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Ian Ashbee, il mediano di bassa categoria che ha guidato l’Hull City fino alla Premier

6 ' di letturaKingston upon Hull è una di quelle città inglesi di cui poco qui nel Belpaese si sente parlare. Sicuramente non con il suo nome completo, al massimo con il più breve Hull. A quasi 25 miglia dal Mare del Nord, questo porto di 250.000 abitanti è pieno di vividi ricordi della sua storia passata. Uno dei “Blitz”, i furiosi bombardamenti nazisti durante la Seconda guerra mondiale, avvenne proprio qui e la città ancora ne conserva le cicatrici.

A livello sportivo Kingston upon Hull è stata per decenni terra di rugby. Le due squadre cittadine possono annoverare in bacheca decine di trofei, e negli anni ’80 hanno letteralmente dominato la scena nazionale spartendosi Premiership e Challenge Cups. Di contro il football ha ricoperto sempre un ruolo di minore importanza. Già dal nome del club si comprende la scala gerarchica: Hull City Association Football Club, perché il più semplice Hull Football Club è già di proprietà di una delle due società di rugby.

Il 16 agosto 2008 però si può dire che la situazione inizia definitivamente a cambiare. Il KCOM Stadium ospita la partita Hull City-Fulham. I padroni di casa nel completo caratteristico a strisce nere e ambrate, i londinesi in bianco. Lo stadio è stracolmo di tifosi festanti. Già, perché questo non è un esordio di campionato come gli altri. Dopo 104 anni di vita, l’Hull City disputa per la prima volta una partita di massima serie inglese.

Tra le undici tigri, come da nickname dell’Hull City, che scendono in campo ci sono tante storie diverse. La più nota forse è quella di Geovanni, sette anni prima ipotetico crack mondiale arrivato in Europa direttamente per la porta principale, quella blaugrana, e ora in cerca di riscatto in una neopromossa di Premier League. C’è Nick Barmby, un ventennio fa compagno di squadra di Klinsmann e Sheringham al Tottenham. Oppure Michael Turner, difensore che di quella stagione di Premier non salterà nemmeno un minuto.

I tackles rinomati di Ian Ashbee

Ma il personaggio più importante, il leader della squadra, l’ancora da cui trae forza tutto il club, è effettivamente un altro: Ian Ashbee. Porta la fascia di capitano, perché non può essere altrimenti. C’è chi pensa che non abbia diritto di cittadinanza in Premier, forse a ragione. Non spicca per le sue doti tecniche particolari. Non è atleticamente devastante, per quanto ti possa rincorrere per tutto il campo se ti vuole levare il pallone dai piedi. È un mediano, di quelli vecchio stile che badano al sodo. Tackles, rinvii e se ci scappa qualche bordata da ben fuori dell’area.

Il figlio di un dio minore, che non è stato baciato in fronte dal talento e allora ci mette lavoro, passione e soprattutto tanta tanta forza di volontà. Ma soprattutto guida in campo l’Hull City da sei anni, quando ancora giocava in quarta serie.

Una classica storia di categorie inferiori

Ashbee è nato a Birmingham nel 1976. In una città di più di 1 milione di abitanti, di cui la maggior parte dedita al football, è difficile non farsi prendere dalla febbre del pallone. I suoi inizi nel calcio non sono una di quelle storie incredibili da dover raccontare. Il ragazzo un po’ ci sa fare, lavora assai, così trova spazio nelle giovanili del Derby County. Arriva anche il debutto in prima squadra. Purtroppo rimarrà l’unica partita giocata da Ashbee con i Rams. Se addirittura vieni mandato sei mesi in Islanda, in una squadra dal nome impronunciabile, comprendi che il tuo futuro non è al vecchio Baseball Ground. Viene rilasciato e si accasa al Cambridge United, in Second Division.

Il calcio di terza serie inglese sembra essere più adatto alle doti di Ashbee. Gioca poco più di 200 partite con le U, siglando addirittura 11 reti. Spicca per il suo carisma, per la leadership che evidente traspare nel suo modo di stare in campo. I compagni lo seguono, lui dà l’esempio in prima persona. Ma la sua carriera sembra andarsi ad arenare nelle categorie inferiori, una delle centinaia di storie che rimangono di sottofondo sulla trama principale del calcio.

Nel 2002 arriva il passaggio all’Hull City, che milita in Third Division. Anche stavolta a titolo gratuito. Lo vuole Jan Mølby, che ha sicuramente fatto una miglior carriera da giocatore che da allenatore, e che siede in quel momento sulla panchina delle Tigers. A colpirlo è proprio la naturale capacità di Ashbee di mettersi al comando dei suoi compagni. Lo spirito di sacrificio, la perseveranza nel rincorrere il pallone. Poche frivolezze, nessuna velleità di gestione del pallone da livello superiore. Tackles, rinvii e se ci scappa qualche bordata da ben fuori dell’area.

La prima partita con la maglia nero-ambrata potrebbe dar l’idea di un inizio da incubo. Rosso guadagnato all’esordio con l’Hull City. Ma da quelle parti, in quarta categoria inglese, un’espulsione alla prima giornata ha tutto un altro significato di quello che possiamo dare noi. Così diventa in poco tempo un idolo del KCOM Stadium, e poco meno di sei mesi dopo il suo debutto Mølby lo rende capitano del club. L’allenatore danese se ne andrà dopo poco, la fascia non abbandonerà più il suo braccio.

Quanto ha festeggiato Ian Ashbee al KCOM Stadium..

L’inizio della cavalcata

La stagione successiva arriva la prima promozione della carriera di Ian Ashbee a Kingston upon Hull. Il gol decisivo arriva contro lo Yeovil Town, ed è una perla proprio del capitano. Se salire uno scalino poteva esser legittimo, scavalcare il secondo solo dodici mesi dopo diventa già impresa. Il neopromosso Hull City fa quello che gli anglofoni chiamano back-to-back promotions, due salti di categoria in due anni, e si ritrova di botto in Championship. Ashbee è sempre lì, granitico davanti la difesa a guidare i compagni. Tackles, rinvii e qualche bordata da ben fuori dell’area.

Qui arriva la bordata che non ti aspetti. Ashbee ha giocato un anno intero con un fastidio al ginocchio, ma non ci ha fatto molto caso. Tra la fatica, lo stile di gioco duro, non è che il corpo non ne risenta di un certo tipo di “attenzioni”. Ma quella piccola seccatura cresce, cresce sempre di più. Un giorno, dopo poche partite disputate in Championship, il ginocchio fa crack. Quando i medici esaminano la gamba del capitano, trovano la fonte di quel fastidio: la identificano come una osteocondrosi, una malattia degenerativa che ha attaccato il femore. Devono fare 14 buchi sull’osso per cercare di sradicare la malattia, con solo la speranza che ancora non se lo sia preso completamente. Ian Ashbee ha serie probabilità di non poter più tornare a camminare su due gambe.

Mancherà tutta la stagione. Senza il suo capitano, rimasto tale anche se impossibilitato a scendere in campo, l’Hull arriva a pochi passi dalla retrocessione ma alla fine riesce a salvarsi. L’anno successivo però è di nuovo lì. La malattia è stata vista in tempo, l’osso non si era deteriorato del tutto. I 14 buchi sul femore hanno salvato Ian Ashbee, che per tempo aveva pensato che non avrebbe più camminato. Invece all’inizio del campionato 2006/2007 è di nuovo in campo con le sue Tigers, sempre con la fascia al braccio. Peccato che anche questa stagione sia difficilissima per l’Hull City. Arriva a una manciata di punti dal tornare in League One. Le critiche piovono da ogni dove sulla squadra, e viene messo in dubbio anche Ashbee stesso. Non è materiale degno per questa categoria, anche se per poco non ci rimetteva la gamba.

Ian Ashbee e l’Hull City arrivano in Premier

Se il calcio fosse uno sport risolto, come gli scacchi, sarebbe tutto molto più triste. Per fortuna non è così. Campagne acquisti faraoniche possono rivelarsi un buco nell’acqua, come non modificare nulla nell’assetto di una squadra può portare a molte gioie. Pochi avrebbero scommesso in una grande stagione di Championship per l’Hull City nel 2007/2008, eppure qualcosa era cambiato. Gli acquisti c’erano stati, alcuni buoni altri più d’impressione. L’arrivo in Ferrari di Jay Jay Okocha al campo d’allenamento delle Tigers è raccontato ancora oggi in città. Ma a esser totalmente diverso è l’atteggiamento, la voglia di far bene. Ciò che nessun allenatore ha mai minimamente pensato di fare e staccare la fascia dal braccio di Ian Ashbee.

E come la Ferrari del nigeriano, le tigri volano. Eccome se volano. Per tutto l’anno minacciano di conquistare la promozione diretta, ma cedono leggermente nel finale. Si giocheranno tutto nei playoff, dove battono il Watford in semifinale e trovano il Bristol City nell’ultimo atto. Ashbee guida i suoi sul prato di Wembley, per la prima volta nella storia del club, e disputa un’altra ottima partita. Come tutto l’anno, come tutte le volte che indossa la casacca nero-ambrata, Ian è lì in mezzo al campo a tenere botta e guidare i compagni. Basterà una gran volée di Dean Windass per assicurarsi il posto in Premier.

Così il 16 agosto 2008 l’Hull City esordisce per la prima volta nella sua storia in Premier League. Con la fascia al braccio, come sempre negli ultimi sei anni, c’è Ian Ashbee. L’unico nella storia del calcio inglese ad aver capitanato il suo club nelle prime quattro categorie della piramide del football. Il trionfo del giocatore medio, dell’antidivo, del calcio di una volta. Di uno che non doveva esser lì, perché non avrebbe dovuto più camminare. Di uno che non dovrebbe esser lì, perché non è un centrocampista tecnico e fantasioso, perché per molti non ha le capacità per giocare a quel livello.

Eppure Ian Ashbee ce l’ha fatta. Da mediano vecchia scuola, grande leader a supporto dei compagni e tanto sudore e sacrificio. Con uno stile di gioco semplice, come quello dei campi di terza serie dove tanto ha giocato: tackles, rinvii e qualche bordata da ben fuori dell’area.

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