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martedì 3 Dicembre 2024
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La folle stagione del Manchester City prima dell’arrivo degli sceicchi. Dalle pazzie di un ambiguo Presidente alla debacle del Riverside Stadium.

Un lungo giro sulla giostra di proprietà thailandese, agli ordini di Sven Goran Eriksson.

8 ' di lettura

Riavvolgete il nastro. Avete presente De Bruyne, Silva e compagni? Ecco dimenticatevene, perché state per fare un turbolento giro nel passato, a bordo di uno dei City più pazzi di sempre. Un tour che vi lascerà in bocca un sapore di nostalgia mista a romanticismo, e perché no, anche un sorriso non troppo velato.

Corre l’anno 2007, all’ombra del City of Manchester è trascorsa l’ennesima stagione deprimente. I blu di Manchester hanno chiuso il campionato con un magrissimo 14 esimo posto in classifica: all’ordinaria mediocrità quell’anno si era aggiunto il record negativo di otto gare casalinghe senza segnare. Tutto normale se fai parte del popolo Citizen, gente dura e pura, avvezza a battagliare con le unghie e coi denti per rimanere agganciata al vagone della Premier. Non si bada al come, ma al cosa. “Il fine giustifica i mezzi”, in chiave machiavellica, calza perfettamente addosso a una squadra arcigna e operaia, che certamente non si perita di esprimere bel calcio né fa delle buone maniere la chiave di volta per arraffare i punti salvezza.

In Primavera però sembra soffiare un vento diverso, e l’aria cupa, compagna di mille sofferenze, pare destinata a schiarirsi. Un homo novus sbarca in Terra d’Albione, di lui si sa molto (o molto poco, dipende dai punti di vista). Ad irrompere nella Greater Manchester è Thaksin Shinawatra, ex primo ministro thailandese, nonché fondatore e segretario di un partito nato per dar sfogo all’insoddisfazione del popolo asiatico. In certe realtà più che in altre, affermarsi sulla scena politica venendo dal nulla somiglia più a un’utopia che ad una concreta possibilità… non a caso Thaksin è a capo di un sistema di imprese che detiene il controllo delle emittenti televisive thailandesi. Per intendersi, gli amici lo chiamano “Ai na Liam”, un termine utilizzato per descrivere un soggetto ambiguo e scaltro, con spiccata tendenza alla truffa. Shinawatra appare quale uomo di successo, desideroso di esportare la sua fama ed il suo aldilà del continente asiatico.

Ecco il nuovo proprietario del Manchester City.

In realtà il viaggio di Thaksin non era stato poi così lungo. Da diversi mesi era in esilio (per così dire) a Londra, ramingo dalle accuse di violazioni di diritti umani e corruzione piovutegli sulla testa ad opera del nuovo esecutivo thailandese dopo che, nel 2006, era stato deposto da un golpe militare. Tutto sommato un confino comodo ed agiato, se pensate che nel Giugno 2007, dopo un paio di mesi di trattative serrate stacca un assegno da 81 milioni di sterline per accaparrarsi il trono della Manchester blu.

Shinawatra non sembra affatto intenzionato a dar pace al proprio blocchetto degli assegni. A pochi giorni di distanza dall’insediamento arriva il primo grande colpo della gestione del magnate thailandese. Cacciato Stuart Pearce, il successore per la panchina dei Citizens è un signore che sino a pochi mesi prima si accomodava sulla panchina dei Three Lions: Sven Goran Eriksson.

Al coach viene data carta bianca per allestire la squadra, oltre a un generoso triennale da tre milioni di sterline all’anno. Lo scandalo che poche settimane addietro lo aveva investito, a causa di fuorvianti dichiarazioni sui manager inglesi rilasciate in confidenza a un fantomatico sceicco che altro non era se non un inviato sotto copertura del News Of The World, aveva costretto la federazione inglese ad allontanare il tecnico. Ciò lo aveva reso paranoico a tal punto da chiedere di alloggiare nella suite del Radisson Edwardian Hotel, per evitare le insidie e dei nuovi reporter, magari travestiti da magnati thailandesi.

Nelle sue umili stanze, Eriksson ordisce le sue trame di mercato. Nelle casse del City le monete tintinnano più che in ogni altra stagione; il neo patron non vede l’ora di spenderle, per dimostrare a tutto l’ambiente calcistico che le cose stanno cambiando in modo estremamente rapido. Gli assegni staccati si sommano per un totale di 42 milioni di euro, cifra 20 volte superiore al budget stanziato per la precedente campagna acquisti. Al City of Manchester giunge un plotone di giocatori dalle più disparate parti del mondo: arrivano i brasiliani Elano e Geovanni, dalla Bulgaria Martin Petrov ed un giovane Valerij Bojinov assieme al croato Corluka, lo spagnolo Javier Garrido e lo svizzero Gelson Fernandes. La ciliegina sulla torta proviene direttamente dal Belpaese: stiamo parlando di Rolando Bianchi. Il bomber di Lovere è reduce da una grandissima stagione in quel di Reggio Calabria, ove si è imposto come uno dei trascinatori della miracolosa Reggina di Mazzarri, riuscita nella memorabile impresa di raggiungere la salvezza nonostante la pesante penalizzazione frutto di Calciopoli.

Pronti via. Il team di Eriksson parte col botto, facendo bottino pieno ad Agosto, addirittura battendo in casa gli odiati cugini dello United. Le cose filano alla perfezione: la squadra sviluppa una grande solidità difensiva e riesce a concretizzare le occasioni che capitano sui piedi degli avanti offensivi, Petrov e Bianchi su tutti. A spaccare il mondo con il suo strapotere fisico è però un ragazzino appena ventenne, uno dei prodotti dell’ottima Academy dei Citizens: gioca terzino destro, si chiama Micah Richards. È il prototipo di giocatore che esalta il tifoso inglese, o meglio il vero Citizen: muscoli e sudore al servizio della causa, grinta e capacità atletiche a sopperire l’inesperienza e le carenze tecniche. Sembra tutto funzionare a meraviglia, con Eriksson che si dimostra abile maestro nel fungere da collante tra gruppo e società.

Thaksin Shinawatra consegna il premio miglior giocatore e miglior allenatore del mese a Eriksson e Micah Richards.

Il fortino comandato da Dunne tiene botta ed il curioso City arriva alla sosta d’Ottobre terzo in classifica, a sole quattro lunghezze dall’Arsenal capolista. La creatura di Svenn sembra eseguire perfettamente ed armoniosamente i dettami del suo padrone: lo svedese vuole un calcio semplice, che bada prima di tutto a non prendere goal, cementando i risultati attorno alla solidità difensiva, per poi affidarsi al piede e alle geometrie di Elano unite alla fantasia di Ireland ed alle scorribande di Petrov e Geovanni, giocatori tecnicamente educati, in grado di servire ottime occasioni per il centravanti di turno, in special modo Bianchi.

Nel frattempo, il buon Thaksin si distingue per aver lottizzato a livello familiare il CDA della società, inserendo ben 4 membri di casa nel board dei Citizens. Giusto per aumentare il livello di contraddittorio a cui poteva esser disposto un presunto despota. Il boss mischia all’autoritarismo anche una discreta componente di scaramanzia: leggenda vuole che abbia fatto sotterrare due elefantini sotto il manto erboso del City of Manchester, in segno di buon auspicio. Col sennò di poi, avrebbe forse fatto meglio a servirsi degli aruspici tanto noti ai fondatori della Capitale. Stessa sorte, in virtù della scaramanzia, tocca al colore viola delle maglie da trasferta, letteralmente epurato. Il tocco di classe, misto a patriottismo, Shinawatra lo sfodera quando mette sotto contratto tre sconosciuti dai cognomi impronunciabili, i migliori prospetti del calcio thailandese, per essere poi prontamente ceduti in prestito in Belgio e Svizzera, e collezionare, tutti assieme, appena 6 presenze nel professionismo.

In mezzo a un clima surreale, i Citizens giungono al termine del girone d’andata nelle zone alte della classifica, a pari merito col Liverpool e a sole 6 lunghezze dall’Arsenal. Un risultato impensabile ai blocchi di partenza. Quella squadra arida e rocciosa, con tutte le sue storture e i suoi paradossi, quasi comici, sembrava aver trovato il suo baricentro. Il surrealismo prende davvero forma quando, nel mercato invernale, il bomber Bianchi decide di fare le valigie e tornare in patria. Colpa del cibo pessimo e delle insistenti richieste di scolarsi pinte di birra, che il buon Rolando non gradiva affatto, dirà lui. Il bomber italico viene così rimpiazzato dal trittico Caicedo, Benjani Mwaruwari, Nery Castillo.

“È tutto un equilibrio sopra la follia”… note più azzeccate di queste non potrebbero esserci per descrivere quell’11 Febbraio. Dopo più di 30 anni i Citizens tornano a razziare Old Trafford, rompendo quello che era diventato un vero e proprio tabù, anche a causa della manifesta superiorità mostrata dagli odiati cugini nel corso dei decenni. È un derby storico perché arriva quattro giorni dopo il cinquantesimo anniversario della sciagura aerea di Monaco di Baviera 1958, in cui il grande United di Matt Busby era stato decimato: motivo per cui i Red Devils giocano con le splendide divise dell’epoca, dall’1 all’11, e il City fa la propria parte con eleganza, indossando magliette senza sponsor. L’eroe della giornata è il capitano Dunne, che si frappone con anima e corpo alle incursioni di Ronaldo e compagni, emblematico l’eroico intervento a salvare il risultato su un destro di Tevez che con ogni probabilità sarebbe finito alle spalle di un giovanissimo Joe Hart. I mattatori del derby sono l’esperto Darius Vassell ed il neo-acquisto Benjani Mwaruwari, entrambe abili nel concretizzare due dei pochi palloni giunti dalle parti di Van der Sar.

Van der Sar non può nulla sul colpo di testa di Benjani, autore della rete decisiva nel derby di Manchester.

Tutto molto bello, se non fosse che iniziano ad emergere le prime, neppur troppo velate, problematiche societarie. Non si tratta di roba di poco conto. Il fuggiasco Thaksin Shinawatra non è ancora riuscito a sbloccare i conti che l’esecutivo thailandese gli ha prontamente congelato, sui quali giace la bellezza di 800 milioni di dollari. Il magnate confidava erroneamente nella vittoria alle elezioni in patria di un partito a lui vicino, per poter nuovamente usufruire della sua liquidità. Gli elefantini sotterrati al City of Manchester però se la dormivano della grossa. Con l’acqua alla gola, il Presidente in gran segreto è costretto a farsi prestare per ben 3 volte i soldi per pagare gli stipendi dall’ex Presidente Wardle, poi eletto tifoso ad honorem ed ancora oggi caldamente ospitato in una lussuosa poltrona dell’Etihad.

Così anche la manifesta incompetenza calcistica del presidente, prima tollerata e giustificata, diventa motivo di scherno a tutti i livelli. Alcuni membri dello staff iniziano pubblicamente a prendersi gioco di lui, come il magazziniere Les Chapman, che un giorno si presenta al campo d’allenamento travestito da Shinawatra, con le manette ai polsi, e imitandolo dichiara: «Un giorno questo club sarà più grande del Mansfield!».«Una volta», ricorderà Chapman al Daily Mail, «Shinawatra cercò di motivare Eriksson dicendogli: devi pensare che la prossima partita sia importante come una finale di Coppa del Mondo. Appena lasciò la stanza, Eriksson mi guardò e disse: Les, penso che la tua imitazione capisca di calcio più dell’originale».

Tra una farsa e l’altra, anche la squadra di Eriksson inizia a battere la fiacca. Una sequela di deludenti pareggi e sconfitte in un batter d’occhio catapulta i Citizens dalle zone nobili ad una triste ed usuale metà classifica. A due giornate dalla fine del campionato il patron, fortemente deluso, ha addirittura tolto il saluto all’allenatore svedese. Come se non bastasse, il dilettantismo allo sbaraglio pare non mostrare alcun limite: a poche ore dal fischio di inizio tra Liverpool e City un emissario comunica l’imminente esonero al tecnico svedese, che per non destabilizzare l’ambiente mantiene saggiamente per sé la meravigliosa notizia.

Il popolo Citizen manifesta il sostegno al suo allenatore, contestando apertamente la proprietà.

Nel corso della settimana l’indiscrezione trapela sui tabloids, Eriksson è dunque costretto ad affrontare l’argomento con i suoi ragazzi. Comunicata loro la decisione societaria, questi annunciano di rifiutarsi di scendere in campo in vista dell’ultima gara contro il Middlesbrough. Solo un ultimo tentativo di Eriksson riesce a convincere Dunne e compagni a scendere in campo. Non l’avesse mai fatto. Il capitano impiega appena 15 minuti a farsi mandare sotto la doccia: è l’inizio di una debacle dalle dimensioni storiche. Al Riverside Stadium il Boro ne fa 8 al City, che saluta vergognosamente una stagione a dir poco incredibile. Nonostante l’orrendo finale di stagione, lo sgangherato undici di Manchester riesce a strappare per il rotto della cuffia un’ormai insperata qualificazione alla Coppa UEFA della stagione successiva.

C’è solo spazio per l’ultimo, e forse unico, colpo di genio da parte di un oscuro collaboratore del sempre più braccato Shinawatra. È lui a portare al cospetto del thailandese lo sceicco Mansur bin Zayd Al Nahyan, della famiglia regnante di Abu Dhabi, voglioso di investire una minima parte dell’enorme patrimonio accumulato grazie ai giacimenti petroliferi di cui dispone. L’acquisto lampo di Robinho, per la bellezza di 32 milioni di euro,segna l’inizio una nuova epoca per il popolo del City of Manchester: saranno anni in cui fiumi di petrolio ripagheranno parzialmente i quintali di fango deglutiti in decenni di onorata fede alla causa. Ma questa è un’altra storia…

 

 

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