Leeds: siamo arrivati.
Nel 1974 il Dio del calcio – se ne esiste uno – si diverte un mucchio a scompaginare il mazzo. Ragione e sentimento si invertono, l’agnello diventa il lupo e, sostanzialmente, una ventata di follia erode tutte le convinzioni faticosamente costruite nel corso degli anni.
Dopo un’impressionante sequela di vittorie conseguite con il club, Don Revie accetta il posto da manager della nazionale inglese. Ma non se ne andrà in punta di piedi: è intenzionato a lasciare il Leeds in buone mani e indica un paio di nomi per la successione. Solo che il club se ne sbatte ampiamente e decide di fare di testa sua. Segnatevi questo passaggio, perché le migliori storie hanno sempre un punto di inceppo che fa finire tutto a catafascio. Quello del Leeds United del ’74 si trova qui.
La dirigenza nomina Brian Clough. Lui, l’acerrimo rivale, colui che è riuscito a far risorgere il Derby County dall’infamia della seconda divisione fino a fargli vincere il campionato, proprio contro il Leeds.
Una storia che viene magistralmente raccontata in quella che è diventata, a tutti gli effetti, una pellicola di culto per gli appassionati e non soltanto. Il Maledetto United – Damned United nella versione in lingua originale – è un film diretto da quel Tom Hooper che, con Il discorso del Re, si porta a casa 4 meritatissimi oscar.
Il pezzo di bravura di Hooper e della sua troupe sta tutto racchiuso in un’intuizione per nulla scontata: Non. Fare. Un. Film. Solo. Per. Appassionati. Di. Calcio. La lettura si rivela giusta e geniale, perché il tema vero – quello che sprigiona una storia abbacinante – non è il campo. Il fulcro sta tutto nella testa di Clough. Nella capacità di indagare a fondo l’evoluzione psicologica di un personaggio che l’ha presa come una questione personale: Brian vuole dimostrare al mondo di esserne capace, ecco quanto.
Vuole spiegare a tutti che si può vincere anche senza le scorrettezze e la ruvidezza che hanno contrassegnato il gioco a Elland Road e in trasferta, per lunghi anni. Senza creare un ambiente fetido agli occhi degli avversari che ti affrontano. Che può farcela anche senza il suo indispensabile vice, Peter Taylor. Che anche se ha tutta la squadra contro – a partire da quel Billy Bremner che, letteralmente, gli dice Mister, non provi a essere mio amico, – centrerà comunque l’obiettivo.
– Brian: “Il calcio è davvero meraviglioso, Austin, e deve essere giocato meravigliosamente”
Un biopic – quello uscito in tutte le sale nel 2009 – che scolpisce attraverso affreschi potenti tutta la fede di cui è capace Clough (interpretato da Michael Sheen): la sua è una missione e scendere a compromessi – scusateci davvero – non si può.
La questione, tuttavia, assume ben presto i contorni di una tragedia greca. L’eroe (Clough) ha un animo irradiato dal talento e da nobili ideali, ma il fato (in questo caso il nome e cognome del fato è LEEDS UNITED) ha in mente altri piani. Perché è palese per tutti, fin dal primo giorno, che tutta la squadra gli rema contro. Che lo spogliatoio è rimasto legato a Don Revie. Che la vera guida è Bremner.
Un ammutinamento con gli ammennicoli, destinato a far colare a picco qualsiasi imbarcazione. Se poi si aggiungono alla ricetta il carattere fumante di Clough – verboso, aggressivo senza pietà con dirigenti e componenti dello staff ritenuti incompetenti – ecco che l’epilogo è servito.
– Sam: “Ascolti, le voglio dare un consiglio Brian Clough. Non importa quanto pensi di essere bravo, intelligente, o quanti nuovi amici si fa in televisione. La realtà della vita nel calcio è questa: il presidente è il capo, poi ci sono i consiglieri, poi il segretario, poi i tifosi, poi i giocatori, e poi alla fine di tutto, in fondo al mucchio, l’ultimo degli ultimi, la persona di cui alla fine possiamo tutti fare a meno, il fottuto allenatore!”.
Ma Il Maledetto United è ancor più di questo. Probabilmente il suo successo è da ascriversi al fatto che ognuno di noi, seppur con le dovute differenze, riesce a riconoscersi nella vicenda di Clough, perché ci passa un concetto troppo spesso sottovalutato: we are only humans. Anche i migliori possono sbagliare. Tutti hanno diritto ad una seconda chance. Ci meritiamo tutti il nostro Nottingham Forest.