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Peter Schmeichel: il gigante buono che sapeva vincere

3 ' di letturaChi ha avuto la fortuna di vederlo giocare sa che Peter Schmeichel è stato uno tra i portieri più forti degli anni ’90 e non solo. Possiamo affermarlo a testa alta, senza alcuna paura di essere smentiti. Reattivo, atletico, carismatico e affidabile. Bravo con i piedi e incredibile tra i pali. Un portiere magnifico che “tirava fuori parate che nessuno si aspettava”, per dirla come Sir Alex.

Di padre polacco e madre danese, Schmeichel è stato per nove stagioni l’estremo difensore del magico United di Ferguson. Molto più di una garanzia: era un baluardo, una sorta di istituzione. Era un vincente, Peter Schmeichel. In quegli anni ha saputo guidare difese leggendarie composte da gente come Steve Bruce, Gary Pallister e Denis Irwin prima, Gary Neville, Jaap Stam e Ronny Johnsen dopo. Tutti autorevolmente protetti e diretti da Peter Schmeichel. Lui, molto semplicemente, c’era. E la sua presenza in campo si faceva sentire eccome. Gli avversari sapevano che, alla fine, dovevano comunque fare i conti con le manone e la zazzera bionda del danese.

Peter Schmeichel of Manchester United in action, circa 1995. (Photo by Professional Sport/Popperfoto/Getty Images)

Ancora mi ricordo la sua esultanza nella finale di Barcellona del ’99. Manchester United-Bayern Monaco, di fronte a 90.000 persone. Arbitro: Pierluigi Collina, non certo uno qualsiasi. Lo United, in campo senza Keane e Paul Scholes, al novantesimo è sotto di un gol anche per un errore del suo leggendario portiere. Al sesto minuto, infatti, su una punizione dal limite dell’area Schmeichel piazza male la barriera e si fa infilare sul suo palo dal destro chirurgico di Mario Basler. Un errore che, in una partita del genere, avrebbe piegato le gambe a chiunque. A chiunque ma non a Peter Schmeichel, che rialza la testa e difende la sua porta in tutti i modi. Come il suo portiere, anche il Manchester United non muore mai. E infatti, in pieno recupero prima pareggia l’immortale Teddy Sheringam e, poi, a dare definitivamente il colpo di grazia ci pensa Ole Gunnar Solskjær. Si, proprio quel Solskjær. A volte ritornano, come direbbe ‎Stephen King.

Al fischio finale il tabellone dice 2 a 1 per i Red Devils. Matthäus, Kahn e compagni rientrano in Germania a mani vuote. Dopo 31 anni la Coppa dei Campioni torna a Manchester, e a portarcela sarà il capitano Peter Schmeichel. Nel calcio, si sa, i miracoli accadono. E io mi ricordo bene le capriole e la faccia del danese di fronte a quel miracolo sportivo. Era la faccia di un bambino quando scopre che, sotto l’albero di Natale, c’è proprio il regalo che aveva a lungo chiesto ai genitori. Solo che, in questo caso, il bambino è alto un metro e novantatre centimetri e ha due pale al posto delle mani.

Un gigante buono con il gusto per la vittoria. Perché, non c’è niente da fare, Peter Schmeichel era davvero un vincente. Era uno che, con la Danimarca, è riuscito addirittura a vincere l’Europeo di Svezia ’92. Un Europeo maledetto, quello. Con i danesi che lì non dovrebbero nemmeno esserci ma che, in extremis, vanno a sostituire la Jugoslavia travolta dai primi venti di una guerra che si rivelerà terribile.

In quell’occasione, da ragazzo coraggioso qual è, Schmeichel difende la porta come un vero leader. In semifinale ipnotizza dagli undici metri un certo Marco Van Basten e, così, trascina i suoi in finale. L’avversario? la Germania di Sammer ed Effenberg, ovviamente. E lì, contro ogni pronostico, la giovane Danimarca resiste agli attacchi del panzer tedesco e vince 2 a 0. In Germania non lo sanno ancora, ma di quel portiere con il gusto per la vittoria ne sentiranno parlare. 

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Giovanni Mastria
Nato a Lucca, classe 1991. Scrivo con passione di cultura, attualità, cronaca e sport e, nella vita di tutti i giorni, faccio l’Avvocato.

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