blu che lo trasporta da una parte all’altra del fiume Tamar. Proprio a Torpoint nasce, nel 1903, Thorold Charles Reep.

Charles è sempre stato forte coi numeri, puntiglioso nel controllare ogni singolo dettaglio. Tanto che dopo essersi diplomato alla Plymouth High School decide di diventare un contabile. È davvero in gamba, tanto che come molti suoi coetanei della zona si trova alla fine a servire sotto Sua Maestà. Stranamente non cerca di entrare in Marina, che a Devonport ha una delle sue basi più importanti, ma vince un concorso per entrare nella Royal Air Force.

Siamo nel 1928. Reep non può neanche immaginare che meno di vent’anni dopo verrà spedito in Germania, nel pieno dell’ultimo anno di combattimenti della Seconda guerra mondiale. Raggiungerà il grado di “wing commander”, molto di più di quello che tanti si aspettano da lui. Lascerà l’aeronautica nel ’55, dopo quasi tre decadi di onorata carriera. Forse presto rispetto ad altri, ma non gliene importa nulla: la sua grande passione, a parte quella dei numeri, è il football, ed è proprio lì che sta facendo qualcosa di mai visto prima.

Gli aerei della RAF nella Seconda guerra mondiale

Charles Reep, tifoso e appassionato del W-M

Il calcio è sempre stato nella vita di Charles Reep, come più o meno tutti gli inglesi. Quando ancora a Torpoint andava sempre all’Home Park a guardar giocare il Plymouth Argyle, poi l’entrata nella RAF equivalse al trasferimento nella grande Londra. Così il contabile del sud ha modo apprezzare il meglio del calcio inglese, decidendo di seguire maggiormente il Tottenham e soprattutto il grande Arsenal di Herbert Chapman.

Chapman lo fa proprio impazzire. Aveva un modo diverso di vedere il gioco, di studiare la tattica e la disposizione degli uomini in campo. Plasma la squadra come vuole, diversamente da tutti gli altri allenatori, e gioca sempre all’attacco. Il suo approccio offensivo, fatto di veloci transizioni guidate dalle ali esterne, è esattamente ciò che Reep pensa sia il miglior modo di giocare. Quando poi nel 1933 Charles Jones, capitano e terzino destro dei Gunners dell’epoca, si presenta al campo della RAF per tenere una serie di lezioni proprio sui principi di gioco della sua squadra, il giovane contabile è completamente rapito.

Nel 1947 Reep torna dalla guerra. L’Inghilterra si sta faticosamente riprendendo dagli sforzi di guerra, ma il football ha già ricominciato ad allietare le domeniche dell’isola. Il wing commander della RAF non ha perso la passione per il gioco nonostante il periodo trascorso a tener cara la pelle in Germania. Eppure, guardando le partite di campionato, appare sconsolato, quasi incredulo. Chapman è morto nel ’34, eppure a tredici anni di distanza ancora nessuno sembra implementare le sue idee rivoluzionarie. Non tanto per il W-M, la sua formazione classica, quanto per il modo di portare il pallone in avanti.

La nascita del sistema di analisi del football

Il 15 aprile 1950, al County Ground di Swindon, la squadra locale affronta i Bristol Rovers. I padroni di casa dominano il primo tempo, ma non riescono mai a creare seri pericoli alla porta avversaria. Charles Reep è sugli spalti, sempre più irrequieto. Non comprende perché lo Swindon giochi in maniera lenta e prenda conclusioni chiaramente troppo facili da neutralizzare. Ci vuole un approccio diverso. Lui però non è uomo di calcio, è un contabile, allora fa esattamente ciò che è da sempre abituato a fare: prende penna e taccuino, e inizia ad annotarsi tutto ciò che succede in campo.

Sono le 15:50, minuto più minuto meno. Per tutto il secondo tempo Reep non smette mai di scrivere. Tiri, passaggi, cross, tackles, nulla viene dimenticato. Che sia bravo a prender appunti già lo sapeva, ma capisce di esser andato oltre. Grazie a un sistema di simboli e note, è riuscito a scomporre il fluido scorrere del pallone tra i piedi di 22 ragazzi in un organizzatissimo elenco di azioni. Ha letteralmente scritto, d’impulso, la prima analisi di una partita di football.

Gli basta un anno per sviluppare a dovere il suo sistema di annotazione. Se già prima era un appassionato del gioco e dell’analisi di dati, l’unione di queste porta a un impalco tutto nuovo. Sì, perché Reep non ama solo collezionare appunti delle quaranta e più partite di campionato che andrà a vedere da quel punto fino alla fine dei suoi giorni. Lui cerca le prove analitiche delle sue convinzioni, della superiorità del suo modo di vedere il football rispetto alle altre squadre. Non è un vero e proprio analista, che guarda oggettivamente ai numeri e cerca di capire a quali conclusioni portano. Siamo ancora ben lontani dagli astrofisici messi sotto contratto recentemente dal Manchester City per studiare alcuni aspetti del gioco.

Stan Cullis, leggendario allenatore dei Wolves che lavorò per tre anni con Charles Reep

Il Wolverhampton di Cullis e Reep

Quando la RAF decide di spostare il wing commander vicino Birmingham, Reep avrà l’occasione più importante della sua vita. Poco dopo il suo trasferimento infatti conosce Stan Cullis, il manager dei Wolverhampton Wanderers. Siamo alla fine del 1951, i Wolves stanno crescendo ma non sono ancora la potenza destinata a incantare tutto il mondo. Manca un qualcosa, che arriva sotto forma dell’ex contabile della Cornovaglia. Reep siederà al Molineux e annoterà tutte le partite della squadra, lavorando poi con Cullis alla definizione del sistema di gioco.

L’allenatore dei Wolves è uno spirito affine. Pensa al calcio esattamente come lui. Vuole un gioco veloce, il pallone lanciato lungo in avanti, ali rapide che scardinino le difese avversarie e cross direzionati verso una parte precisa dell’area di rigore. Esattamente quello che Reep sapeva, statisticamente parlando, il punto da dove venivano segnate più reti.

Grazie a queste indicazioni, Cullis e il Wolverhampton dominano il campionato del 1953, ma non si fermano qui. Per mostrare la forza del club campione d’Inghilterra, al Molineux arrivano tutta una serie di squadre da ogni angolo del mondo per testare la forza dei Lupi. Celtic, Racing Club di Avellaneda, First Vienna, addirittura lo Spartak Mosca. Ognuna di queste viene battuta. Per finire, viene ospitato l’Honvéd di Ferenc Puskás. Le vinceranno tutte, anche contro gli ungheresi che pochi mesi prima hanno letteralmente umiliato la selezione britannica. Reep sarà sempre sugli spalti, e conserverà stretto il ricordo di aver visto e analizzato un campione come Puskás.

I dati raccolti da Charles Reep

Dopo l’esperienza al Wolverhampton e il ritiro dalla RAF, Charles Reep continuerà a lavorare come consulente per altre squadre, quando ufficialmente e quando invece solo discutendo via lettera con gli allenatori. Lo Sheffield Wednesday lo paga 750 sterline all’anno per tre stagioni, e sarà uno degli ultimi incarichi ufficiali che gli viene offerto. Da quel momento verrà sempre contattato, un po’ di nascosto, da allenatori disposti a ragionare dei suoi principi ma poco volenterosi di mostrarsi al suo fianco.

Questo perché i suoi principi, e i dati che raccoglieva secondo il suo punto di vista, suggerivano un’idea di gioco semplice quanto a un certo punto ostracizzata dai più. L’estetica nel calcio non serve a nulla. Reep sosteneva che la sua analisi raccontasse una storia ben precisa: per segnare un gol ci vogliono in media 10 tentativi; il 50% delle reti arriva da azioni formate da un passaggio o meno, l’80% da massimo tre passaggi consecutivi; il 50% dei gol arriva da azioni veloci che si sviluppano con un solo tocco dalla propria area; riguadagnare il possesso della sfera nella metà campo offensiva assicura molti più gol.

Il suo lavoro è talmente completo, guidato da una passione che non tramonterà mai in lui anche quando l’Inghilterra calcistica lo porrà definitivamente nel dimenticatoio, che anche dei veri e propri statistici rimangono affascinati dal suo lavoro. Nel 1968 firma un paper riguardo il football con Bernard Benjamin, futuro capo della Royal Statistic Society. È il primo lavoro accademico mai scritto sul gioco del calcio.

Phil Foden, ormai diventato una "punta" nello scacchiere del City. Uno sviluppo del calcio che Charles Reep non avrebbe mai gradito

Le ultime analisi

L’età avanzata non ferma il fuoco sacro del contabile del calcio. Chi lo va a trovare nella sua casa vicino Plymouth si becca una presentazione di almeno 5 ore, dove Reep espone tutti i dati che ha mai collezionato e che tiene costantemente aggiornati, compresa una cartografica delle partite a cui ha assistito dal vivo del Mondiale del 1958 in Svezia. Ancora negli anni ’80 è in contatto con manager che cercano aiuto dai suoi principi di gioco, come Graham Taylor al Watford, mentre nel ’93 viene ospitato a Oslo dalla federazione locale per assistere proprio al match contro l’Inghilterra. Tra i fiordi il suo lavoro veniva apprezzato e studiato da vent’anni.

Reep non si è veramente mai fermato nella sua azione di raccolta dati e analisi. Nel 1996, a 92 anni, guarda e studia la partita di Coppa UEFA tra Newcastle e Halmstad. Da Puskás a Asprilla e Ljunberg, il buon Charles ha visto e analizzato a quel punto 2193 partite. Alla sua morte il 3 febbraio 2002, quasi centenario, dice sia arrivato pressappoco a 2500 match. Non ha mai cambiato idea nella sua vita, nonostante in 60 anni di carriera abbia visto di tutto. Per lui il calcio era un sistema risolto dalla soluzione che aveva proposto già tanti anni prima.

Della sua scomparsa fece riferimento solo il Times con un piccolo necrologio. Da tempo ormai il “Long ball football”, il “Palla avanti e pedalare”, è considerato nel mondo del calcio come un sistema anacronistico e inefficace, pure brutto da vedere sul campo. Molte generazioni sono state cresciute cercando di sviluppare qualità diametralmente opposte a questo stile di gioco. Le conseguenze le vediamo oggi, quando il City arriva in finale di Champions non schierando praticamente da un anno una punta, quando il Barcellona ha reso famoso il falso nueve.

Charles Reep in patria ha trovato l’ostracismo di tanti, molti attori del football. Pochi hanno voluto, dopo Wolvers e Owls negli anni ’50, avere a che fare pubblicamente con lui. Eppure la storia di questo contabile diventato pilota e ufficiale d’aeronautica ci ricorda che il mondo del calcio non è fatto principalmente da grandi talenti intoccabili, da fondi d’investimento spendaccioni e da luccicanti salotti televisivi. Il football è passione, quella che guarda avidamente partite anche alla soglia dei cento anni, di diventare un analista senza avere manco un titolo accademico, di studiare con la stessa precisione Puskás come Asprilla. Lunga vita a Charles Reep, il primo analista del football.

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