Chi veramente portò il pallone nelle case di tutti fu la televisione. Prima in bianco e nero, poi finalmente a colori, le azioni più importanti e soprattutto i gol della giornata erano trasmessi dai canali tv pubblici. Il volto del calcio nostrano è stato per molti anni sicuramente Paolo Valenti, l’inventore e conduttore di 90° Minuto. Ogni sacrosanta domenica pomeriggio, dal 1970 fino alla sua morte nel 1990, nelle case degli italiani arrivava quel volto sempre sorridente dalla parlata educata ed entusiasta. Così venivano raccontate tutte le emozioni che la Serie A sapeva regalare, grazie anche ai curiosi siparietti che inscenava con i suoi particolarissimi inviati.
Figure come Valenti sono state fondamentali nella diffusione di massa del calcio, che prima di potersi reggere sulle sue gambe aveva bisogno di volti umani, immediatamente riconoscibili agli occhi del pubblico, che facessero da veicolo e in un certo qual modo da punto fermo per tutta la popolazione. Anche in Inghilterra per moltissimi anni c’è stato un uomo immagine che ha incarnato il football. Dallo stile totalmente diverso rispetto al giornalista italiano, Jimmy Hill ha condotto ogni sabato sera per sedici anni “Match of the Day”, il programma della BBC che mostrava gli highlights delle partite di First Division e ne analizzava i risultati. Se Valenti era conosciuto per la sua educazione e totale imparzialità nel racconto, Hill era invece rinomato per essere un inglese onesto e alle volte brutale nell’esprimere sempre la propria opinione, delle volte portatore di idee stravaganti, inconfondibile con quel mento allungato e appuntito che arrivava prima di tutto il resto del corpo.
Ma il buon Jimmy era molto di più che di un volto televisivo. Era tutto tranne che un giornalista, e ogni volta che qualcuno lo appellava così se la rideva, anzi nella sua vita ha ricoperto qualsiasi ruolo che si possa immaginare collegato al mondo del pallone. Un eclettico, specializzato in nulla ma abile a districarsi nel fare un po’ tutto, un uomo che si è trovato spesso in situazioni che non aveva idea di come gestire ma che con caparbietà ed esuberanza è riuscito a farsi spazio nel cuore di tutti i tifosi inglesi.
Un calciatore dal ginocchio di cristallo
Jimmy Hill è un figlio dei quartieri sud di Londra, nato in quel periodo di mezzo tra le due guerre mondiali in cui i nazionalismi spingevano forte e nessuno più credeva in una pace lunga e duratura. Il padre era un lattaio e veterano della seconda guerra mondiale, la madre casalinga. Tifoso del Crystal Palace, inizia a giocare a football durante gli anni della leva nel Royal Army Service Corps, il corpo dell’esercito che si occupa dei trasporti e della gestione delle sue proprietà.
Gioca tra gli amatori, facendo un provino con il Folkestone e allenandosi nella terza squadra del Reading, ma le cartilagini del ginocchio destro sono troppo fragili e molti coach gli dicono che probabilmente da professionista non giocherà mai. Così trova un lavoro nelle assicurazioni, pronto come sempre ad avere un piano B abbastanza scollegato dai suoi programmi attuali.
Finalmente però un provino riesce a passarlo, così trova spazio nel Brentford. Inizia la sua carriera da calciatore come laterale a sinistra, con compiti di copertura oltre che offensivi, e fa abbastanza bene tanto da ricevere la chiamata del Fulham. Giocando spalla a spalla col futuro manager della Nazionale inglese Ron Greenwood, il ruolo in campo di Hill diventa quello di inside forward a destra, e inizia una discreta carriera in Second Division.
Insomma, chiamarla una carriera più che discreta a Craven Cottage forse è riduttivo, visto che gioca quasi trecento partite condite da 51 reti. Detiene anche il record di squadra per le reti segnate da un giocatore singolo in una partita, quando ne firma 5 in trasferta a Doncaster nel 1958, nell’anno in cui il Fulham conquistò la promozione in First Division. Ma queste maledette cartilagini non lo mollano mai, e sente di non avere ancora molti anni davanti di carriera, tanto che già quattro anni prima ha preso la qualifica da coach, e nel tempo libero già allena e tiene corsi nelle università di Oxford e di Londra.
Jimmy Hill: sindacalista per sbaglio
Manca ancora tempo però per andare definitivamente in panchina, perché prima di appendere gli scarpini al chiodo sarà un’altra attività a renderlo famoso in tutta l’Inghilterra. Infatti nel 1957 Jimmy Hill diventa presidente della PFA, l’associazione di rappresentanza dei giocatori di Football League. Non che Hill sia mai stato un “unionista”, un sindacalista convinto, ma proviene dalla working class e prima di giocare a pallone ha lavorato per un breve periodo nel mercato azionario. Ha esperienza nei lavori d’ufficio e nel farsi conoscenze, e già da tempo è quello che al Fulham raccoglie le rette settimanali da versare all’associazione. Alla prima assemblea generale a cui partecipa difende le posizioni dell’allora presidente Jimmy Guthrie, un testardo ex giocatore scozzese trapiantato a Portsmouth, e quando questi si ritira viene eletto al suo posto.
Hill diventa subito noto come il “bearded beatnick”, l’hippie barbuto che entrava vigorosamente in battaglie dal sapore tendenzialmente sinistroide per i ricchi proprietari dei club calcistici d’oltremanica. Ma il ragazzo non aveva nessun tipo di idea comunista, era semplicemente uno che non aveva problemi a dire la sua e che solitamente trovava modo di ottenere ciò che voleva. Ancora incredulo della carica ricevuta, si trovò a poter fare qualcosa per migliorare le condizioni dei suoi colleghi. E sicuramente avrebbe messo tutto sé stesso per riuscirci.
Jimmy Hill aveva due obiettivi: abbattere il tetto massimo agli stipendi, fissato a 20 pound alla settimana, e cancellare l’odiosa regola del “retain and transfer”: fino a quel momento un giocatore registrato per una determinata squadra non poteva scegliere di trasferirsi in un’altra senza il consenso dell’attuale proprietaria del cartellino, anche se il suo contratto (solitamente annuale) era scaduto. In buona sostanza, se un club decideva di non voler lasciare andar via un giocatore, poteva tenerlo senza stipendio ed evitare che potesse giocare da altre parti, avendo la legge dalla sua parte. Le scelte rimaste al calciatore erano quelle di andare nelle leghe amatoriali, oppure di ritirarsi.
Passerà quattro anni in barricata, cercando in tutti i modi di vincere le due cause. In un’epoca in cui gli avvocati ancora non erano interessati al mondo del calcio, erano persone volenterose come lui a districarsi nelle trattative, che ormai avevano raggiunto anche il Ministro del Lavoro in persona. Così quando nel gennaio 1961 arriva l’ennesima misera offerta di rialzo del tetto degli stipendi da parte proprietari di club, Hill prende la palla al balzo ed evoca lo spettro più rosso che possibilmente può palesarsi in Inghilterra: lo sciopero generale del calcio. E da buon conoscitore di “come va il mondo”, chiama più di cinquanta giornalisti ad assistere al fragoroso assenso dell’assemblea dei giocatori chiamati a esprimersi sull’appoggio dell’azione promossa dal loro leader.
Il 18 gennaio, tre giorni prima dell’incredibile picchetto, i club e la Football League cedono, sotto la pressione dei media ma anche dei politici che non possono far perdere agli elettori il loro passatempo preferito. Il tetto agli ingaggi viene eliminato del tutto, raggiungendo un risultato sensazionale e da molti impronosticabile. Curiosamente Jimmy Hill non approfittò mai della sua stessa vittoria e rimase fino alla fine della carriera da giocatore con i suoi 18 pound settimanali di stipendio. Non sarà l’ultima volta che non godrà dei frutti del suo lavoro.
L’allenatore dalle idee strampalate
Due anni dopo la vittoria sugli stipendi ci pensa un giudice della High Court a cancellare per sempre la regola del “retain and transfer”, ma Hill è già passato oltre alla sua fase da pseudo-sindacalista. Infatti nel marzo 1951 si lacera di nuovo le solite cartilagini del ginocchio destro, e capisce che non ne ha più di stare sul campo. La polizza assicurativa garantisce 10.000 pound per il suo infortunio, ma finiscono tutti nelle casse del Fulham che non ha nessuna considerazione per le sue spese mediche, così decide repentinamente di ritirarsi e lasciare il club.
Sarebbe già pronto a reinventarsi per l’ennesima volta, e iniziare una carriera in una professione nata molto recentemente. Lo “sport agent”, il procuratore sportivo, era un concetto sviluppato da talmente poco che molti dubitavano della presenza a lungo termine di questa figura. Jimmy però, da discreto profeta come sicuramente aveva già dimostrato d’essere, ne aveva inteso le potenzialità ed era pronto a lanciarsi. Il suo primo cliente, il nazionale inglese di cricket Jim Laker, decide però di presentargli un suo collega, che incidentalmente è anche uno sport promoter e nel tempo libero fa il presidente del Coventry City Football Club in terza divisione. Così Derrick Robbins e Jimmy Hill trovano una comunità d’intenti quasi istantanea, e poche settimane dopo essersi ritirato dal calcio giocato l’ex attaccante del Fulham fa il suo esordio da allenatore.
E niente, anche qui Hill dimostra tutto il suo estro. I suoi sei anni sulla panchina del Coventry City vengono ricordati come la “Sky Blue Revolution”. Cambia totalmente la divisa della squadra, rendendola appunto blu cielo, e così tinge anche il treno che fa noleggiare per portare i tifosi alle trasferte. Hill però non organizza questi trasporti per la “curva”, anzi è il primo manager inglese a predisporre durante l’intervallo snack e piccoli spettacoli per mogli e figli dei tifosi, che vuole seguano la squadra anche fuori casa. Si mette anche a riscrivere l’inno del club, ovviamente chiamato in seguito “Sky Blue Anthem”. Si inventa il primo tabellone elettronico per segnare le informazioni della partita. Fa sostanzialmente di tutto, e sempre più avanti rispetto ai suoi contemporanei.
Non lavora male anche sul campo, anzi. Sostenuto dagli sforzi finanziari di Robbins, Hill porta il Coventry City prima in Second Division nel 1964, e tre anni dopo riesce addirittura a centrare una insperata promozione in First Division. La città è totalmente ai piedi del suo allenatore, che si appresta a sedere per la prima volta su una panchina della serie regina. E come suo solito, Jimmy Hill improvvisamente spiazza tutti e si dimette. È pronto infatti a iniziare la sua ennesima nuova avventura, tutta diversa dalle precedenti.
La star della tv: l’ennesima trasformazione di Jimmy Hill
Hill aveva già da tempo un buon rapporto con i media, non disdegnava una chiacchierata con i giornalisti e aveva un suo perché davanti le telecamere. Quel mento appuntito e barbuto lo rendeva un soggetto singolare, mentre le sue idee dirette e precise, alle volte molto originali, colpivano l’orecchio dello spettatore. Così Jimmy decise di lanciarsi nella carriera televisiva.
Prima fa da assistente per una serie della BBC sul calcio, poi viene chiamato dalla divisione sportiva di Londra di ITV e ne diventa il capo. Ovviamente, anche qui realizza cose prima mai pensate. Nel 1970 è a capo della redazione che segue i Mondiali di calcio in Messico, e la proprietà chiede insistentemente di rendere più piacevoli le lunghe attese e i tempi morti tra le partite. Hill allora si inventa un nuovo formato di programma: mette a tavolino giocatori in attività come Bob McNab (difensore dell’Arsenal) e Derek Dougan (attaccante del Wolverhampton), allenatori come Malcolm Allison (maestro di Bobby Moore e al tempo assistente allenatore al Manchester City), e soprattutto si siede anche lui con loro. Così iniziano a discutere delle partite, del torneo, del calcio nella sua totalità, esprimendo pareri e opinioni in massima libertà. Ha creato il primo tavolo di analisi e commento della televisione sportiva.
L’idea ha un successo enorme. McNab, Dougan, Allison e Hill, insieme ad altri ospiti che compaiono a rotazione, non si tirano indietro e al tavolo di analisi escono fuori litigate leggendarie. Il programma è seguitissimo e Jimmy Hill diventa uno dei nomi di punta della tv. Così la BBC decide di riprenderselo, e stavolta lo mette a condurre “Match of the Day”. Il programma esiste già da tre anni, ma i club non sono molto contenti di avere la televisione che manda le immagini delle partite per paura di perdere presenze allo stadio e l’emittente pubblica ci mette un po’ per trovare un accordo con i proprietari che fosse vantaggioso per tutti. Una volta firmato il nuovo contratto, serve dare una scossa alla trasmissione, e chiamare Hill a condurla è la scelta giusta. Con le sue idee forti, e nessuna vergogna nell’esprimerle, quel modo un po’ malandrino di prendere in giro quasi tutto, e la presenza scenica ormai di un consumato attore di teatro, Match of the Day diventa l’appuntamento fisso del sabato sera inglese.
L’ennesima carriera di Jimmy Hill: il dirigente sportivo
Figurarsi però se Jimmy Hill poteva stare fermo e fare solo il personaggio televisivo. Troppe le energie che deve disperdere, non riesce a stare fermo mezzo secondo. Durante un Arsenal-Liverpool del 1972, uno dei guardalinee subisce un infortunio nel bel mezzo del match. Non c’è un sostituto, se non si trova qualcuno che ha la licenza per arbitrare il match viene annullato. Jimmy stava assistendo alla partita da spettatore, ma appena la direzione di gara manda l’annuncio agli altoparlanti scende subito al campo. Figurati se non ha la licenza arbitrale. Così come nulla fosse si fa prestare una divisa e si posiziona sulla linea laterale per il resto del match, sotto gli scroscianti applausi dello stadio.
Se la carriera arbitrale, almeno quella, si limita solo a questo episodio, non può esimersi dall’impegnarsi in tutto ciò che gli viene proposto. Così nel 1975 torna al Coventry City, stavolta però nei quadri dirigenziali. Prima CEO, poi direttamente presidente. Anche qui ovviamente non si ferma al compitino: è lui il primo a inserire uno sponsor sulla maglietta blu della squadra; sarà il primo a trasmettere in diretta una partita di football, attraverso le telecamere di sicurezza dello stadio; passerà anni a cercare di convincere i suoi colleghi a dare tre punti per ogni vittoria invece dei due in vigore fino a quel momento, per cercare di movimentare le partite e premiare l’attitudine offensiva. Ovviamente la spunta lui, e nel 1981 la FA è la prima federazione al mondo, molto prima di tutte le altre, ad adottare il nuovo punteggio.
Ma il fiore all’occhiello della sua carriera dirigenziale a Coventry è la ristrutturazione dello stadio. Sempre nel 1981, seguendo il motto “Non puoi essere un hooligan se guardi seduto la partita”, Hill decide di far diventare Highfield Road il primo stadio inglese con soli posti a sedere. I tifosi non la prendono benissimo i primi tempi, e i più battaglieri si divertono molto nel divelgere i seggiolini e lanciarli in campo, costringendo la dirigenza a ripristinare alcune aree destinate al pubblico in piedi. Ma ancora una volta Jimmy realizza un qualcosa di mai visto prima, e assistere dal vivo al disastro di Hillsborough qualche anno dopo rafforzerà la sua convinzione di aver avuto un’altra volta ragione.
Due anni dopo la vicenda di Highfield Road lascia il board del Coventry City e va brevemente al Charlton, sempre come dirigente, ma sua meta finale è incredibilmente un ritorno al passato. Diventa infatti presidente del Fulham nel 1987, in un periodo non proprio fortunato della società che si trova retrocessa in terza divisione e sull’orlo del fallimento nonostante abbia venduto tutti i calciatori di valore (e la maggior parte che non ne avevano). Sarebbe già pronta una fusione con il Queens Park Ranger, ma in realtà questa mossa avrebbe portato più problemi che altro, così Hill riesce ad arrivare all’ultimo secondo per interromperla e salvare il suo vecchio club.
Un vecchietto dalla energie infinite
Le peripezie alla guida del Fulham rappresentano l’ultima esperienza dirigenziale di Hill in un club professionistico. Anni dopo racconterà che, di tutti i lavori avuti attorno al football, quello di presidente è l’unico che rimpiange di aver avuto. Nel 1996 però torna comunque a guidare una squadra, anche se amatoriale: il Corinthian-Casuals, la formazione nata da sulle ceneri di quei famosi Corinthian che agli albori del calcio avevano battuto il Manchester United 11-3 e faceva tournée in tutto il mondo. Quelli che ispirarono il Corinthians brasiliano ad adottare quel nome e quell’uniforme.
Hill ne apprezzava lo spirito amatoriale, il rigido codice etico, l’amore per il gioco rispetto che per la materialità, disprezzando un po’ la deriva presa dai calciatori moderni grazie anche al suo lavoro di tanti anni prima. Seguiva tutte le partite in casa del Corinthian, e se vedeva qualche giocatore non seguire il codice della squadra non aveva problemi a presentarsi negli spogliatoi a dirgliene quattro.
Nel frattempo rimane il volto più conosciuto della tv. Conduce Match of the Day fino al 1988, e rimane come opinionista fino ai Mondiali di Francia ‘98. Il suo stile inconfondibile caratterizza le oltre 600 apparizioni sui canali pubblici, scandite anche da alcuni momenti controversi. Scaduto il contratto con la BBC viene ingaggiato da Sky, dove è di nuovo alla conduzione di un programma tutto suo fino al 2007, quando finalmente lascerà il piccolo schermo alla soglia delle 80 primavere.
L’anno successivo scoprirà di avere il morbo di Alzheimer, ma la notizia arriverà al pubblico solo nel 2013. Il football inglese si strinse attorno a una delle sue figure più importanti e rappresentative, che appariva ormai l’ombra dell’uomo vigoroso e pieno d’energie di un tempo. Il 19 dicembre 2015 la malattia se lo porta definitivamente via.
La scomparsa di Jimmy Hill segnò l’ennesimo distaccamento emotivo da un altro tipo di football. Un mondo diverso da quello di oggi, più genuino, più onesto, più semplice. Dove un ragazzo della working class con tanta voglia di fare e molta inventiva poteva diventare quel che voleva, poteva arrivare a ricoprire tutti i ruoli immaginabili nel mondo del calcio e farsi amare dalla gente così com’era. Un visionario alternativo, l’ultima persona da cui potersi aspettare idee così avanti del tempo, che ha preso a braccetto il calcio inglese e l’ha accompagnato nell’era moderna.
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