I guai erano già cominciati quando ero ancora al Newcastle e a scadenze regolari il mio ginocchio destro godeva a giocarmi brutti scherzi. Lo aveva fatto anche qualche settimana prima della finale di FA Cup persa contro l’Ipswich, dove, giusto ammetterlo, sono stato inguardabile, totalmente inutile alla squadra. In quell’occasione avrei fatto meglio a dire “Ragazzi, meglio che me ne vada in tribuna, non sono in grado di giocare”.
Ma ammetterlo con se stessi prima ancora che con gli altri è davvero dura. L’estate successiva l’ho passata a curarmi, a fare palestra e a recuperare completamente. Con 55 reti segnate nelle mie prime due stagioni nei Gunners non vedevo l’ora di tornare in campo. Nelle prime tre partite della stagione avevo ritrovato le vecchie sensazioni. D’altronde, con Liam Brady a lanciarmi negli spazi, Graham Rix a rifornirmi di splendidi cross dalle fasce e Frank Stapleton al fianco a sacrificarsi nel lavoro “sporco”, sapevo che di goal avrei ricominciato a segnarne tanti. Fino a quella maledetta sera.
Per 8 lunghi mesi le ho provate tutte per recuperare, fra speranze, ricadute, aspettative e delusioni. All’Arsenal mi hanno aspettato fino a darmi un’altra opportunità nell’ultima, inutile partita di campionato. Un derby infrasettimanale contro il Chelsea, due giorni dopo la vittoria in FA Cup contro il Manchester United dove, per inciso, non ero neppure in panchina. Contro il Chelsea ho segnato, è vero, ma è stata l’unica cosa decente che ho fatto in 90 minuti.
In estate ci riprovo, faccio tutta la preparazione. Andiamo a fare un tour in Germania. Sono tornato in prima squadra. Ma in allenamento, in un banale cambio di direzione, il ginocchio cede ancora. Una settimana dopo Terry Neill, Don Howe e lo staff medico dell’Arsenal mi danno il benservito: “Con quel ginocchio lì pensare di giocare ancora a calcio è follia”. Per certe notizie, anche se dentro di te lo sai benissimo, non sei mai pronto. Ma io sono un testone. Lo sono sempre stato. Prima di appendere gli scarpini al chiodo ho voluto provare, contro il parere di tutti, medici, famigliari e amici, a tornare a giocare. Dove? In Svezia. Chissà… forse convinto che il freddo e un campionato meno competitivo potessero ridare forza ad un ginocchio obiettivamente distrutto.
Tutto inutile. Da lì è iniziata una lenta discesa verso l’inferno, fatto di dolori atroci e di rimpianti per quello che è stato e quello che avrebbe potuto essere. Divorzi, attività commerciali andate a rotoli, patenti ritirate per guida in stato di ebbrezza e persone che ci hanno messo un nanosecondo a dimenticarsi di te, di Supermac, come mi aveva ribattezzato il meraviglioso popolo Geordie fin dalle mie primissime esibizioni con la maglia del Newcastle. Ora, invece, come consolazione c’è solo lei. Una bottiglia con un liquido ambrato, prodotto a nord del Vallo di Adriano.
Per Malcolm Macdonald, uno dei centravanti più forti, esplosivi, coraggiosi, sfrontati, egoisti e letali della storia del calcio inglese degli ultimi cinquant’anni, la vita per fortuna ha “svoltato”. Gli anni della “bottiglia di whisky al giorno” e dei dolori lancinanti del suo malandato ginocchio sinistro sono ormai alle spalle. La rinascita per Supermac inizia grazie all’interessamento di un amico, uno dei pochi rimasti quando invece tutti gli altri diventano bravissimi ad imitare la fortuna girandoti le spalle dopo che ti hanno accarezzato, coccolato, lisciato e leccato il culo per anni.
Micky Burns si presenta a casa di Macdonald e gli mette davanti la realtà: “Malcolm,il tuo problema non è la bottiglia, ma il tuo dannato ginocchio. Noi penseremo a rimetterti a posto quello. Il resto dipende da te”. Curato quello, con un’operazione delicatissima completamente finanziata dalla Football Association di cui Micky fa parte con il compito di aiutare in tutti i modi possibili calciatori ed ex-calciatori in difficoltà, Malcolm Macdonald ha ricominciato a vivere. Una nuova famiglia (la sua compagna Carol è la ex-moglie di Brian Johnson, cantante degli AC/DC), nuovi interessi e nuovi stimoli.
Ora Macdonald è un uomo nuovo e il suo aspetto fisico rende difficile credere che ormai sia vicino alla soglia dei settant’anni. La sua carriera è stata una continua, strepitosa ascesa. Dagli inizi con il Fulham (voluto da Sir Bobby Robson) all’esplosione con il Luton, il trasferimento al suo adorato Newcastle United dove è assurto allo status di semidio per il focoso e appassionato popolo Geordie. Nel periodo ai Magpies arriva anche la Nazionale. Non è fortunato, però.
Sir Alf Ramsey, che stravede per lui, da lì a poco viene esonerato. Al suo posto arriva Don Revie, amato e venerato a Leeds, ma odiato e inviso praticamente in ogni altra landa d’Inghilterra. Don Revie non può non convocare Macdonald che sta segnando caterve di goal con il Newcastle, ma il feeling tra i due non vuole proprio sbocciare. Si arriva così ad una partita di qualificazione per i campionati europei. Si gioca a Wembley contro Cipro. Malcolm Macdonald viene schierato con il numero 9, ma poco prima di scendere in campo, con un tatto davvero ammirevole, Don Revie nello spogliatoio gli dice: “Sappi, caro il mio Macdonald, che questa con me è la tua ultima occasione: se non fai goal stasera, con me e con la Nazionale Inglese hai chiuso”. Malcolm rimane sbigottito.
Per sua fortuna sono tanti quelli che non amano Revie in quella Nazionale. Primo fra tutti Alan Ball, unico sopravvissuto della Nazionale inglese campione del Mondo di nove anni prima. Lui, Mick Channon e Alan Hudson sono indispettiti e arrabbiati per il trattamento subito da Supermac. Lo prendono da parte pochi minuti prima della partita e gli comunicano: “Stasera, Mac, giocheremo tutti per te. Non fermarti al primo goal e neppure al secondo. Stasera andiamo a riscrivere il libro dei record e tu sarai il protagonista. Daremo una bella lezione a quel pallone gonfiato”.
L’Inghilterra vincerà per 5 reti a 0 e Malcolm Macdonald segnerà tutte e cinque le reti, diventando il giocatore inglese che nel dopoguerra avrà segnato più reti nella stessa partita con la maglia dell’Inghilterra. L’anno successivo, quando Malcolm Macdonald è nel pieno della sua forma psico-fisica, l’Arsenal decide di abbatterne un altro di record facendolo diventare il giocatore più costoso della storia del calcio inglese: 333.333,34 sterline, esattamente un terzo di milione, è quanto spendono Terry Neill, manager dei Gunners londinesi, e Hill-Wood, presidente dell’Arsenal, per assicurarsi le prestazioni di questo grande attaccante.
Le lacrime e la disperazione del popolo di Newcastle diventano i sorrisi e la felicità di quello del Nord di Londra, dove l’Arsenal, con l’arrivo di Supermac, è pronto a lasciarsi alle spalle alcune stagioni deludenti dopo aver vinto il double solo un lustro prima. Per due stagioni Supermac tiene abbondantemente fede alle promesse, segnando con impressionante regolarità. Ben 55 reti in 102 partite. Alcuni dei suoi goal sono un autentico spettacolo di potenza e acrobazia, le doti principali di Mac. Ma già nella seconda stagione il ginocchio destro inizia a mandare messaggi preoccupanti di cedimento.
Un’altra pulizia alla cartilagine, legamenti sempre più fragili. Si arriva così alla maledetta notte di Rotherham, dove il legamento crociato di Macdonald si spezza. Lunghi mesi tra sale operatorie, palestre di rieducazione, tentativi di tornare in campo. Come detto sopra, Macdonald rientrerà all’ultima di campionato della stagione 1978-1979 e segnerà nell’1 a 1 finale. Sono passati quasi 9 mesi dall’infortunio di Rotherham.
La stagione successiva riparte con grande entusiasmo. L’Arsenal sta tornando finalmente ai vertici del calcio inglese. In bacheca è stata appena depositata una FA Cup fresca fresca, vinta a maggio in una memorabile finale contro il Manchester United. Supermac non vede l’ora di riformare la coppia d’attacco con il giovane e fortissimo irlandese Frank Stapleton, partner ideale per Malcolm. In Germania, nel tour precampionato, il ginocchio cede ancora e la diagnosi è spietata: il legamento crociato è andato.
Nel 1979 recuperare una volta da un infortunio del genere è già un mezzo miracolo; farlo una seconda volta è praticamente impossibile. L’Arsenal nei primi giorni di agosto del 1979 comunica la decisione a Macdonald: fine dei giochi. Il contratto è terminato e nessuno può pensare di rinnovarlo in quelle condizioni. A 29 anni si chiude il sipario sul calcio, mentre se ne apre un altro, come già detto, sempre più doloroso e complicato. Poi arriva Micky Burns e con lui Supermac risale la china. Stavolta definitivamente. È una storia maledetta ma il finale, per una volta, è felice.
ANEDDOTI E CURIOSITÀ
“Quando arrivai al Newcastle il primo incontro con il Manager Joe Harvey fu al Great Northern Hotel. Esattamente il posto dove i miei genitori avevano trascorso la luna di miele e dove io ero stato concepito. Quando si dice il destino”.
“Mi piacevano le entrate in scena teatrali. Diciamo che non sono mai stato “timido”. Il giorno del mio arrivo ufficiale al Newcastle in First Division decisi di noleggiare una Limousine e ho convinto un amico a vestirsi da autista. Non potevo credere alle facce che vidi ad accogliermi quel giorno davanti al St. James’s Park! C’erano il manager Joe Harvey, i dirigenti, centinaia di tifosi e giornalisti. La scena fu completata dal mio amico in veste di autista che venne ad aprirmi la portiera pregando le persone intorno di fare spazio per farmi uscire. C’era un silenzio irreale… più d’uno avrà pensato che ero solo un classico tipo del Sud dell’Inghilterra borioso e pieno di sé. All’improvviso dal pubblico si levò una voce: Credo sia il primo giocatore della storia che spende tutti i soldi del suo ingaggio il primo giorno! Era Bob Cass, il giornalista del Sun. Tutti quanti scoppiarono a ridere. Fu il primo giorno di cinque anni meravigliosi”.
“L’avvio di stagione non fu eccezionale. Una sconfitta a Selhurst Park contro il Crystal Palace e un pareggio a White Hart Lane contro il Tottenham. Ma quello che accadde nella mia prima partita al St. James’ Park rimarrà per sempre nella mia memoria, visto che mai più nella mia carriera ho provato un’emozione simile. C’erano 45.000 persone quel giorno e tutti erano lì per vedere il nuovo centravanti. Ero teso come una corda da violino. Guardavo i giocatori più esperti come Frank Clark e Bobby Moncur e avevano l’espressione più tranquilla del mondo. Capirono il mio stupore. Tranquillo, Mac. Quassù da noi è così tutti i sabati, mi dissero. Non poteva essere vero. Vincemmo quella partita per 3 a 2. Segnai tutti e tre i goal. Da quel giorno, per tutto il meraviglioso popolo Geordie, ero diventato Supermac”.
Ma di quella stessa partita Macdonald conserverà anche un altro ricordo molto diverso “Ero lanciato a rete da solo contro Ray Clemence, il portiere dei Reds. Lo scavalcai con un pallonetto e, mentre mi apprestavo a segnare il mio quarto goal del match, mi arrivò un calcio in pieno volto che mi mandò completamente KO. Svenni per qualche secondo e quando mi risvegliai, giuro, ero convinto di essere ancora a casa con mia moglie. Vidi un volto vicino ed ero convinto fosse quello della mia Julie. Tesoro, ho appena sognato di aver segnato tre goal al mio esordio contro il Liverpool, le dissi. Solo che il volto non era quello di mia moglie Julie. Era quello del mio compagno di squadra Frank Clark. Non l’hai sognato brutto idiota del Sud. Li hai segnati davvero tre goal! mi disse Frank riportandomi bruscamente alla realtà”.
Quel giorno nacque sugli spalti il magnifico coro che avrebbe accompagnato Malcolm Supermac Macdonald per tutta la sua permanenza al Newcastle. Sull’aria del famosissimo Jesus Christ Superstar così trasformarono il testo i tifosi dei Magpies: “Super Mac, Superstar, how many goals have you scored so far?”. Per un tipo tosto come Malcolm Macdonald il gesto di Clemence non può rimanere impunito. E quando arriva la gara di ritorno ad Anfield, Supermac ha in mente una sola cosa: ridare pan per focaccia al numero uno del Liverpool.
“La mia occasione capitò dopo pochi minuti di gioco. Clemence uscì per prendere un cross. Quando ricadde sul terreno di gioco arrivai e gli diedi un bel calcio sul costato. Un secondo dopo mi arrivò un pugno dritto in gola accompagnato da una frase inequivocabile. Se lo rifai ti spacco la schiena”. Era Tommy Smith, il famoso “hard man” del Liverpool. Decisi che era meglio concentrarsi sulla partita. Il Newcastle continua a veleggiare in posizioni di metà classifica in campionato ma al termine della stagione 1974-1975 (in cui Malcolm Macdonald vincerà la classifica dei marcatori) Joe Harvey lascia il Club. Al suo posto arriva Gordon Lee. “Il peggior manager che io abbia mai avuto in tutta la carriera”. Ripeterà spesso Macdonald.
“I suoi metodi di allenamento erano ridicoli. Neanche le ragazzine nell’ora di educazione fisica facevano le cose che ci costringeva a fare. In più aveva il difetto non piccolo di raccontare ai giornalisti cose di cui non parlava neppure con noi nello spogliatoio”. Gordon Lee non era neppure particolarmente “sveglio”, almeno da quanto racconta Macdonald: “Un giorno si presenta negli spogliatoi chiedendo ai presenti informazioni sul nostro compagno di squadra Aidan McCaffrey. “Ragazzi, McCaffrey è irlandese vero?” “No, Boss. È inglese al 100%” è la nostra risposta. “Ma come cazzo? Con quel nome deve avere almeno i genitori irlandesi.” Insiste Lee, che a quanto pare voleva consigliare il ragazzo all’allenatore della nazionale d’Irlanda.
“No, Boss. È inglese -gli rispondo io- Io mi chiamo Malcolm Macdonald ma non troverà uno più inglese di me” continuo. “Beh, con un nome da scozzese come il tuo non dovrebbero lasciarti giocare nella Nazionale Inglese!” risponde tutto accaldato Gordon Lee. Lo spogliatoio fa fatica a trattenere le risate, ma quando parla Tommy Cassidy l’esplosione è inevitabile: “Scusi, Boss…ma con il nome che ha lei… è forse cinese?!”»
Prima di firmare per il Fulham, la sua prima squadra professionistica, Malcolm giocava per i dilettanti del TonbridgeAngels. Harry Haslam era il manager, persona fantastica, di grande ironia e di grande conoscenza calcistica. Durante un incontro di campionato il difensore Malcolm Pyke viene espulso per aver dato del bastardo all’arbitro. Pyke soffriva di una accentuata balbuzie che durante la concitazione della partita spariva completamente per poi tornare in maniera importante subito dopo il fischio finale.
Durante l’incontro in Federazione per discutere della eventuale squalifica, Haslam capisce che c’è margine per giocarsela: “Di due cose, egregio Presidente della giuria, vorrei essere sicuro. La prima la chiedo all’arbitro dell’incontro sul motivo per cui ha espulso il mio giocatore” sollecita Haslam. L’arbitro spiega per filo e per segno l’accaduto. “E adesso dimmi, Malcolm cosa hai detto esattamente all’arbitro?” Pyke prende un lungo respiro e dice: “Gli ho dato del B-B-B-B-B-B-B…” “Ok, caso chiuso”.