Revie aveva già provato qualche settimana prima a diventare allenatore del Bournemouth, ma non era riuscito a muoversi dopo la richiesta di 6.000 sterline avanzata da Reynolds per lasciarlo andare. Dopo poche discussioni nella board arriva allora l’offerta ufficiale, prontamente accettata: dal giorno alla notte Don Revie diventa allenatore-giocatore del Leeds United. Nessuno avrebbe potuto prevedere quanto sarebbe stata efficace una mossa dettata dalla disperazione e dalla mancanza di denaro.
Revie Plan
Don Revie era nato a Middlesbrough nel 1927, in una famiglia povera che durante la Grande Depressione degli anni ’30 aveva poco o nulla a parte un tetto sopra la testa. Il padre era un falegname, spesso senza lavoro durante la giovinezza del Don, mentre la madre lavandaia ebbe qualche fortuna in più a livello lavorativo ma si beccò il cancro e morì quando il giovane aveva solo 12 anni. L’unico svago di Revie, che aveva iniziato ad aiutare il padre per racimolare due pound in più, era quello di fare delle piccole palle con gli stracci di casa e prenderle a calci nel giardino.
Tirare calci a un pallone sarebbe stato però più di un passatempo giovanile. Seguito da un famoso coach giovanile di Middlesbrough, Revie divenne abbastanza bravo da essere messo sotto contratto dal Leicester City a 17 anni, dove godette del tutoraggio di Sep Smith. Ala destra e attaccante interno di grande creatività, Smith passò al giovane tutta una serie di concetti molto avanzati per il tempo: lo sfruttamento dello spazio di gioco, la pericolosità di un passaggio ben fatto per portare un compagno a occupare una posizione avanzata, pensare a come poter arrivare in porta in superiorità numerica grazie a una rete di passaggi in profondità. Per Revie, decente tecnicamente ma clamorosamente mancante sia di forza che di velocità, gli insegnamenti di Smith divennero un mantra su cui basare tutta la sua carriera.
Il picco del Leicester di quegli anni fu la finale di FA Cup del 1949, persa contro il Wolverhampton 3-1 senza avere a disposizione Revie, che si era spaccato il naso in allenamento una settimana prima con conseguente emorragia che lo aveva lasciato a letto. Non segnava molti gol, ma la squadra girava bene con lui in campo e Don pensava di valere di più degli altri componenti del roster così decise di andarsene. Dopo una parentesi poco felice all’Hull City, dove era nettamente uno dei giocatori cardine ma non era abbastanza forte fisicamente per reggere il confronto con i difensori avversari, venne acquistato per 25.000 sterline dal Manchester City arrivando finalmente in pianta stabile in First Division.
I Citizens non avevano una squadra molto forte, tanto da stagnare nelle ultime posizioni della prima divisione ed evitare la retrocessione per una o due partite di differenza. Revie stesso non era così incisivo nelle dinamiche del suo team, e spesso il suo scarso atletismo gli impediva di lasciare il segno. Ma a differenza delle altre esperienze, in questo caso arrivò a salvarlo Les McDowall. Amante dello studio del calcio come il suo attaccante, l’allenatore del City decise di applicare una nuova tattica che era stata inizialmente provata dalla squadra riserve e ispirata dalle epiche gesta della mitica Ungheria, che aveva servito a Wembley un sanguinoso 6-3 alla nazionale inglese rimasto nella storia come il “Match del secolo”.
Una delle chiavi tattiche di quella partita fu il ruolo del fenomenale Nándor Hidegkuti, l’ipotetica punta centrale della formazione ungherese che aveva la noiosa abitudine di andare a prendersi la palla svariati metri indietro dove avrebbe avuto ufficialmente residenza sul rettangolo di gioco. L’arretramento di Hidegkuti sulla linea di tre quarti gli permetteva di essere il vero motore di gioco della squadra, dispensando assist ai compagni e creando enormi buchi nella difesa avversaria. Dei sei gol segnati 3 furono del numero 9 e due del compagno di reparto Puskás. Giocatori e allenatori di tutta Inghilterra rimasero completamente scioccati dal risultato e soprattutto dalla prestazione degli avversari, e decisero presto di iniziare ad applicare alcuni dei principi tattici di una delle nazionali più forti della storia del calcio.
McDowall pensò che lo stile di gioco di Nándor Hidegkuti fosse perfetto per la sua squadra, e Don Revie fosse perfetto per incarnare l’alter ego del centravanti ungherese. Nacque così nel calcio inglese la posizione del “deep-lying centre forward”, un ruolo che in Italia identifichiamo spesso con sinonimi come “rifinitore”, “mezza punta” o “seconda punta”. Il City invece decise di descrivere questa nuova tattica in un modo molto più semplice, utilizzando il nome del cardine offensivo: era nato il “Revie Plan”. In due anni di utilizzo effettivo del piano, una squadra altrimenti da retrocessione arrivò due volte in finale di FA Cup, vincendola nel 1956 contro il Birmingham City, e Don Revie fu nominato Giocatore dell’Anno nel 1955 e Man of the Match della finale del 1956.
Ma la forte personalità dell’attaccante non gli aveva mai permesso di rimanere a lungo in un posto solo, e così successe anche per l’esperienza in maglia Citizens. Venduto pochi mesi dopo la finale di FA Cup al Sunderland, approdò finalmente al Leeds United nel 1958 con la squadra invischiata nella lotta per non retrocedere. Già fisicamente poco dotato, gli anni migliori per Revie erano già passati e nulla poté per evitare di scendere di categoria nel 1960. Un anno dopo si trovò seduto sulla panchina di casa a Elland Road.
Dirty Leeds
Reynolds affida una panchina difficile a Don Revie. Il presidente ama il club, ma i soldi non ci sono e la città è molto più attratta dalla storica squadra di rugby che dal calcio. Una situazione di emergenza del genere chiama all’azione uomini intelligenti e fuori dagli schemi, e Revie risponde alla perfezione a questo profilo. Non interessa essere in fondo alla Second Division, più a rischio di retrocedere che di vincere: l’obiettivo dichiarato del nuovo allenatore è quello di portare in alto il Leeds.
Il nuovo manager non ci mette molto per capovolgere la concezione stessa del football della squadra. Se è vero che una rivoluzione non si fa portando guanti di seta, l’immagine dello stravolgimento portato da Don Revie a Leeds è più avvicinabile a un uomo con una vanga che sfa del tutto il suo campo. Ecco allora che nei primi due anni di gestione allontana ben 27 giocatori da Elland Road, tutti quelli che erano inadatti al suo progetto o che avevano mosso dubbi sulla sua consistenza, mentre utilizza a mani basse i prodotti delle giovanili che coccola e istruisce in prima persona. Crea una squadra a sua immagine e somiglianza, che decide anche di vestire in modo diverso, scimmiottando il look “total white” del Real Madrid.
Ma la rivoluzione non si ferma all’organico. Di fianco l’allenatore ecco comparire Doctor Adams, uno dei primi sport scientist del calcio moderno, che controlla l’alimentazione dei giocatori e ne incentiva uno stile di vita più sano. Il lavoro psicologico sui ragazzi è forse ancora più massiccio, con Revie che instilla fin da subito convinzioni inamovibili ai suoi ragazzi: sono forti, possibilmente più forti dell’avversario, e devono essere capaci di dominarli tecnicamente e mentalmente, agendo decisi in attacco e spaventandoli a morte in difesa: unico obiettivo la vittoria della partita.
Uno dei motivi per cui Don Revie diventerà famoso però è il suo scouting meticoloso. I celebri dossier che leggeva ai suoi giocatori nella riunione pre-partita (uno dei primi a utilizzare quel tempo per formare i giocatori sugli avversari, invece di fare una corsettina e poi liberi tutti), grossi faldoni che Revie commissionava settimanalmente al suo staff, erano pieni di informazioni precise e strutturate sui punti di forza e debolezza di ogni calciatore. Zona preferita di possesso, con quale piede gestiva la corsa col pallone, con quale lato della testa colpiva la palla, capacità di tiro o di tackle: ogni avversario era minuziosamente osservato e definito, con un’ossessione leggendaria che alle volte diventava anche controproducente nella testa dei suoi giocatori, ma Revie credeva di avere il compito di prevedere qualsiasi cosa potesse succedere sul campo.
Un ultimo concetto fondamentale a Revie era quello di come il club dovesse essere una grande famiglia, dove i legami tra i giocatori devono essere più forti delle rivalità e dove nessuno si può permettere di avere un ego smisurato. “Mas que un club”, all’ennesima potenza. Così l’allenatore spinse per investire alcuni dei pochi fondi rimasti per alloggiare in alberghi decenti una volta in trasferta, iniziò a portare tutto il team al bingo il venerdì sera e a costruire situazioni in cui cementificare lo spirito di squadra. L’ossessione di controllare qualsiasi variabile però lo portò anche a controllare maniacalmente la vita dei suoi giocatori, che venivano seguiti quando uscivano e “redarguiti” se la ragazza del tempo non era consona alle linee guida di Revie.
Dopo i due anni di grandi purghe, allontanati tutti gli indesiderati e formata l’ossatura della squadra che verrà tra giovani dell’accademia e acquisti mirati, il Leeds di Revie inizia seriamente a carburare. Vince la Second Division nel 1964, e l’anno successivo arriva incredibilmente seconda a pari punti con il Manchester United e in finale di FA Cup. Inizia così un periodo di tre anni pieno di secondi posti raggiunti: First Division 1965 e 1966, FA Cup 1965, Coppa delle Fiere 1967. Il Leeds sembra impossibilitato a vincere, e viene sbeffeggiato spesso dalla stampa spesso legata più alle compagini del sud. Nasce la nomea del “Dirty Leeds”, una squadra dedita a intimidire oltre il limite gli avversari dal punto di vista fisico, dove è metodica la ricerca dell’intervento cattivo e dell’infortunare l’avversario.
In realtà Revie ha una concezione di calcio molto più larga, predilige una fase offensiva legata al possesso della palla e ha deciso di far difendere i suoi ragazzi come tutti i calciatori del tempo. Semplicemente, per arrivare al top dovevano avere l’ardore di spingersi dove gli altri non volevano arrivare. Così il Don continua a istruire e allenare la sua squadra, convinto come bastasse che i suoi giovani maturassero ancora un po’ per vedere i frutti degli sforzi compiuti. Per esser sicuri Revie chiamò anche una zingara per ripulire qualsiasi maledizione si fosse fatta strada a Elland Road, e apparentemente tutto iniziò a girare per il verso giusto.
La stagione 1967-1968 vede per la prima volta il Leeds United vincere un trofeo importante. Arriva prima la League Cup, battendo 1-0 l’Arsenal, poi la prima Coppa delle Fiere nel doppio confronto con il Ferencváros. L’anno successivo è finalmente tempo di conquistare la First Division, con 27 vittorie e sole 2 sconfitte a referto. Da qui in poi Revie obbligherà i suoi giocatori a cercare di vincere ogni competizione a cui partecipano, cercando di spronarli ad avere la stessa fame di vincere che lo attanaglia costantemente. Ma nonostante un organico sempre più esperto e tecnicamente brillante, il Treble non arriverà mai e i secondi o terzi posti saranno una costante, anche se si annoverano le vittorie della Charity Shield del 1969, della seconda Coppa delle Fiere nel 1971, e della FA Cup del 1972.
L’ultima vittoria e la fine di carriera
Nella stagione 1973-1974, ormai tredici anni dopo l’inizio della sua avventura a Leeds, Revie comprende che qualcosa sta cambiando. Il nucleo storico della squadra inizia ad avere qualche anno ormai sulle spalle, lui stesso non è più legato al team come un tempo. Pretende allora un solo sforzo, ma di importanza capitale: vincere il campionato da imbattuti. E per quanto le sconfitte arrivino, quasi tutte nel periodo tra febbraio e marzo, il Leeds torna a vincere il campionato con cinque punti di stacco dal Liverpool.
Ma è questa l’ultima impresa del Leeds di Revie, che viene ingaggiato dalla Football Association per sostituire Alf Ramsey alla guida dei Tre Leoni. C’è chi dice che Revie non volesse assistere in prima persona allo smembramento della sua squadra, i cui giocatori ormai erano anziani e stanchi dai ritmi ossessivi dell’allenatore. Fatto sta che, invece di guidare il Leeds nell’ultima avventura europea per molti anni a questa parte, Don si sedette con poco successo sulla panchina della nazionale. Semplicemente non era il suo ambiente. Un gruppo su cui aveva poco ascendente, dove non poteva gestire ossessivamente tutto quello che voleva, dove i suoi enormi dossier non erano accettati e dove l’ego dei giocatori spesso superava quello dell’allenatore o della squadra. In tre anni Revie fallisce a qualificarsi agli europei del ’76 e lascia poco prima di perdere anche l’accesso ai mondiali del ’78.
L’ultima mossa a sorpresa della sua carriera fu proprio il modo in cui lasciò la panchina inglese. Cosciente di avere la stampa totalmente contro, di essere inviso al presidente della FA Sir Harold Thompson, e di aver raggiunto risultati oggettivamente sotto lo standard, Revie fece sapere di nascosto di esser pronto a prendere la guida di un’altra nazionale e viene presto contattato dagli Emirati Arabi Uniti. Dopo aver accettato velocemente un contratto da 340.000 sterline in 4 anni Revie decide di far sapere al mondo della sua scelta attraverso il Daily Mail, a cui vende l’esclusiva della storia per ulteriori 20.000 sterline. Per quanto nel frattempo la FA avesse già contattato Bobby Robson per sostituirlo, l’ex allenatore del Leeds venne da quel momento etichettato come un mercenario.
L’esilio dorato in Medio Oriente durò quasi dieci anni. 3 sulla panchina degli EAU, quattro alla guida del club della nazione del golfo Al-Nasr e qualche mese al Cairo per l’Al-Ahly, il secondo club più titolato al mondo. Don Revie torna alla fine in Inghilterra nel 1985, ma nessuno gli ha perdonato i fatti della Nazionale e la nomea del “Dirty Leeds”, e non verrà mai più chiamato ad allenare. Due anni dopo scoprirà di avere la SLA, e saluterà Elland Road già sulla sedia a rotelle nel maggio del 1988. Morirà nel sonno un anno dopo a Edimburgo, e la FA non manderà nessun delegato ufficiale al suo funerale.
Così al giorno d’oggi in pochi ricordano Don Revie, uno dei manager più rivoluzionari ed evoluti della storia del calcio inglese, paragonabile ad Arsène Wenger per come riuscì a rifondare un club preso nei bassifondi. Un allenatore odiato, criticato senza mezzi termini dalla stampa e con la sfortuna di avere come antagonista calcistico e filosofico Brian Clough, con cui tante se ne sono dette durante gli anni. Solo a Leeds, dove dal 2012 è stata inaugurata una statua a lui dedicata, è possibile ancora trovarne una memoria fresca e positiva, lì dove era riuscito a imporre la sua ossessione e la sua fame di vittoria tanto da creare una dinastia tra le più forti mai viste sull’isola.