Provateci anche voi. Fermatevi in un pub vicino al porto o sceglietene uno nella zona industriale e mormorate le due paroline magiche “Le God”. Vedrete. Vedrete che la gente si volterà all’istante, sorridendovi in faccia e, magari, alzando una pinta alla vostra, ma soprattutto alla sua, inteso di Matthew, ovviamente.
Dove siamo? Facile. Sud est del Regno. Contea dell’Hampshire. Vi dice niente? Ok, allora: Southampton. Partiamo da qui. Dalla città famosa perché dal suo porto salpò una nave gigantesca che avrebbe dovuto dominare mari e oceani e che recava una scritta altrettanto esagerata: “Titanic”. Già.
Ma da queste parti la gente non campa di icone o leggende. Qui prevalgono buon senso, lavoro duro e praticità, attitudini connaturate a chi vive con il sale sulle labbra ed il vento a lavorargli gli occhi. Ogni storia però ha le sue eccezioni. I suoi salmoni che viaggiano ostinatamente controcorrente.
Quella di Southampton si chiama Matthew di nome e Le Tissier di cognome. Per tutti, più semplicemente, “Le God”. E del resto, se questa è la squadra dei “Santi”, non poteva andare diversamente.
All’ingresso del The Dell, per anni, ha campeggiato un enorme cartello che diceva tutto: “Benvenuti nella casa di Dio”. Ma com’è possibile che il calcio britannico anni ’80/’90, quello tutto fisicità e palle lunghe, abbia eletto a suo beniamino un ragazzo con il 7 sulle spalle, un fisico non impeccabile e l’inclinazione a metterla sulla qualità, più che sul gioco ruvido?
Un pallonetto qua, una punizione chirurgica là, un dribbling ricamato in ogni zona del campo, Le Tissier si è conquistato lo scranno più alto nella storia dei biancorossi d’Inghilterra. Alla fine, dal debutto nel 1986 all’addio al calcio giocato nel 2002, saranno 162 i gol segnati con la maglia dei Saints, in 443 presenze totali.
Matt arriva alla corte del Southampton dopo aver attirato l’attenzione con ben 169 goal realizzati nei campionati giovanili, giocando in quel dimenticabile avamposto infilato nel canale della Manica che è l’isola di Guernsey, il luogo dove è nato. Era un fenomeno lui, si chiedevano gli addetti ai lavori, o il problema stava nel fatto che sull’isola erano tutti scarsi? Il dilemma viene sbrogliato con un provino nel 1981, durante un Camp della Saints Soccer School: Le Tissier viene notato e, da lì in poi, entra a far parte della grande famiglia.
Quella di origine lo vedeva quartogenito di mamma Ruth e papà Marcus, sempre al suo fianco anche quando il ragazzo – è il 1985 – firma il suo primo contratto da professionista anche grazie all’intuito del talent scout Bob Higgins.
Da lì in poi, una corsa irrefrenabile verso il paradiso: dalla prima doppietta al Manchester United fino a quel modo inedito di accarezzare il pallone con una grazia ed una classe che i supporters assiepati nella Milton End non avevano mai visto prima.
Mai banale Matt: i suoi goal sono opere d’arte su quella carta traslucida che è il terreno da gioco e mandano in delirio i fan. La consacrazione è inevitabile: nella stagione ’88-’89 Matt piazza venti centri ed attira l’attenzione del Liverpool, che offre 2 milioni di sterline. E’ il primo grande rifiuto, ma seguiranno anche quelli a Tottenham e Manchester United. “Sarei potuto andare altrove, a cercare di vincere. Ma lontano dalla mia gente mi sarei intristito e non avrei reso come sapevo”, dichiarò l’icona di Southampton.
Perché è qui che lui vuole stare. Questa è la sua dimensione. E continuerà ad esserlo fino agli inizi degli anni duemila. Cinquanta rigori calciati in carriera, quarantanove messi a segno. Un’infinità di calci piazzati mandati a conoscere la rete alle spalle del portiere di turno. Giocate clamorose in serie. Il The Dell è il teatro e lui Shakespeare.
Un legame intenso, profondo, che incrocia il suo climax nel giorno dell’addio al The Dell, roccaforte dei Saints da oltre un secolo. E’ il 19 maggio 2001 e l’ormai logoro Matt, tormentato da anni da una serie di infortuni, non ha ancora segnato una sola rete in stagione. La partita è Southampton – Arsenal e ad un minuto dalla fine il risultato è bloccato sul 2-2. Matt è entrato da una manciata di minuti. Raccoglie un pallone vagante al limite. Si gira in un fazzoletto. La infila sotto l’incrocio. Lo stadio viene giù. Il pacato numero 7 abbandona la flemma che gli deriva dalle origini franco – normanne e si lascia andare ad un’esultanza incontenibile, in un immaginario abbraccio con i tifosi che si sciolgono in lacrime.
Quell’abbraccio continua ancora. Provateci: entrate in un pub di Southampton. Mollate la giacca e ordinate una birra. E lasciatevi raccontare chi era Matthew Le Tissier.