Che cosa chiede uno a questo gioco? Chiede che suo padre d’improvviso lo accompagni al parco o davanti ad un vero e proprio campo sportivo, chiede che gli venga messo un pallone tra i piedi e che gli venga spiegato come si gioca, che c’è una squadra e che lui si deve rendere utile ad essa. Poi le strade si dividono, per quelli che decidono di continuare a giocare. Si dividono perché qualcuno decide di mettersi dei guanti e piazzarsi tra i pali; qualcun altro viene convinto che deve giocare in difesa perché tanto grandi doti tecniche non ne ha, però sui contrasti è difficile da superare; c’è chi invece fin da piccolo mostra quell’intelligenza tattica che lo colloca inevitabilmente in mezzo al campo, qualcuno in modo più difensivo e, qualcun altro più estroso e libero, legittimato a ballare sulla tre quarti, per non parlare di chi invece fa vedere fin da subito che per velocità e capacità di saltare l’avversario si deve muovere dal primo all’ultimo minuto con i piedi sulla riga laterale. A questo punto ne manca una, di strada, quella che da un lato tutti i bambini sognano di intraprendere e dall’altro, chi capisce di non essere adatto, abbandona immediatamente. Infilarsi quella maglietta con il numero 9 e sentirselo adagiare sulla schiena (in molti casi il numero è l’11 ma, capirete, qui dobbiamo necessariamente parlare del 9) significa avere qualcosa di diverso dagli altri, significa essere dei dissoluti del gioco, significa essere disposti a sopportare un costante chiodo fisso che rappresenta una dipendenza, significa non pensare ad altro che a quella sempre nuova e sempre imparagonabile sensazione che arriva quando la rete si muove, il gol. Ma perché è così speciale, perché ogni volta è così incredibilmente unica e perché ci si sente come se non volessimo mai fermarci, perché vogliamo segnare ancora e ancora, e ancora? Semplice: perché sappiamo che chi lo sa fare lo farà sempre, non conta quante partite, quanti minuti giochi, non conta in che categoria e in che squadra giochi, il cannoniere in un modo o nell’altro, tra i suoi alti e i suoi bassi, con le sue crisi e le sue depressioni, rimarrà sempre tale e segnerà, facendo esultare (alcune volte impazzire) il pubblico.
E allora sì che Jamie Vardy e il suo numero 9 rappresentano il contenitore giusto almeno per una parte, una cospicua parte, dell’essenza del calcio inglese. Se non nella determinazione, se non nel non abbattersi mai, se non in quell’essere inclini a realizzare il sogno della vita, dove si trova la linfa vitale del pallone? Jamie Vardy può essere tutte queste cose e anche di più. Andategli a domandare come ci si sente la sera dopo aver svolto un duro allenamento di National League (l’equivalente della promozione in Italia), solo, e questo non è un particolare da poco, che quell’allenamento è stato preceduto da otto non proprio salutari ore a lavorare in fabbrica. Ci si sente stanchi, su questo non c’è dubbio, ma se davvero glielo chiedeste, molto probabilmente lui risponderebbe che ci si sente talmente carichi e positivamente arrabbiati che su quel pallone ci arrivi, non so come, ma ci arrivi, perché corri veloce e soprattutto sei convinto di arrivarci. Te li mangi quei tre, cinque, dieci o venti maledetti metri, perché se hai fame, se hai voglia di dare una svolta alla tua vita, non conta chi hai di fronte in quel momento, non conta chi ti corre accanto, tu sarai quello che non solo arriva su quel pallone, ma che concretizza la sua corsa, e nel caso di gente come Vardy, questo vuole quasi sempre dire gol. Forse questo spiega la furia nella corsa di questo ragazzo quando vede una palla nello spazio, la capacità di dettare il passaggio al compagno in profondità, l’abilità di calciare perfettamente, disturbato o no, anche dopo trenta o quaranta metri di corsa al massimo della velocità. Pensate a quel gol, il suo più celebre, contro il Liverpool, in quella stagione che sarà ricordata come irripetibile. In quel gol c’è tutto di questo: c’è lo scatto, c’è la voglia di andare su quel pallone e di fare la giocata dell’anno. Il gesto tecnico è perfetto, perché se calci al volo da 25 metri e la metti al sette scavalcando il portiere non può che essere perfetto, ma è il lampo di genio che fai fatica ad aspettarti da uno come lui, o almeno che qualcuno non si aspettava finché Vardy non ha mostrato che la materia di cui era fatto era la stessa che aveva fatto vedere nei dilettanti.
Tutti I gol di Vardy con la maglia del Leicester
Com’è strano il calcio, com’è strana la storia. Pensiamo a quando Vardy è arrivato al King Power Stadium: aveva appena terminato una stagione che a definirla brillante la sminuiremmo, con il Fleetwood Town, squadra di National League con la quale aveva superato le trenta reti stagionali e inoltre aveva realizzato tre gol in F.A. Cup. Il Leicester, che militava in Championship, lo individuò come la giusta pedina per rinforzare l’attacco, magari non lanciandolo titolare fin da subito, ma comunque credevano che potesse essere un bell’investimento vista la facilità ad andare a segno. A Leicester sapevano anche che sì, il ragazzo segnava e tanto, ma il salto era grosso, dalla National alla Championship non può essere una passeggiata per nessuno, eppure lui fece subito vedere qualcosa di speciale, anche se non a livello realizzativo: fece solo 4 reti e le critiche non tardarono ad arrivare. Sarà anche il modo in cui le Foxes hanno perso il Play-off contro il Watford, e qui si potrebbe aprire un capitolo che definirlo lungo sarebbe riduttivo, sarà che lui è sempre stato l’ultimo ad abbattersi, anche perché sapeva che un’occasione come quella di avere un contratto con una squadra come il Leicester difficilmente gli sarebbe ricapitata, Jamie decise di farsi oltrepassare dalle critiche e dai dubbi su di lui. Lui credeva in sé stesso e forse credeva di essere anche di più di quello che realmente era. Questo stato d’animo pagò: giocò la stagione successiva da titolare e trascinò le sue Foxes alla vittoria della Championship e alla promozione in Premier con sedici centri. Sapeva che quello sarebbe stato solo l’inizio e che avrebbe nuovamente dovuto affrontare momenti difficili. Ebbene i momenti difficili sono tornati quasi subito, la stagione è estenuante, la squadra ultima praticamente dalla prima giornata. Per fortuna sua, del Leicester e, con il senno di poi, per tutti gli appassionati di calcio, la squadra di Nigel Pearson si salva dopo una corsa all’ultimo respiro e rimane nel First Flight. A questo punto il “problema” di Vardy diventa semplicemente gerarchico, ma lui non lo vede neanche: il Leicester investe subito, sotto indicazione del tecnico Pearson, su Shinji Okazaki, che l’allenatore vuole inserire prevalentemente accanto a Leo Ulloa. Dunque, teoricamente, anche alla luce delle cinque reti in trentaquattro partite, non proprio una media alle stelle, c’è un forte rischio che il numero 9 molte partite le possa vedere dalla panchina. Ma come abbiamo detto, il calcio, come la storia, ci delizia con le sue sorprese: a fine giugno 2015 Pearson viene inaspettatamente esonerato e la squadra viene affidata a uno che, esattamente come Vardy, farà parlare di sé, Claudio Ranieri.
Ora, senza entrare troppo nella storica conquista del titolo da parte del Leicester, bisogna “dare a Cesare quel che è di Cesare” e dunque dire che senza Jamie Vardy questa impresa sportiva non sarebbe probabilmente mai stata raggiunta. Jamie gioca, eccome se gioca, lui non ha nemmeno sentito la voce di chi lo aveva già etichettato come attaccante di riserva, ma soprattutto segna, segna contro tutti, piccole e grandi, corre su tutti i palloni con quel numero 9 sulla schiena, una gazzella che graffia come un ghepardo quando vede la luce per calciare, nella solitudine del centravanti. Il cannoniere di Sheffield vuole sentire quel brivido, la sensazione unica che si prova dopo ogni gol segnato, e lo vuole sentire il più spesso possibile, tutte le settimane sarebbe perfetto, e ci va vicino. Il ragazzo a ventinove anni e che solo cinque anni prima combatteva in National League stava trascinando una squadra che si era salvata per il rotto della cuffia alla fine della stagione precedente alla vittoria del campionato più difficile del mondo.
Jamie Vardy vs Liverpool 2015/2016
Nella terra che è sì delle storiche grandi dominatrici (Man Utd, Man City, Arsenal, Liverpool, Chelsea) ma anche del Blackburn di Dalglish, del Nottingham Forest di Clough, dello stesso Leicester di Ranieri, dei “great escapes” e del Survival Sunday, uno come Jamie Vardy non può che rappresentare l’essenza, quantomeno dal punto di vista di un numero 9 diventato calciatore in provincia, del calcio britannico, un calcio che sarà anche pieno di soldi, che sarà anche ricchissimo, ma che sa premiare chi non ha mollato, chi ci ha creduto e chi ha saputo valorizzare quello che sapeva fare, in questo caso, goal.