David Ginola, in quattro parole, “il bello del calcio”. Non si tratta di un epiteto fuorviante, questa espressione mette a fuoco perfettamente ciò che Ginola ha rappresentato nell’immaginario collettivo degli anni ’90. Ginola incarna il bello, nel senso estetico del termine: occhi azzurri e fisico scultoreo, oggetto del desiderio dell’universo femminile a tal punto che viene da chiedersi se la sua faccia non sia più adatta a calcare il red carpet hollywoodiano oppure a girovagare in tour per gli stadi d’Europa piuttosto che a battagliare nel fango dei campi di calcio inglesi di metà anni’90. E invece no, David sa giocare maledettamente bene a calcio. Per questo non lo si può definire un bello qualsiasi, ma “il bello del calcio”: perché vedere Ginola correre, dribblare, incunearsi nelle difese avversarie con la leggerezza e la classe di un principe è uno spettacolo stupendo, migliore di qualsiasi biglietto che chiunque sarebbe disposto a pagare per vederlo recitare al cinema o cantare in concerto.
È il 1967 e a Saint Maxime, nel cuore della Costa Azzurra, viene alla luce un bambino che nel giro di qualche anno farà girare la testa ai difensori di mezza Europa. Talento tecnicamente purissimo sin dagli esordi, Ginola inizia la sua carriera in Francia nelle fila del Tolone, per poi trasferirsi al Racing Club de France ed in seguito al Brest. È proprio con la maglia del Brest che attira su di sé le attenzioni del Paris Saint Germain, che decide di acquistarlo. A Parigi giocherà per tre anni, vincendo due coppe di Francia e un titolo nazionale. Le prestazioni sono di altissimo livello, Ginola è già un calciatore maturo, che inizia a far parlare di sé anche a livello di competizioni europee.
Corre la stagione ’93-‘94, il PSG affronta il Real Madrid al Parco dei Principi nei quarti di finale di Coppa Uefa: l’undici parigino deve rimontare la sconfitta per 3 a 1 rimediata al Bernabeu, un’impresa che alla vigilia della gara appare titanica… Risultato? Il PSG batte per 4-1 la squadra madrilena e stacca il pass per la semifinale; Ginola disputa una partita semplicemente sublime, segnando il gol del 2-0 con un missile terra aria di controbalzo e mettendo in mostra tutte le sue capacità tecniche. Ogni dribbling sembra un film già visto: palla da una parte, avversario al bar. Il giorno seguente le prime pagine dei quotidiani sportivi sono tutte sue. Quando dopo neppure due anni il PSG ripeterà un’impresa ai danni del Barcellona nei quarti di finale di Champions le testate spagnole, memori di quella prestazione, lo ribattezzeranno come “El Magnifico”.
La carriera di Ginola è in ascesa continua ma, come è risaputo, in ogni romanzo che possa definirsi tale, c’è sempre un imprevisto capace di rompere l’idillio, una macchia in grado di trasformare una bella storia in un dramma.
La partita incriminata è Francia-Bulgaria, match decisivo valevole per la qualificazione dell’undici transalpino ai mondiali USA ’94. Alla Francia basta un pareggio per staccare il biglietto per gli States. Ginola entra in campo a pochi minuti dalla fine sul risultato di 1-1: allo scoccare del novantesimo minuto viene fischiata una punizione a favore della Francia nella trequarti avversaria. Palla battuta corta verso Ginola, che ha l’unico ed ovvio compito di tenere la palla alla bandierina e lasciar scorrere i minuti sul cronometro. Ed è qui che un giocatore che non ha niente di ordinario, tira fuori una delle giocate più assurde e incomprensibili mai viste. Scodella in mezzo un pallone sbilenco che sorpassa la testa di Cantona e finisce nei piedi degli avversari. Sul ribaltamento di fronte il dramma prende forma e si consuma in pochi secondi: lancio lungo, gol della Bulgaria e Francia fuori dai mondiali. Esplode un terremoto mediatico che vede come epicentro Ginola, lasciandosi alle spalle il dogma calcistico del “vinciamo in undici, perdiamo in undici”: il responsabile del fallimento francese è uno soltanto, Ginola.
Nel ’95, nonostante la vittoria della seconda coppa di Francia col PSG e le brillanti prestazioni nelle coppe europee, Ginola in patria sconta ancora il pesante fardello di quell’errore con la maglia dei “bleus”. In Spagna la gente stravede per lui. Sembra tutto fatto per il trasferimento in maglia blaugrana alla corte di Johan Cruijff, suo grande estimatore, tanto che l’olandese lo definisce “il migliore al mondo in quel momento”. Un complimento dal valore “discreto”, specialmente se a porgerlo è uno degli dei dell’Olimpo di questo sport. Niente da fare, la cessione salta, è un altro colpo di scena.
Inaspettatamente il viaggio è più breve del previsto, destinazione Oltremanica. Ginola decide di andare a fare la differenza in Premier League, dove meno te lo aspetti. Firma un contratto col Newcastle, approdando alla corte di Kevin Keegan.
Sarà un precursore del calcio inglese moderno, della qualità e intensità che oggi rappresentano il tratto distintivo della Premier. Ma a metà anni ’90, quello che oggi potrebbe essere considerato un banale approdo in Inghilterra di un top player, è un evento più unico che raro: in quel periodo il binomio Ginola-Premier League stona eccome.
E’ infatti una premier diversa da quella che conosciamo oggi: un campionato rude, fisico, in cui il fine manto erboso del Parco dei Principi altro non è che un lontano miraggio. Un campionato in cui il modello difensivo e temperamentale trova il suo massimo rappresentante in Vinnie Jones, non proprio il prototipo del calciatore esteta. Il principe in mezzo al fango, sembra un paradosso… Invece no, il risultato è a dir poco entusiasmante. E’ il principino che nobilita il campionato inglese, senza farsi membro della working class, senza abbrutire il suo stile di gioco e senza aver paura di dribblare nessuno dei rocciosi membri degli avamposti difensivi. Nessuno avrebbe potuto immaginare un impatto così devastante del damerino francese in mezzo a un calcio di duri atleti, nella patria dell’ ”hit and run” e del “in the box”.
Va anche detto che Ginola si trova nel posto giusto al momento giusto, o per meglio dire, alle dipendenze dell’allenatore giusto. Kevin Keegan è il coach dei Magpies, uno che di inglese ha solo il nome e il cognome, perché la sua idea di calcio è improntata a valorizzare l’estro e la fantasia, un gioco offensivo e spettacolare, che non prescinde dalla qualità tecnica sugli esterni, e che fa guadagnare ai giocatori l’appellativo di “entertainers”. In questo contesto un’ala dal talento sopraffino come Ginola non può che trovarsi a suo agio: essendo ambidestro, può indifferentemente giocare sia da ala classica che a piede invertito, ed è proprio in quest’ultima posizione che il francese è in grado di rendersi una vera e propria spina nel fianco per le difese avversarie, ponendo il suo marcatore in uno stato di perenne incertezza, dal momento che il francese può liberamente scegliere se rientrare verso l’interno del campo e puntare la porta o se invece andare verso l’esterno per pennellare uno dei suoi traversoni sublimi, specialmente se a riceverli in mezzo all’area c’è niente meno che Les Ferdinand, altro acquisto della faraonica campagna estiva del Presidente Sir John Hall.
La squadra allestita è dal valore indiscutibile. Nella prima metà di campionato viaggia al ritmo di una schiacciasassi, staccando di 12 punti il Manchester United di un giovanissimo Beckham, relegato in seconda posizione. C’è una variabile con la quale nessuno ha fatto i conti: a Ottobre termina di scontare la squalifica Eric Cantona, non uno qualsiasi, uno che le partite è in grado di risolverle da solo, uno che col suo carisma è in grado di trascinare un gruppo intero ad imprese memorabili. Così accade. L’incubo di qualche anno addietro si materializza di nuovo per Ginola, che cade, assieme ai compagni, sotto la scure del come-back dei Red Devils. Emblematico è lo scontro diretto tra le due compagini, pressoché dominato dal Newcastle, ma vinto per 1-0 dallo United grazie alla rete firmata da Cantona, unico tiro nello specchio in tutta la gara. È una storia maledetta. Nelle successive otto partite i Magpies raccoglieranno soltanto due vittorie, consegnando il titolo ai Red Devils all’ultima giornata.
Nella stagione ’96-’97 approda a St Jame’s Park un certo Alan Shearer, lui sì eroe della working class, che al prezzo di 15 milioni di sterline diviene il giocatore più pagato di sempre. Il Newcastle riparte col favore del pronostico e, ancora una volta, all’avvio non delude. Otto vittorie nelle prime dieci di campionato, l’ultima delle quali è un roboante 5-0 ai danni della squadra di Ferguson, da ricordare anche per una delle reti più belle che Ginola abbia segnato in carriera. La strada sembra essere spianata, l’Inghilterra intera sorride all’ipotesi di un Newcastle campione, anche lo spauracchio dello scontro diretto sembra essere caduto: il dio del calcio ha deciso diversamente. Nelle dieci giornate successive il Newcastle vince solo due volte, Keegan si dimette. Al suo posto viene ingaggiato Kenny Dalglish, che porterà la squadra a confermare il secondo posto in campionato, ma che è anche quanto di meno simile possa esserci rispetto al suo predecessore. La filosofia di gioco improntata all’attacco sembra essere un lontano ricordo: l’attenzione per la fase difensiva e l’ordine tattico è meticolosa, la corsa, i chilometri e la tempra requisito indispensabile. Lo spazio per l’estro e la fantasia si riduce drasticamente e anche un talento puro come quello di Ginola non risulta essere apprezzato dal nuovo tecnico.
Le strade tra Ginola e il Newcastle si separano. E’ il momento di cambiare aria. Il principino approda nella capitale, precisamente a White Heart Lane. Con la maglia del Tottenham giocherà due anni, vincendo l’unico trofeo della sua esperienza in Inghilterra: la Coppa di Lega del 1999.
E’ il giorno della semifinale di Coppa di Lega. Si gioca Tottenham-Barnsley. Maglia bianca, numero 14 sulle spalle (una bella responsabilità, specialmente se qualche anno prima hai ricevuto l’investitura per indossarla da Cruijff), Ginola danza sul campo, a cadenzare i suoi tempi di gioco sono i biondi capelli che gli cadono sulle spalle. Un respiro prima di ricevere il pallone, poi una delle giocate più belle e naturali che si siano mai viste su un campo di gioco inglese: parte dalla linea del fallo laterale e salta quattro avversari, cambiando direzione in corsa quattro volte, portandosi avanti la palla prima di esterno, poi d’interno e poi di nuovo di esterno, prima di entrare in area e concludere di piatto a giro, rasoterra, sul secondo palo. Ginola, “Le Magnifique”, ritorna come un eco.
Anche l’avventura con gli Spurs è destinata a tramontare. Nel corso della seconda stagione il rapporto col coach George Graham si fa sempre più teso fino a rompersi, vuoi per sfacciataggine, vuoi per carisma da vendere dei soggetti in questione. David Ginola si trasferisce a pochi chilometri di distanza, vestirà la maglia dell’Aston Villa. A farla da padrona è la voglia di dimostrare a tutti che a 33 anni non è da ritenersi un calciatore finito. Le intenzioni sono le migliori, i risultati pessimi. Dopo un breve periodo entra in conflitto col manager, il quale lo relega in panchina per lo scarso rendimento, accusandolo in conferenza stampa di essere in un pessimo stato fisico, attribuendogli del “ciccione” mediante un infelice paragone con un celebre pupazzo della TV inglese. Per David è uno smacco troppo grosso, non può restare a guardare. Proprio lui, il bello del calcio, testimonial per svariate pubblicità e case di moda, lui che dell’aspetto fisico ne ha sempre fatto un punto di forza e di marketing, adesso veniva considerato “ciccione”; un vero e proprio insulto alla sua carriera, alla sua reputazione. “Per uno che ha sempre curato il proprio aspetto, era un’affermazione difficile da accettare” affermerà in seguito lo stesso Ginola.
Di modi incisivi per reagire alle critiche un calciatore ne ha uno soltanto: attendere la sua occasione e affidarsi ai propri piedi. E l’occasione arriva anche per Ginola. E’ il 16 Dicembre del 2000 e si gioca Aston Villa-Manchester City. I Villans sono sotto 2-1 sino a quattro minuti dalla fine, poi Ginola si ricorda di che pasta è fatto: destro terrificante al volo e palla in rete, 2-2. Il primo pensiero non è quello di esultare ma di togliersi rabbiosamente la maglia, piazzarsi al centro del campo e mostrare all’intero stadio il suo fisico scultoreo, gettando uno sguardo di sfida verso la panchina sulla quale siede il suo allenatore. Eccola, a suo tempo, la rivincita di David. L’ultimo atto di un bello che si rivolta al passare degli anni, al tramonto di una carriera. È con questa immagine, con lo sguardo e il ruggito di un leone che David Ginola saluta per l’ultima volta il grande pubblico.
È qui che, nell’immaginario collettivo, si chiude simbolicamente la carriera di un rivoluzionario, senza contare un ultimo opaco anno trascorso sulla sponda blu della Merseyside, in cui niente è da rilevare se non un tramonto già annunciato.