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Maggiore Frank Buckley, il protagonista della “Monkey Gland Final”

8 ' di letturaLa primavera del 1939 è una delle stagioni più buie della monarchia inglese. La Corona è ai suoi minimi storici di popolarità, dopo lo scandalo dell’abdicazione di Edoardo VIII due anni prima. L’ex re non aveva avuto dubbi nello scegliere tra il trono d’Inghilterra e Wallis Simpson, una “socialite” americana con due divorzi alle spalle. Proprio lo status dei precedenti mariti della donna, entrambi vivi e vegeti, creò le condizioni per una crisi politica senza precedenti nella storia del Regno evitata solo con la rinuncia al trono. Il suo successore fu Giorgio VI, il quale non avrebbe avuto nessuna voglia di diventare re, che si trovò a dover gestire sia le conseguenze delle azioni del fratello Edoardo sia l’opinione pubblica che lo credeva debole e incapace di governare.

Ma i problemi interni sono bazzecole se confrontate alla difficile situazione estera. Le notizie che arrivano dal continente non sono per nulla rassicuranti: dopo aver costretto il governo Chamberlain ad accettare l’Accordo di Monaco l’anno prima, che prevedeva l’annessione dei Sudeti al Reich sotto la minaccia dello scoppio di un conflitto su ampia scala, il 15 marzo 1939 Adolf Hitler occupa militarmente la Boemia e la Moravia terminando di fatto l’esistenza della Cecoslovacchia. Il Führer adotta una strategia sempre più aggressiva di politica estera, appoggiato dall’Italia guidata da Mussolini.

Giorgio VI si trovò molto in difficoltà nel gestire questa situazione: da una parte i neo-sposi Duca e Duchessa di Windsor, la carica creata appositamente dal re per il fratello rinunciatario del trono e sua moglie, quattro mesi dopo il loro matrimonio decisero di visitare Hitler nella sua residenza estiva sulle Alpi, alimentando le voci che volevano la coppia simpatizzare per il regime nazista; il nuovo re ci mise del suo, invitando il primo ministro Chamberlain ad apparire dal balcone di Buckingham Palace con lui proprio per sostenere la firma dell’Accordo di Monaco, nonostante la contrarietà della Camera dei Comuni.

I venti di guerra spirano forti nell’aprile del 1939, e pochi credono che Giorgio VI sia capace di poter guidare l’Inghilterra in un conflitto. In attesa di capire cosa riserverà il futuro, la vita di tutti i giorni non si ferma sull’isola, compreso anche il passatempo principale dei sudditi di Sua Maestà. La stagione 1938-1939 di Football League sta infatti per volgere al termine, con l’Everton di Tommy Lawton vicino a vincere il suo quinto titolo, ma è il 29 aprile che si disputa la partita più importante dell’anno: la finale di FA Cup. Sulla carta si dovrebbe assistere a un match a senso unico tra i Wolverhampton Wanderers e il Portsmouth, visto che i Wolves finiranno il campionato da secondi in classifica e sono trascinati da un attacco spumeggiante, mentre i Pompeys evitano di soli cinque punti la retrocessione. L’ultimo scontro in stagione tra le due finaliste ha visto il Wolverhampton vincere facilmente 3-0, e nessuno si aspetta che la FA Cup possa essere conquistata dai Blues del sud.

Questa partita verrà ricordata per molte ragioni, ma c’è una storia in particolare legata a questo match che merita di esser raccontata. Quella che permetterà a Wolves-Portsmouth di essere ricordata come “la finale delle ghiandole di scimmia”, appunto “Monkey Gland Final”.

Quando la scienza prende la via sbagliata

La fine del XIX secolo vide l’inizio di una grande accelerata delle scoperte in ambito scientifico. E il sopraggiungere della Prima Guerra Mondiale nel secondo decennio del 1900 provvide una delle motivazioni da sempre più importanti per il progresso tecnico, la necessità di annientare più vite umane possibili (e in parte cercare invece di proteggerle). Purtroppo per ogni sentiero che porta a far luce su nuove fondamentali scoperte in un particolare campo, c’è sempre almeno una controparte che fallisce miseramente. E agli occhi degli uomini del terzo millennio, alcuni di questi fallimenti dell’inizio del 1900 sembrano spesso incredibili nella loro fantasia e assurdità.

È proprio nell’ambito delle teorie strampalate e dei fallimenti scientifici che nasce la base di questa storia. Charles-Édouard Brown-Séquard era uno stimato fisiologo della seconda metà dell’800, nato alle Mauritius da padre americano e madre francese. È considerato uno dei primi pionieri dell’endocrinologia: fu il primo a teorizzare l’esistenza di sostanze chimiche prodotte in un organo ma che agiscono in altre regioni del corpo, che sono ormai diventate note col nome di ormoni, e fu sempre lui a scoprire l’esistenza delle ghiandole surrenali e a dimostrare la loro imprescindibilità per la vita dell’uomo.

Quando raggiunse l’età di 72 anni, sperimentando perdita di energia e vigore sessuale, decise di voler trovare una soluzione applicando le sue conoscenze e creò due diverse cure. La prima fu quella di iniettare (ovviamente fu lui stesso la prima cavia) un estratto di testicoli di scimmia, che avrebbe dovuto aumentare la potenza sessuale del soggetto. Brown-Séquard così come molti altri pazienti testimoniarono la bontà del trattamento. La seconda riguarda sempre una iniezione, ma questa volta di un concentrato di testicoli di criceto (o porcellino d’India) e cane mischiati a sangue e sperma. Questo secondo intruglio venne subito ridicolizzato dalla comunità scientifica di Parigi, che lo chiamò “Elisir di Brown-Séquard”.

Nonostante l’aura di derisione che circondò questi esperimenti, non furono pochi nei decenni seguenti gli scienziati (o sedicenti tali) che seguirono le orme del fisiologo, portando questi pseudo-studi scientifici a un livello tutto nuovo. Il più conosciuto praticante di questa branca oscura della scienza fu il chirurgo russo di passaporto francese Serge Abrahamovitch Voronoff, che unì le idee di Brown-Séquard ai suoi studi medici sui trapianti in una maniera tutta particolare. Voronoff compì per anni molti test sulle pecore, trapiantando testicoli di esemplari giovani su altri vecchi e notando una totale ripresa di vigore nei riceventi. Così decise di passare all’uomo.

Iniziò asportando i testicoli dei criminali appena morti dopo l’esecuzione per reinnestarli a facoltosi milionari dell’epoca. Data la scarsezza della fonte originale, passò all’utilizzo degli scimpanzé e babbuini. Affinò anche la tecnica, arrivando ad aver bisogno solo di piccole fette lunghe un paio di centimetri dei testicoli delle scimmie, da inserire direttamente nello scroto del ricevente. L’idea del chirurgo russo-francese era che questo intervento potesse aiutare a ottenere non solo una nuova primavera sessuale, ma anche rafforzare la vista, mantenere più a lungo la concentrazione sul lavoro, migliorare la memoria e infine allungare la vita del paziente.

La pratica di Voronoff ebbe moltissimo successo, diventando un fenomeno di costume quanto lo è al giorno d’oggi la dieta Atkins. Tra i pazienti più famosi comparvero svariati magnati dell’industria americana, tra cui il marito della più giovane delle figlie di John Rockefeller, e nientemeno che l’ex presidente e “Padre della Turchia moderna” Mustafa Kemal Atatürk. Dal 1920, anno del primo trapianto da scimmia a uomo, ai primi anni del decennio successivo oltre 500 uomini si sottoposero all’intervento. Voronoff divenne un personaggio pubblico, talmente ricco da fare costante vita mondana a Parigi (affittando un intero piano di uno degli alberghi più lussuosi della capitale francese), fino a che non comprò nel 1925 un castello in una frazione di Ventimiglia trasformandolo in una fattoria per l’allevamento delle sue scimmie. Negli anni ’30 iniziarono però a levarsi diverse voci contrarie al suo trattamento, che venne definitivamente affossato dalla scoperta del testosterone nel 1935 e dagli esperimenti che provarono come l’ormone secreto dai testicoli non apportasse nessuno dei miglioramenti annunciati da Voronoff, che così cadde rapidamente nel dimenticatoio.

Cosa non si fa per vincere

Come si intreccia la storia di Serge Voronoff con la finale di FA Cup del 1939? È necessario fare un altro passo indietro per parlare dell’allenatore dei Wolves, il Maggiore Frank Buckley.

Quest’uomo tutto d’un pezzo era veramente un soldato dell’esercito inglese, e aveva guadagnato i gradi di Maggiore dopo aver partecipato alla cruenta Battaglia della Somme nella Prima Guerra Mondiale. Se prima del conflitto però era un arcigno difensore, tornò in patria diventando subito allenatore sedendosi sulla panchina del Norwich. Lasciato il posto dopo un anno, e passandone tre come venditore in giro sulle strade inglesi, venne assunto come allenatore del Blackpool prima di arrivare nel 1927 al Molineux.

Già all’epoca il grado di Maggiore gli era rimasto attaccato al nome, e per motivi ben precisi. Gestiva il club esattamente come arringava con i soldati in trincea, applicando sapientemente la tecnica del bastone e della carota a seconda delle circostanze. Svariati giocatori raccontarono di come Buckley avesse il potere di ridurre in lacrime qualsiasi adulto, grazie alla sua lingua tagliente e alla sua personalità o direttamente attraverso la minaccia fisica. Il Maggiore però aveva anche un lato più morbido, e non erano rari gli episodi in cui con fare paternalistico aiutava i suoi ragazzi più in difficoltà.

Il Maggiore Buckley però era soprattutto un rivoluzionario per la sua epoca. Fu il primo in Inghilterra a utilizzare concetti avanzati di allenamento: partitelle interne per migliorare l’intesa tra i giocatori, sessioni di allenamento col pallone, rigido controllo sulla dieta, tutte abitudini sconosciute prima di lui. Si occupò anche delle giovanili, facendo costruire l’accademia e anche un ostello dove far alloggiare tutti i ragazzi bisognosi di un tetto sopra la testa, mentre si occupava personalmente dello stato di salute dei ragazzi e dei loro problemi, ma metteva spie in ogni pub della città per controllare che non violassero il coprifuoco che aveva imposto.

Buckley era uno che andava dritto al sodo. Le sue squadre erano fisiche, disposte a giocare duro quanto un battaglione dell’esercito e veramente brutte da vedere. Quello che contava era il risultato, sempre e comunque. Così già al Blackpool fu noto che provò a dare delle pillole ai suoi giocatori per migliorarne le prestazioni, forse lo stesso tipo di anfetamine che già nel 1925 erano state usate dall’Arsenal prima di alcune partite di coppa. Nel 1937 però il Maggiore venne avvicinato da un certo Menzies Sharp, che si spacciava come chimico, che gli propose un nuovo trattamento per migliorare le prestazioni dei suoi giocatori. Questa nuova scoperta altro non era che un’evoluzione del lavoro di Voronoff, visto che non necessitava di un trapianto di testicoli ma di semplici iniezioni. Anche l’animale di provenienza non sembra esser stato la scimmia, ma si suppone che siano state usate ghiandole di manzo.

Il Maggiore decise di testare su di sé gli effetti della cura prima di proporla ai suoi giocatori, e ne rimase stupefatto tanto che sostanzialmente obbligò tutti i suoi giocatori ad assumere la sostanza con un ciclo di dodici iniezioni durato sei settimane. Solo due giovani si rifiutarono, dietro anche l’opposizione dei parenti, segnando così la sostanziale fine della loro carriera nella squadra. Buckley non si fece problemi a raccontare alla stampa del trattamento, più per sperare di innervosire gli avversari che per necessità di dover condividere il metodo. Effetto placebo o no (ormai il lavoro di Voronoff era totalmente denigrato e sconfessato), nelle stagioni 1937-1938 e 1938-1939 il Wolverhampton arrivò secondo in campionato con uno stato di forma incredibile. In alcune partite i giocatori sembravano andare al doppio della velocità degli avversari, tanto da riuscire a vincere con degli score assurdi e ovviamente a provocare molte polemiche.

Dopo un 7-0 subito dall’Everton, proprio Tommy Lawton si lamentò con i giornali dell’immoralità della cura “monkey gland”. Dopo il 10-1 rifilato al Leicester City la squadra si rivolse direttamente al deputato della città per spingere ad aprire un’inchiesta parlamentare, ma sia il Ministro della Salute dell’epoca che la Football League lasciarono tranquillamente continuare la pratica. Così svariate altre squadre decisero di adottare le iniezioni monkey gland per i loro giocatori, nonostante sempre più giocatori e allenatori si schierassero contro la terapia. A Londra ne approfittarono Chelsea, Fulham e Tottenham, mentre fuori della capitale acquistarono la cura il Preston e soprattutto il Portsmouth.

Così quando il 29 aprile 1939 Wolverhampton e Portsmouth si affrontarono nella finale di FA Cup, buona parte della stampa bollò la partita come la “Monkey Gland Final”. Il match fu una delle sorprese dell’anno, visto che i ragazzi del Maggiore Buckley persero con un sonoro 4-1 contro i vecchi giocatori Pompeys. È da sempre ricordato come uno dei risultati più sorprendenti mai visti in una finale di coppa. Re Giorgio VI come da tradizione premiò i vincitori, e il Maggiore perse l’ultima occasione di poter vincere un trofeo con i Wolves.

Infatti questa fu l’ultima partita disputata a Wembley, e l’ultima finale di FA Cup, prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale il primo settembre di quello stesso anno. Il re recuperò tutta la sua immagine pubblica grazie al suo coraggioso comportamento durante il conflitto, e quando morì nel 1952 venne pianto da tutta la nazione come l’ancora a cui l’Inghilterra si aggrappò per tutta la durata della guerra. Il Maggiore Buckley invece lasciò il Wolverhampton nel 1944, per andare ad allenare Notts County, Hull City e infine il Leeds, senza però mai raggiungere i picchi precedenti. Chissà quante volte si sarà detto tra sé e sé, negli ultimi anni di carriera, se non fosse il caso di far fare un giro di monkey gland ai suoi giocatori. Non funziona, ma se funziona…

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