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Linfield: la faccia lealista di Belfast

6 ' di lettura“Un Dio cattivo e noioso preso andando a dottrina…”

“You are Now Entering Loyalist Sandy Row”. Il vecchio murales paramilitare venne sostituito anni fa da un ritratto di Guglielmo III d’Orange, il vincitore della Battaglia del Boyne. Siamo a poche decine di metri dal “The Meadow” nella zona sud di Belfast dove nel marzo del 1886 undici uomini in mutandoni giocarono una partita di calcio battendo per 6-5 il Distillery in tempi in cui l’Irish League non era ancora stata fondata. Un tale Bob McClurg, operaio della filanda di proprietà della Spinning Company, insieme ad altri colleghi di lavoro aveva creato il Linfield Football Club.

Belfast, Sandy Row, Windsor Park, Linfield. Non illudiamoci troppo negli accordi del Venerdì Santo. Qui il sangue ribolle. Come tazze da thè lasciate troppo in infusione. E qui come per i Rangers scozzesi vige la regola non scritta di non tesserare giocatori cattolici o comunque non protestanti. Una regola rispettata negli anni in maniera ferrea se si escludono alcuni atleti ingaggiati durante il periodo dei “Troubles”.

L’eccezione di rilievo arrivò quando Dessie Gorman nel 1992 lasciò lo Shelbourne spinto da quel vento soffiato dal caso Mo Johnstone che aveva aperto crepe nel settarismo britannico. Ma insisto: la favoletta che il pallone unisce, da queste parti non attacca, neppure sui muri, se sotto il manifesto “Love Football, Hate Bigotry” (ama il calcio odia la mentalità ristretta) non un secolo fa scrissero “Boruc Rip”, epitaffio cimiteriale destinato al portiere polacco nel periodo in cui militava al Celtic. Lo chiamavano “The Holy Goalie”, per via di quella maglietta sbattuta in faccia ai tifosi dei Gers dopo che il suo Celtic aveva vinto un old firm 3-2. Nella t-shirt c’era il volto di Karol Wojtyla e la scritta “Dio benedica il Papa”. Provocazione, insulto, non si può. Non qui. Oppure come non citare la famosa telefonata che arrivò alla sede di Belfast della BBC, in Ormeau Avenue, nel tardo pomeriggio del 21 agosto 2002: “Qui è il Loyalist Volunteer Force, se Neil Lennon stasera entrerà in campo, sarà seriamente colpito”.

Una semplice partita contro Cipro. Per Neil sarebbe stata la prima partita da capitano dell’Irlanda del Nord: <<Non importava che la mia famiglia non avesse nulla a che fare con gruppi estremisti, contava solo che ero cattolico e per giunta del Celtic Glasgow>>. <<Della minaccia -disse Lennon- fui informato da due poliziotti: tutti sapevamo che quel colpire seriamente significava che c’erano buone possibilità di rimetterci la pelle. Così mi ritrovai diretto verso casa, dentro la macchina di mio padre, che conserva ancora i biglietti, inutilizzati, di quella partita>>. Lennon, poi diventò allenatore del Celtic, ma quella notte chiuse la carriera internazionale: costretto dal proprio popolo, di fede avversa, che già l’aveva fischiato di brutto qualche mese prima contro la Norvegia. Era successo più o meno così anche negli anni ‘80 al difensore Anton Rogan.

Certe cose sono migliorate, non risolte. Lecito sperarlo, impossibile crederci. Semmai il pallone può far fraternizzare quando è ovale, se da oltre cent’anni la Nazionale di rugby rappresenta l’intera isola. Oppure deve prenderlo a calci quel geniaccio di George Best, protestante ma favorevole all’Irlanda unita, che mise tutti d’accordo anche al suo funerale.

Il Linfield è la faccia calcistica della Belfast lealista. Vincente se i numeri hanno qualche riscontro. Quando nacque la Lega nel 1890, ne divenne parte integrante e si aggiudicò subito i primi tre campionati, perdendo solo due partite su quaranta giocate. All’epoca il campo di casa era quello di Ulsterville Avenue ma una crisi economica a metà dell’ultima decade del secolo costrinse i blues a spostarsi da lì e muoversi in giro per la città senza riuscire a stabilirsi in un luogo fisso. Nel 1895 fu preso in affitto il campo di Balmoral Road ma la situazione non migliorò più di tanto perché i lavori di adattamento dell’impianto dovettero essere pagati con una parte del compenso previsto per i giocatori e ovviamente il club dovette adattarsi per qualche anno. Almeno fino al 1904, quando venne acquistato l’attuale Windsor Park. La prima partita fu giocata nel contro i concittadini del Glentoran, il 2 settembre 1905, anche se in quel momento la rivalità più accesa era quella contro il Belfast Celtic.

Il Linfield in patria (quale? la loro – chiaro) è una litania di vittorie lunga come il sermone di un pastore protestante. Uno dei maggiori artefici ha un nome e un cognome ben preciso: Roy Coyle, un’ala dai capelli lunghi e biondicci e dalla scorza dura nativo proprio di Belfast che aveva esordito nel 1966 con il Ballymena United e arrivò sulla panchina del Linfield nel ruolo di player manager nel 1975 restandoci fino al 1990. Diverrà l’allenatore più vincente nella storia del club, con 31 competizioni vinte. Insieme a lui David Jeffrey che dal 1997 in poi di trofei ne ha collezionati altrettanti. E c’è chi gli ha conosciuti entrambi. Si chiama Noel Bailie, 25 stagioni di grinta al servizio del Linfield. Un record straordinario con 1013 presenze giocando sotto la guida di quattro diversi allenatori (dai citati Roy Coyle e David Jeffrey, passando per Eric Bowyer prima e Travor Anderson poi). Dopo il suo addio al calcio, a 40 anni suonati, la società ha deciso di ritirare la maglia numero 11.

Il cielo del Linfield non ha mai potuto risplendere in campo europeo dove l’atavica debolezza delle squadre irlandesi (in generale) ha lasciato spazio a saltuarie imprese come ad esempio quella del 1966-67 quando il Linfield Football & Athletic Club (perché le cose vanno chiamate con il loro nome completo) arrivò ai quarti di finale della Coppa dei Campioni. In quell’occasione la “famous blu shirt” superò i primi due turni prima di arrendersi ai bulgari del CSKA Sofia, pareggiando 2-2 all’andata con le reti di Bryan Hamilton e Shields, e cedendo solo 1-0 in trasferta. Sono gli anni di Phil Scott, abile interno dall’ ottima visione di gioco, e Sammy Pavis esile rossiccio appassionato di biliardo, soprannominato “Sammy Save Us”. A cavallo fra gli anni settanta e ottanta non era difficile ascoltare il coro “there is only one Billy Muray”, in omaggio all’istrionico attaccante, specchio del periodo e flagello dei terzini avversari. Oppure perché no, Peter Rafferty detto “Bald Eagle” 332 partite e 42 centri. In tempi più recenti ecco Glenn “Spike” Ferguson ingaggiato dal Glenavon nel 1998 per 55000 sterline, uno dei migliori affari mai portati a termine dalla dirigenza del Linfield. Una pioggia di reti come i dissidi di Belfast.

Tuttavia parlare di diverbi è un eufemismo. Il culmine fu toccato in occasione del Boxing Day del 1948 disputatosi a Windsor Park tra il Linfield e il Belfast Celtic. Un finale drammatico nel quale l’attaccante del Belfast Celtic, Jimmy Jones ne uscì con una gamba rotta. L’anno successivo la federazione prese una decisione radicale e controversa: il Belfast Celtic doveva sparire da tutte le competizioni nordirlandesi. Nel 1997, il match contro il Coleraine dovette essere sospeso dopo che un tifoso (tifoso?) scagliò due bottiglie sul terreno di gioco a seguito dell’espulsione di due giocatori del Linfield. Vietata nel 2005 la trasferta dei sostenitori dei blues al The Oval per la trasferta contro il Glenavon a causa delle minacce di agguati mortali ricevute dai tifosi di “Lurgan”. Ordine eseguito seppure la risposta indiretta sarà uno sputo, una birra, e uno sguaiato “God Save the Queen”. Identità, alla fine. Perché il muro non è mica fisico. E’ psicologico, sociale: ti insegna a odiare gli altri da quando non sai ancora parlare, ti dice che cosa puoi fare e cosa no, dove puoi andare e dove non mettere piede se vuoi vivere. “Audaces fortuna iuvat” dice il motto latino del Linfield.

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