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Milton Núñez, il mini-Tyson del Sunderland acquistato per sbaglio

7 ' di letturaAh, i magici anni prima dell’arrivo della modernità. Il football era uno sport serio all’epoca. Ci si menava, si sudava ogni singolo gol, i ventenni non prendevano milioni, i più forti non cadevano a terra frignando per ogni piccolo colpettino preso.
Il credo di ogni nostalgico dei tempi che furono è all’incirca questo, pianto più pianto meno. Ci si scorda spesso, però, che il calcio al tempo era anche altro. Uno dei lasciti più iconico è l’acquisto di mercato totalmente sbagliato. Non perché il giocatore non si integrasse con la squadra, oppure per qualche litigio, magari semplicemente aver avuto la sfiga di una stagione no. Questi casi ci son sempre stati, dalla nascita del gioco. No, qui stiamo parlando proprio di errori madornali: manager convinti da un paio di videocassette sgranate, scout che si perdono nei meandri delle leghe inferiori, chiamate fasulle da parte di insperati parenti. La Premier League ha avuto la sua fetta di cantonate — e nulla c’entrano con il mitico Éric. Uno di questi è un piccoletto che a tutti ricordava Mike Tyson, ma ha mai visto un ring e sostanzialmente neanche un campo di Premier League. Il suo nome è Milton Núñez.

Un'altra immagine di Milton Núñez

Black Cats da urlo

La primavera del 2000 è una di quelle dal profumo fragrante di grandi speranze e sogni nascosti, dalle parti di Sunderland. Il porto sul Wear brulica di tifosi eccitatissimi dalla stagione di Premier League che si sta avviando alla conclusione. I Black Cats si sono issati fino al settimo posto in classifica, trascinati dalla futura Scarpa d’Oro stagionale Kevin Phillips, che chiuderà il campionato con ben 30 reti siglate. Un premio che mai nella storia aveva vinto un calciatore inglese (e mai succederà successivamente), che per giunta era alla sua prima stagione nella massima categoria.

Il manager della squadra è Peter Reid. Ex centrocampista di bellissime speranze, mai del tutto espresse se non in una gloriosa stagione all’Everton: vinse campionato e Coppa delle Coppe, arrivò in finale di FA Cup perdendo 1-0 contro il Manchester United. Vinse quell’anno il PFA Footballer of the Year, e nella votazione per il titolo di miglior giocatore in Europa del magazine World Soccer arrivò al quarto posto, dietro i soli Platini e Maradona.

Da allenatore, invece, le speranze erano fin da subito molto rade. Fautore di un gioco stantio che sapeva tanto di anni ’70, palla lunga e pedalare senza nessun guizzo d’inventiva nel mezzo, la sua carriera era già in rapida discesa dopo le prime due panchine. Manchester City, Southampton per poi finire al Sunderland in First Division. Reid era già allenatore quando i Black Cats abbandonarono l’iconico Roker Park per giocare nell’avveniristico Stadium of Light, ma riuscirono a festeggiare il nuovo stadio con promozioni in Premier League seguite da istantanee retrocessioni. Un tira e molla con la massima divisione che sembrava dovesse durare anche nel 1999. Invece la neopromossa piazzò il colpaccio, grazie al già citato Phillips e l’apporto di Niall Quinn. Così Reid si trova a dover fare una campagna acquisti importante, per cercare di mantenere il club nei piani alti del football.

Kevin Phillips, Scarpa d'Oro nel 2000 col Sunderland

Storia di uno scouting quantomeno particolare

Qui si inizia a entrare in territori inesplorati, dove mito e realtà si fondono per creare una trama fantastica. Lo scouting, superato il canale della Manica, al tempo non raggiungeva i livelli professionistici odierni. Anzi, in realtà i club inglesi avevano deciso da poco di allargare gli orizzonti. Ma Peter Reid si trova con un budget non troppo lusinghiero per cercare un attaccante di backup per Phillips e Quinn, capace di portare la squadra a mantenere quella settima posizione, così fa di necessità virtù. Tra le videocassette che arrivano sulla sua scrivania ce n’è una vergata da un alfabeto antico. Arriva da Salonicco, nord della Grecia.

Su quel nastro sono incise le gesta degli attaccanti del PAOK, la squadra locale. Quello su cui mette gli occhi Reid è colombiano e ha giocato con maglie importanti come quella del Bayern Monaco e dell’Atlético Madrid — e un successivo passaggio in Serie A alla Reggiana, giusto per ricordare che campionato pazzesco fosse il nostro. È uno stinco d’uomo, più di un metro e 80 di forza impressionante, tanto che tutti lo chiamano El Tren. Il Treno è anche leggermente convinto delle sue capacità, si dice che nei giorni migliori si ritenga più forte di Pelé e Maradona. Adolfo Valencia ha già 32 anni, ma quantomeno in Grecia sembra aver mantenuto la forma giusta per diventare il sostituto della coppia titolare del Sunderland.

Ecco dove la leggenda inizia a infittirsi. A Sunderland girano moltissime versioni di questa storia.

La più semplice è che i video dell’epoca fossero troppo sgranati per il povero Reid. Ma se dobbiamo raccontare una bella storia, perché fermarsi alla versione più plausibile? Così la si scarta a priori.

Un’altra narra di un viaggio del manager fino in Grecia, per visionare il nuovo acquisto. Salonicco, a quanto parrebbe, è però città tentatrice. Reid avrebbe passato serate movimentate, a base di birra locale in grandi quantità, tanto da offuscarne la vista anche di giorno.

Un’altra ancora è la più surreale. Reid avrebbe visionato Valencia, scambiandolo però per un altro giocatore. Un honduregno di nome Eduardo Bennett, sempre un giocatore di potenza conclamata, tanto che è conosciuto agli esperti di fútbol sudamericano con i soprannomi di El Balín o El Demonio. Un diavolo dell’attacco, che non ha mai messo piede in realtà su un campo da gioco europeo, ma ha vissuto una onestissima carriera in Argentina tra San Lorenzo, Argentinos Juniors e Quilmes, oltre a vestire la maglia della Nazionale per 36 volte con 19 reti segnate. Così il buon Peter si sarebbe imbarcato in un altro viaggio finito male, stavolta nel ben più lontano Honduras di inizio millennio, per provare a firmare la sua riserva d’attacco. L’unica speranza è che sia questa la versione corretta.

I difficili giorni di Milton Núñez al Sunderland

Insomma, che sia colpa della tecnologia, di fiumi di birra o di viaggi assurdi, l’unica verità da poter raccontare è quella di chi si presenta con il manager al suo rientro allo Stadium of Light. Non è né Adolfo Valencia né Eduardo Bennett, a cui rende almeno 15 centimetri d’altezza (secondo le stime dell’epoca, in altri momenti della sua carriera gli sono stati affibbiati a malapena 160 centimetri) e sicuramente parecchi chili. È sempre un attaccante, almeno in questo Reid c’ha preso, con particolarità mescolate tra i suoi due obiettivi: giocava nel PAOK con Valencia, ed è honduregno come Bennett. Ha uno sguardo contrito, dall’espressione alle volte truce, capace però di sciogliersi in un sorriso abbagliante. Il suo nome è Milton Núñez, ma come tutti i sudamericani è identificato dall’apodo, dal soprannome che spesso è in perfetta aderenza all’anima della persona, ma altre volte è una palese presa in giro: lo chiamano tutti Tyson, perché quel volto ricorda molto il pugile americano. Reid ci ha speso ben un milione e mezzo di sterline.

Milton Núñez, il mini-Tyson del Sunderland acquistato per sbaglio

Sia ben chiaro: Milton Núñez sa giocare a pallone. Non è un nano capitato per caso in un campo da calcio. Prima di essere andato in prestito in Grecia ha figurato discretamente al Nacional di Montevideo, uno dei club più importanti di Uruguay e del continente. Quando lascerà la Nazionale nel 2008 conterà 86 presenze e 33 goal, il doppio del Demonio Bennett. Ha un piede discreto, la tecnica di base c’è, e per quanto capisca subito che è un pesce fuor d’acqua vuole in tutti i modi cercare di giocare per i Black Cats.

Il primo problema arriva al tesseramento. In Sudamerica i procuratori possono detenere quote del cartellino di un giocatore, ma la situazione di Milton Núñez sembra essere ancora più contorta. Il Sunderland cita in giudizio quel procuratore, ma tutto finisce in un accordo extragiudiziario mai svelato. La leggenda narra che il cartellino fosse detenuto in buona parte da un’altra squadra uruguaiana, l’Uruguay Montevideo di terza divisione. Come mai, non è dato saperlo.

Poi c’è una questione molto meno divertente. Il Sunderland al tempo è l’unica squadra a non avere alcun giocatore di colore o di etnia diversa da quella caucasica, e Milton Núñez rimarrà l’unica anomalia ancora per qualche tempo. Ma c’è di più, Peter Reid viene da molti additato come razzista. Vero o no, non acquisterà mai giocatori che non siano bianchi.

Fatto sta che la versione pocket di Iron Mike calcherà i prati verdi della Premier League solo una volta, in una partita già vinta contro il Wimbledon per poco meno di mezz’ora di gioco, con un paio di presenze in FA Cup. Poi, dopo due anni di panchina, viene mandato via con poche cerimonie. Ecco come buttare un milione e mezzo di pound nel cestino.

Un finale particolare come l’inizio

Che fine hanno fatto i protagonisti di questa storia?

Peter Reid rimane allenatore del Sunderland per altri due anni. Riesce davvero a tenere i Black Cats in settima posizione per un’altra stagione, ma nel 2002 a malapena evita la zona retrocessione ed esce da tutte le coppe al primo turno. Il 7 ottobre 2002, dopo una partenza tragica in campionato, viene esonerato.

Adolfo Valencia va veramente via dal PAOK pochi mesi dopo che Reid ha fatto capolino a Salonicco. Invece che lo Stadium of Light, vede luci di tutt’altra magnitudine. Trova infatti casa a New York, dai Metrostars che diventeranno qualche anno dopo di proprietà della Red Bull. Dopo 21 gol stagionali, si divide tra Sudamerica e Cina per altri 4 anni prima di appendere gli scarpini al chiodo. Concluderà la sua carriera con più di 130 reti segnate da professionista.

Eduardo Bennett, come già detto, non ha mai lasciato il continente di origine. Quando finisce tra le mire del Sunderland è dislocato nel deserto cileno, di proprietà del Cobreloa. Da lì il Diavolo giocherà in Argentina per altri due anni prima di tornare in patria. Chiude la carriera con due anni al Necaxa, in Messico, a 42 anni.

Núñez con la maglia della Nazionale

E Milton Núñez? Il piccolo Tyson se ne torna al Nacional in Uruguay, ma dura solo una stagione. Poi va in Messico, anche lui al Necaxa ma qualche anno prima del compatriota, prima di iniziare a girare numerose squadre tra Guatemala e Honduras. Detto del suo abbandono della Nazionale nel 2008, è tuttora il suo terzo miglior marcatore e il quarto per numero di presenze. Soprattutto, non ha ancora smesso col calcio. L’ultima sua squadra è il Club Deportivo Victoria, sempre in Honduras, e a 48 anni suonati continua a essere molto più forte della media dei suoi compagni. Tra cui è presente un altro Milton Núñez, che non è un omonimo ma bensì suo figlio. Un finale diverso, e più coerente con questa storia folle, non era possibile trovarlo.

LEGGI ANCHE: Sunderland Till I Die, il triste declino di un club passato dalla Premier

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