Oggi però non siamo qui per ricordare le gesta del Tony Adams difensore. Sì, è stato uno dei migliori, lo sanno tutti. Quello che invece spesso passa in secondo piano è il suo percorso da uomo fuori dal campo: o meglio, se ne parla, ma quasi sempre con tono accusatorio e sbrigativo, una costante nella vita di “Tone”. Uno che, a dispetto del talento, ha sempre dovuto incassare e mandar giù.
In campo i tifosi avversari lo deridono facendogli il verso dell’asino, il raglio: l’animale diventa presto il suo soprannome in giro per gli stadi di mezza Inghilterra. Così non conta essere il capitano dell’Arsenal ed un leader in nazionale. Vale solo Tony Adams l’asino. Tony Adams l’alcolizzato.
Ma grattando via la banalità del male inferto, traslucido, sofferente, resta l’uomo. Ed in camera, oppure in bagno, uno specchio contro il quale riflettersi e riflettere, per cercare di dare una spiegazione ad una dipendenza che, con il tempo, ti ha portato via ogni cosa. Un pessimo compagno di squadra. Un padre fallito. Un marito abbandonato. Brutalmente in sintesi: un rottame umano.
“Bevevo per lavare via il dolore dopo una sconfitta e anche per celebrare una vittoria. Dunque, in definitiva, bevevo sempre“, dirà Tony in un’intervista posteriore alla sua autobiografia – Sober. Football. My story. My life. – dopo esserne finalmente uscito. La strada però è lunga e dolorosa e, per tutto il tempo, l’uomo che si guarda allo specchio (la persona più autentica alla quale chiedere un parere, scrive nel libro) semplicemente non è contemplato. Piuttosto, rimbalza da un pub a un’altro, come una pallina che ha bucato il flipper, una dannata trottola incapace di rimanere in equilibrio su se stessa.
“Ebbene sì, sono un alcolista. Ma intendo uscirne: rispettatemi“, rivela una volta tra le quattro mura dello spogliatoio dei Gunners. Più facile a dirsi, inevitabilmente. Tony finisce anche in galera per un periodo:”Ricordo le otto settimane nel carcere di Chelmsford per guida in stato di ubriachezza, con l’incidente a 120 all’ora senza neppure accorgermene, la rovinosa caduta dalle scale di un night che mi aveva lasciato una ferita di 29 punti in testa, un conto da 5.800 sterline in un night, la pipì a letto“.
Nei pub è ormai diventato un complemento d’arredo, una sorta di appendice. Al punto che conosceva orari, vizi e virtù di tutti gli avventori. Sapeva a memoria i turni di idraulici, tipografi e minatori ed anche quante pinte avrebbero potuto reggere.
“Il mio valore come persona risiedeva in ciò che facevo, non in quello che ero“: la diapositiva più cruda ed emblematica del circo di plastica che lo circondava. Una macchina di falsità che si abbeverava dalle sue cadute, fingendo di tendere una mano all’uomo, quando era chiaro che contava soltanto il giocatore.
Ma qualcuno aveva fatto male i conti. Perchè Tony Adams, d’un tratto, ricorda che può essere un duro anche fuori dal campo. Immagina di poter effettuare il suo stop migliore all’avversario più formidabile, quell’alcol che gli ha dilaniato l’esistenza. “In qualche modo bisogna tenersi su – dice un giorno – e mai mostrarsi deboli. Mai“.
Così inizia a frequentare le riunioni degli alcolisti anonimi. Ad aiutarlo c’è Steve Jacobs, una sorta di ordinario supereroe che ha già condotto Paul Merson, compagno di Tony, fuori dal baratro delle dipendenze da alcol e stupefacenti. “Ciao, sono Tony e sono un alcolista, dissi la prima volta. Sembrò tutto molto naturale: lì potevo superare l’ipocrisia comune e dire a tutti che, prima di essere Tony Adams il calciatore, ero il signor Adams che gioca a calcio, suona il piano, fa il padre, vive“.
La leggenda dello stopper bevitore ha attraversato indenne le bocche di generazioni, ma solo in pochi si sono soffermati sulla sofferenza dell’uomo allo specchio. Quando Tony ha trovato la forza di guardarsi, tutto è cambiato. Oggi non è più l’ubriacone che indossava tonnellate di buste di plastica per sudare via le birre di troppo. Ma non si sente salvo per sempre: “L’importante – consiglia ai tanti che gli scrivono – è avere la forza di non ricominciare mai“.
Una vita costeggiando lo sprofondo, cadendoci spesso e risalendo a fatica. Ma dal centro della difesa, almeno per oggi, non si passa più.