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sabato 23 Novembre 2024
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Dean Ashton, il predestinato con le caviglie d’argilla. L’erede di Alan Shearer che si arrese a soli 26 anni

9 ' di letturadi Remo Gandolfi 

Ho atteso questo momento per anni.
Ho giocato praticamente in tutte le rappresentative giovanili inglesi.
Tutti continuavano a dirmi che ero un predestinato, che questo giorno sarebbe arrivato di sicuro… che era solo questione di tempo.
Il mio esordio con la Nazionale del mio Paese, l’Inghilterra, finalmente è arrivato!
Fra meno di un’ora scenderò in campo. Al mio fianco ci saranno Steven Gerrard, Rio Ferdinand, David Beckham, Gareth Barry…
In realtà questo momento era già arrivato, due anni fa.
Steve Mc Laren era il nuovo allenatore della Nazionale Inglese.
Era l’agosto del 2006 e per l’Inghilterra si voltava pagina… per l’ennesima volta, dopo l’ennesima delusione. Questa volta ai mondiali di Germania.
Mc Laren spese parole importanti per me.
«È il centravanti che la Nazionale inglese sta aspettando da tempo. Il classico centravanti come vuole il nostro stile classico ma con in più un particolare non da poco: sa giocare a calcio, anche e soprattutto con i piedi».
È il giorno prima della partita. Stiamo provando degli schemi offensivi. Sono al centro dell’attacco, con Jermaine Defoe che si muove intorno a me, come seconda punta.
E sono al settimo cielo.
Domani si giocherà un’amichevole con la Grecia. A Wembley.
Trovatemi un bimbo delle nostre parti che giochi a calcio e chiedetegli dove vorrebbe giocare. «Wembley! -vi risponderà- E con la maglia bianca dei Leoni inglesi addosso».
Stiamo facendo una piccola partita, 6 contro 6. Siamo solo noi, attaccanti e centrocampisti: i titolari previsti per l’indomani attaccano, le riserve fanno da difensori. Classica partitella da fine allenamento.

 

Dean Ashton esulta dopo un gol: l’ariete britannico si fermerà a 26 anni

Vado incontro ad una palla che mi appoggia Steve Downing. La stoppo, faccio la finta di andare a destra e poi vado via dalla parte opposta. All’improvviso da dietro mi arriva un botta tremenda, alla caviglia sinistra sulla quale mi stavo appoggiando. Sento un dolore lancinante, quasi irreale.
Che senso ha un’entrata del genere? È una partitella del cazzo, a fine allenamento, a meno di 24 ore dal match! Penso immediatamente che Darren Bent o Peter Crouch, attaccanti come me e di stazza fisica importante, mi siano franati addosso. Poi mi giro e quando mi accorgo che a colpirmi è stato Shaun Wright-Phillips, con i suoi 168 cm di altezza e 60 kg o poco più di peso mi verrebbe quasi da ridere… non fosse per quel dolore pazzesco che mi arriva fino all’inguine e mi fa scendere le lacrime.
Il giorno dopo io sarò in ospedale, ad operarmi alla caviglia, mentre Peter Crouch, il mio sostituto, segnerà una doppietta in quello che sarebbe dovuto essere il ‘mio’ giorno.
Mi ci è voluto più di un anno per tornare a giocare. Ci sono volute due operazioni, e migliaia di ore di fisioterapia e di rieducazione.
Ma ce l’ho fatta. Al West Ham sono stati fantastici. Mi hanno supportato, rincuorato, aspettato… perfino coccolato. Amo gli Hammers e i suoi tifosi.
Sono tornato a segnare, a giocare a buon livello. Non chiedetemi, però, se sono ‘quello di prima’. Non lo sono, ma non voglio ammetterlo. Con nessuno, tantomeno con me stesso.
So solo che fra pochi minuti scenderò in campo con la Nazionale di Inghilterra, il mio Paese, ed è la prima volta. D’accordo, non è né un Campionato del Mondo né un Europeo. E l’avversario non è la Germania, il Brasile o l’Italia. È solo un’amichevole di fine stagione contro Trinidad e Tobago, ma per me è come se fosse la finale della Coppa del Mondo.
Tempo ne ho perso tanto, è vero, ma è ancora molto quello che mi resta. In fondo ho solo venticinque anni.


Quella contro Trinidad e Tobago sarà l’unica partita che Dean Ashton giocherà con la maglia della sua Nazionale.
Meno di tre mesi dopo, durante la prima sessione di allenamento diretta da Gianfranco Zola, neo-manager degli Hammers, ‘Deano’ si frattura nuovamente la caviglia sinistra.
Inizialmente si parla di tre mesi di stop, che diventano sei e poi otto. Deano ha appena firmato un contratto quinquennale con il team dell’East End londinese: deve assolutamente riprendere a giocare. Al West Ham le provano tutte, ma la cartilagine della caviglia non si riforma. Ashton non si arrende: prova e riprova, ancora e ancora, ad allenarsi, a tornare in forma. Ma ha perso mobilità: nei movimenti laterali e negli scatti soffre terribilmente. Lui, che per essere un classico ariete inglese di quasi un metro e novanta di altezza, sapeva dribblare, sapeva cambiare direzione in velocità, sapeva fintare e toccare la palla ‘di fino’, sapeva segnare in rovesciata con tiri al volo e da fuori area.
Nell’autunno del 2009, esattamente un anno dopo il secondo terribile infortunio in allenamento, Gianfranco Zola annuncia alla stampa che le possibilità di rivedere Dean Ashton in campo si stanno riducendo in maniera preoccupante.
A dicembre di quell’anno Dean Ashton, a soli ventisei anni, annuncia il proprio ritiro dal calcio.
Il rischio à troppo grande. Continuare a giocare sarebbe troppo pericoloso: la minaccia che si profila è quella di rimanere zoppo per tutta la vita.
Il West Ham perde un’icona, un centravanti di valore assoluto, il leader d’attacco dei “Claret&Blue” per tante e tante stagioni a venire. Il calcio inglese perde forse l’unico vero erede naturale di Alan Shearer, quel centravanti di peso «ma che sa giocare a calcio» come il manuale del “maestri del calcio” pretende.
Con un intervento chirurgico successivo si decide di fondere alcune delle ossa della caviglia di Deano assieme, per evitare che frammenti di quella caviglia senza cartilagine se ne vadano in giro a creare problemi e dolori.

Sono passati quasi 10 anni da quel giorno.

E ne sono passati molti di più da quando Dean, nato a Swindon il 24 novembre 1983, aveva iniziato la sua carriera nel Crewe Alexandra, il piccolo Club diretto per quasi 30 anni dal grande Dario Gradi, capace di lanciare nel mondo professionistico giocatori del valore di David Platt, Neil Lennon, Robbie Savage, Rob Jones, Geoff Thomas o Rob Hulse.
“Deano” non aveva neppure diciassette anni quando nell’ottobre del 2000 fece il suo esordio in campionato. Era molto maturo per la sua età e aveva un fisico invidiabile oltre ad una tecnica di base piuttosto rara per un giocatore della sua stazza.
Dal gennaio del 2001, a soli diciassette anni, era già titolare inamovibile del Crewe che stava lottando strenuamente per mantenere il suo posto nella First Division, la terza serie del calcio inglese. Le otto reti che avrebbe segnato nella seconda parte della stagione sarebbero state decisive per garantire al suo team la salvezza.
Nel frattempo era già nella Nazionale Inglese Under-17 prima e nell’Under-19 in seguito
Al Crewe sarebbe rimasto altre quattro stagioni, e, pur giocando ancora nella Terza Divisione inglese, sarebbe diventato titolare della Nazionale Under-21 dei Leoni d’Inghilterra.
Sono tante le squadre che bussarono alla porta del Crewe per ottenere i servigi di Dean ma a spuntarla sarebbe stato il Norwich City, squadra di Premier, che mise sul tavolo ben tre milioni di sterline (record di spesa per il Club dell’East-Anglia).
L’impatto di Ashton fu eccellente. Segnò al suo debutto contro il Middlesbrough e i suoi goal sembrarono in grado di garantire la salvezza ai “Canarini”.
Una sconfitta all’ultima giornata contro il Fulham, invece, condannò il Norwich alla retrocessione.
Stavolta c’era mezza Premier pronta a fare importanti sacrifici economici per portare questo giovane e fortissimo centravanti nelle proprie file ma “Deano” spiazzò tutti, prima affermando che intendeva rimanere al Norwich per tentare subito la risalita in Premier e addirittura firmando una estensione al suo contratto nell’estate del 2005.
La mediocre partenza dei Canaries nella stagione successiva però aumentò le voci su un suo futuro lontano da Norwich e finalmente nel gennaio del 2006 fu il West Ham di Alan Pardew a mettere sotto contratto Ashton.
Il West Ham con Deano al centro dell’attacco fece un autentico salto di qualità. Fu soprattutto in FA CUP che i londinesi concentrarono le loro attenzioni.
Nei quarti di finale il West Ham superò il Manchester City ed Ashton fu il protagonista assoluto della contesa.
La sua doppietta permise agli Hammers di raggiungere la semifinale dove li attendeva il Middlesbrough. Qui fu sufficiente un goal di Harewood (su sponda aerea di Ashton) per sconfiggere il Boro.
Gli Hammers raggiunsero così Wembley e una finale di FA CUP dopo 26 lunghi anni di attesa.

In maglia Hammers, al cospetto del pubblico di Upton Park, Dean dà il meglio di se

Di fronte c’era il Liverpool di Rafa Benitez e soprattutto di Steven Gerrard.
Fu una delle più belle finali della storia della Coppa d’Inghilterra. Un 3 a 3 finale che, se è vero che sarebbe stata sempre ricordata come la finale di Steven Gerrard, autore di due reti per il Liverpool e soprattutto del pareggio nei minuti finali con un tiro da oltre trenta metri, portò definitivamente Ashton al centro dell’attenzione mediatica dopo una prestazione eccellente.
Erano in molti quelli che avrebbero voluto Ashton tra i convocati di Sven-Goran Eriksson per il Mondiale di Germania.
Non fu così, sebbene Deano non avrebbe atteso molto per la sua prima convocazione.
Nell’agosto dello stesso anno, a poco più di un mese dalla fine dei Mondiali, Steve Mc Laren, nuovo manager degli inglesi, chiamò Dean Ashton in Nazionale.
Fu lui a guidare l’attacco dei Leoni d’Inghilterra nel nuovo corso che stava per iniziare con un’amichevole a Wembley con la Grecia.
Purtroppo quella che sarebbe dovuta essere la più grande gioia professionale di Dean Ashton si trasformò nell’inizio di un incubo che avrebbe costretto il forte numero 9 di Swindon ad abbandonare il calcio tre anni dopo, a soli ventisei anni di età.
Deano è diventato un eccellente giocatore di golf, ha una bellissima famiglia e sempre più spesso appare nelle vesti di commentatore televisivo, facendosi ammirare per la sua sagacia e il suo equilibrio.
A nemmeno trentasei anni c’è una vita intera davanti.
E allora buona fortuna “Deano”, almeno tutta quella che non hai avuto nel calcio!

ANEDDOTI E CURIOSITÀ

Dean Ashton inizia la sua carriera nel Crewe Alexandra, piccolo Club che ha sempre giocato nelle divisioni inferiori ma che ha una grandissima reputazione nel produrre giocatori di talento.
David Platt, Rob Jones, Neil Lennon, Geoff Thomas, Danny Murphy, Rob Hulse, Robby Savage, Seth Johnson e Ashley Ward sono solo alcuni dei prodotti usciti da questo piccolo Club, allenato dal manager italiano Dario Gradi per quasi trent’anni.
«Quello che sapeva fare Gradi era incredibile. Ho visto in questo Club giocatori che da ragazzi sembravano assolutamente mediocri diventare calciatori di primissimo piano. Con lui la tecnica individuale veniva sempre prima di tutto».

Dean Ashton racconta di quando Alan Pardew, manager del West Ham, lo contattò per convincerlo a lasciare il Norwich per i firmare con gli Hammers londinesi.
«Si presentò all’incontro e mi mostrò un Power Point dettagliato su come avrebbe giocato la squadra con me in campo, cosa si aspettava da me e come avrebbe organizzato il gioco d’attacco per mettermi a mio agio».
Dopo due minuti era pronto a firmare!

«Quando ho iniziato a giocare in Premier la cosa che mi ha spiazzato di più è stata la prestanza e la fisicità di ogni singolo calciatore.
Tecnicamente sapevo che avrei fatto la mia parte, ma se non vuoi sparire dal campo ed essere annullato, devi essere al massimo fisicamente».

«Il mio primo goal in Premier (con il Norwich contro il Middlesbrough all’esordio con la maglia dei Canarini) mi ha fatto capire che potevo segnare anche in Premier. Da allora non mi sono mai sentito fuori posto in quello che era ormai diventato il campionato più bello e difficile del mondo».
«Il più forte calciatore che ho incontrato? Steven Gerrard, senza ombra di dubbio. Quando giochi contro di lui capisci subito che ha qualcosa di speciale. Anche se Carlos Tevez, quando lo vidi al West Ham, mi impressionò tantissimo. Tecnica, velocità e una “fame” che raramente ho visto in un calciatore già così affermato»

Siamo nell’agosto del 2009. Dean Ashton, dopo la quarta operazione alla caviglia, sta tentando l’ennesimo recupero. Siamo in allenamento e “Deano” sta semplicemente facendo un po’ di jogging sul perimetro del campo quando al secondo giro sente dei rumori terribili provenire dalla sua caviglia destra. Kieron Dyer, suo compagno di squadra che sta correndo al suo fianco, è convinto che sia la scarpa di Ashton a provocare quel rumore. Invece è la caviglia di Ashton. Il dolore è lancinante, insopportabile. Dean Ashton è costretto a fermarsi, si siede sul manto erboso del campo.
E inizia a piangere. “In quel preciso momento ho capito che per me era finita”.
Dean Ashton non giocherà mai più una partita ufficiale.

E’ il 28 marzo 2016. Si gioca il “Testimonial Match” in onore di Mark Noble, capitano e bandiera degli Hammers. Ad Upton Park ci sono più di 35.000 persone.
Per celebrare i dieci anni di carriera del forte centrocampista del West Ham (ancora oggi prepotentemente sulla breccia) ma anche per ammirare vecchi campioni che hanno fatto la storia recente di questo glorioso Club. Ci sono Rio Ferdinand, Teddy Sheringham e c’è anche l’amatissimo e indimenticato Paolo Di Canio. Tutti autentici “Cult Heroes” per i supporter “claret & blue”.
E c’è anche lui, Dean Ashton, che nonostante la sua malridotta caviglia non ha voluto mancare a questo importante e nostalgico appuntamento.
I capelli se ne sono andati e al loro posto sono arrivati parecchi chilogrammi in più per l’ex numero 9 degli Hammers.
Ma, come si suol dire, il lupo perde il pelo ma non il vizio.
C’è un’azione di gioco che si sviluppa sulla destra.
Parte un cross, proprio dai piedi di Mark Noble.
“Deano” è posizionato sul secondo palo ma un po’ troppo avanzato rispetto al pallone.
Per poter colpire quel pallone che cade dal cielo c’è solo una cosa da fare e Dean Ashton non ci pensa due volte.
Torsione del corpo per poi lanciarsi in aria, testa verso il basso e piedi in cielo ad agganciare quel pallone che sembrava irraggiungibile.
La palla è colpita perfettamente con il collo del piede e finisce la sua corsa in fondo alla rete. Una frazione di secondo di assoluto silenzio … e poi il boato dei 35.000 di Upton Park.
… con lo stesso pensiero nella testa di ognuno di loro: quanti gol così si siamo persi in questi anni ?

Tratto dal libro “Mavericks & Cult Heroes del calcio britannico” a cura di Remo Gandolfi 

Scopri di più: LINK AL LIBRO                     

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