La svolta politica che ha portato al trionfo i Tories ed ha visto crollare i Labour è destinata ad avere ripercussioni economiche, sociali e culturali su tutto il Regno Unito e sul mondo esterno: mentre Trump plaude al successo invitando a “concludere subito un grande accordo commerciale”, Johnson annuncia che “entro il 31 gennaio saremo fuori dall’Ue“, dando così seguito e completamento al referendum che, ormai più di 3 anni fa, aveva sancito il divorzio da Bruxelles.
Ma cosa significherà tutto questo per il calcio inglese?
Anzitutto, bisogna rilevare come tutti i club professionistici, senza alcuna eccezione, si siano opposti con forza alla Brexit fin dall’inizio. Di contro, stride la posizione assunta dalla Football Association, che invece si è sempre detta favorevole al nuovo scenario. Il motivo? Grazie alla riduzione del numero di stranieri presenti nelle rose delle squadre nasceranno nuove opportunità per valorizzare i talenti calcistici inglesi, che andranno giocoforza ad occupare gli slot lasciati liberi.
I club però sono in rivolta. Il primo devastante effetto negativo si registrerà in termini di forza contrattuale in sede di calciomercato. Scende infatti il potere d’acquisto, con il rapporto €/sterlina che si fa squilibrato (oggi 1 sterlina vale circa 1,18 euro, ndr) e quindi la possibilità di competere per acquistare i migliori calciatori sulla piazza scemerà drasticamente.
Non finisce qui: il tetto degli stranieri utilizzabili sarà abbassato dagli attuali 17 a 12, su 25 elementi totali. Una svolta che metterebbe in guai seri specialmente le squadre di vertice: Liverpool, Arsenal, City, Chelsea e Utd, solo per citare le più note, annoverano da anni numeri di “non inglesi” ben superiori alla soglia indicata. C’è poi da chiarire se la norma sia retroattiva: nel qual caso, si arriverebbe all’assurdo che i club dovrebbero vendere la quantità di stranieri necessaria a rientrare nel tetto.
Stop al tesseramento di centinaia di giovani dai 16 ai 18 anni: se l’UK esce dalla Ue saranno a tutti gli effetti considerati extracomunitari e l’art. 19 dello Statuto Fifa recita che possono essere tesserati soltanto se fanno parte dell’Unione Europea.
Caos burocratico: gli stranieri che verranno tesserati saranno comunque, a tutti gli effetti, equiparati agli extracomunitari: questo significherà, per qualsiasi calciatore, doversi sottoporre ad un estenuante iter burocratico che comincia dalla richiesta di un permesso di lavoro e procede per mesi. Abbastanza per scoraggiare moltissimi professionisti.
Stop a giocatori con precedenti penali: la normativa applicata in caso di Brexit impedirebbe a qualunque giocatore che abbia subito una condanna penale in qualsiasi altro Paese di mettere piede sul territorio inglese, sia come tesserato, sia come avversario. Uno scenario che finirebbe per escludere molti top player che sono dovuti passare per tribunali a causa, ad esempio, di problemi con il fisco. Messi e CR7, tanto per fare due nomi, sarebbero alla porta.
Anche allenatori e giocatori si oppongono più o meno compatti alla Brexit. Si registrano però pure voci fuori dal coro, come quella del manager Neil Warnock che ha più volte avuto modo di ribadire: “Non vedo l’ora che si faccia la Brexit, credo che dopo staremo tutti quanti meglio, sotto ogni profilo”.
Di fronte a quello che Johnson ha più volte ribadito essere “il volere del popolo” e che gli analisti politici cicatrizzano come dilagante populismo, i club provano a forzare la mano: i danni sono evidenti, le conseguenze infauste, il futuro incerto. Il campionato di calcio più seguito del mondo e tutte le categorie inferiori si apprestano a vivere una nuova, incombente stagione. Ed il cielo sotto al quale muovono i primi passi appare maledettamente plumbeo.