Quando si imbocca la M27 a Eastleigh si arriva sulla costa, davanti a noi due porti che dominano la zona a pochi chilometri di distanza. Non entriamo a Southampton, dove torneremo prossimamente, e continuiamo verso est. Viaggiamo fino a che superiamo Portchester Castle sulla destra e il panorama cambia del tutto. Non c’è più tanto verde, dolci colline e pascoli. Ora vediamo gru, moli e tanti palazzi di case popolari, una costruzione ammassata all’altra.
Stiamo per entrare nella Portsea Island, un’isola che non è mai stata convinta di uscire del tutto fuori dal mare, il cui picco più alto sono i 6 metri e mezzo di un incrocio stradale. Un’isola dentro un’isola come piace dire agli indigeni del luogo per rimarcare la differenza tra loro e tutto il resto d’Inghilterra. Una città del nord, difficile e tribale, con il porto e la Marina a dominare la vita cittadina, intrappolata in un pezzo di terra del sud di 24 chilometri quadrati dove vivono duecentomila persone, una densità di popolazione superiore a quella di Londra. Stiamo per entrare a Portsmouth.
Portsmouth è diversa da tutte le altre città inglesi. A partire dalla presenza ingombrante della Royal Navy, che ha proprio qui il suo porto più grande. I suoi cantieri navali militari sono tra i più antichi del mondo. Tutte le spedizioni militari più importanti sono partite da qui, dagli attacchi ai francesi durante la Guerra dei Cent’anni al D-Day e la difesa delle Falkland. Il tessuto sociale dell’isola è permeato dalla presenza della guerra. Tutti in città hanno almeno un parente che ha lavorato o lavora al porto militare. E praticamente tutti quelli di una certa età hanno avuto a che fare con risse e lotte di strada. Il progresso è riuscito a penetrare a Portsmouth solo da poco tempo.
In questa città problematica, che alle volte sembra dimenticata da Dio e dalla Corona, c’è un solo grande hobby: il Portsmouth Football Club. Nato negli ultimi anni del 1800, viene tifato da ogni singolo abitante dell’isola. Anche chi non segue il calcio ti risponderà che tifa Pompey. Il simbolo del club, la mezzaluna sovrastata dalla stella a otto punte, è anche il simbolo della città. Fratton Park è uno degli ultimi importanti stadi inglesi ancora a mantenere la struttura originale del 1899. Il progetto per il nuovo stadio venne rifiutato dal consiglio cittadino per la crisi economica del 2008. E i tifosi del Portsmouth sono riconoscibili in tutta Inghilterra.
La nostra storia parte da Southsea, la parte dell’isola più a sud. Corre l’anno 1987 e il problema degli hooligans è una delle tematiche più dibattute su tutte le televisioni nazionali. Portsmouth viene nominata spesso nominata per i 6.57. La sua unica crew, ricettacolo di tutti i tifosi organizzati dell’isola, chiamata così per l’orario di partenza del primo treno che allo snodo di Waterloo, è tosta quanto gli abitanti della città. La squadra è andata male per quasi tutto il decennio, ma ogni firm sa che se si gioca contro i Pompey si può fare del sonoro casino.
Uno dei leader dei 6.57 è Marty Hughes, conosciuto da tutti come Docker. Ha lavorato 13 anni al porto, da lì il suo soprannome, ma è stato mandato via. È ancora nei suoi twenties, ma segue già la vita di ogni compagno disoccupato di Southsea. Sveglia, studio delle corse dei cavalli, e arrivo alla sala scommesse di fiducia dove si vanno a perdere un po’ dei soldi che non si hanno. Si inizia a bere un po’ spostandosi al pub Sir Robert Peel e poi si va alla sala biliardo a Fratton Road per perdere altri soldi. Ma soprattutto va allo stadio ogni volta che gioca il Portsmouth, sempre e comunque. Docker è uno poco loquace ma divertente, che parla solo di quello che gli interessa: cavalli e Pompey. Se gli chiedono un’opinione su qualcos’altro, scrolla le spalle e beve una birra.
Nel 1987 però ci sono anche le elezioni politiche generali. Anche a Portsmouth si deve eleggere il proprio rappresentante per il Parlamento, e la politica ha preso il sopravvento nei discorsi alla telly. Una delle solite tirate elettorali sul piccolo schermo del Peel Pub però fa nascere un’idea malsana ai gioviali membri della 6.57. La crew è già nota per la sua creatività e le sue prese per il culo al potere costituito, come quella volta che han provato a scappare dai poliziotti mostrando dei finti inviti per un matrimonio stampati in anticipo. L’idea è semplice e allo stesso geniale, fare una cosa che nessuno dei mob inglesi ha mai fatto: candidare la 6.57 al Parlamento.
Docker non è presente alla concezione del piano diabolico, e forse ha avuto sfortuna in questo senso. Perché viene scelto proprio lui, il leader della firm, come candidato del partito 6.57 per il Parlamento inglese. Lo informano quando serve la sua firma sui moduli per iniziare a raccogliere adesioni e quota d’iscrizione, 500 pound da versare entro due settimane. Docker si fa una grassa risata e firma, tanto chi vuoi che sostenga questa bravata. Ma le cose vanno diversamente. I 657 iniziano a battere i pub, i luoghi di ritrovo usuali delle persone nella sera, e le bettole piene zeppe di ubriachi. Una volta riescono a convincere un gruppo di marinai a farsi dare una quota considerevole, nonostante uno dei primi punti del manifesto sia proprio “Skates out of Pompey”, i marinai fuori da Portsmouth.
Già, il manifesto. Quelli della firm si divertono da matti quando vanno a comporre il programma elettorale di Docker Hughes. Il Docker Manifesto 1987. Un tripudio di goliardia e di irrazionalità, che mostra se possibile la vera faccia di una buona parte di Portsmouth. Alcuni propositi sono poesia allo stato puro: levare le tasse dalle scommesse, cibo e alcool gratuiti sul battello che porta dall’altra parte del canale del porto, poliziotti (i Central Boot Boys, presa in giro del Central Police Station) fuori dalla città. Altri sono sintomi veri e propri di un problema. Portsea Homes for Portsea People porta Docker a doversi scusare ufficialmente con dei gruppi di Pompeys richiedenti asilo nelle case popolari del centro città, che da anni lottavano per vedersi assegnati degli appartamenti. Docker’s own Community Police (polizia del porto fatta da gente del porto) e Magistrates to have served time (i magistrati devono aver passato del tempo in prigione) fanno comprendere quanto la polizia fosse dura con la città, e quanto poca fiducia ci fosse nell’autorità costituita. E soprattutto Portsmouth out of the Hampshire, perché tutt’ora la città si sente un’isola a sé stante, lontana dalla contea e dal paese intero. C’è chi ancora invoca la People’s Republic of Pompey al giorno d’oggi.
I 6.57 ce la fanno a raccogliere i 500 pounds e le firme richieste. Marty Hughes è ufficialmente uno dei candidati al seggio parlamentare. La notizia giunge in tutta la nazione e scoppia un putiferio. I grandi partiti locali si preoccupano perché una bravata del genere potrebbe far perdere quel piccolo gruppo di voti che potrebbe decidere la campagna. Le tv nazionali scendono in città per intervistare l’hooligan diventato politico per caso, ma non lo trovano. La firm sa dei proverbiali silenzi di Docker su argomenti di cui non gliene frega nulla e arriva a chiuderlo in uno scantinato per evitare che parli con la stampa. Addirittura si scomoda la Lady di Ferro in persona, quella Margareth Thatcher che ha fatto della lotta al tifo uno dei suoi punti cardine, per demonizzare la candidatura di Hughes. Non aiutano i comportamenti del “partito”, come quando una settimana prima delle elezioni noleggiano un bus senza tetto per fare “campagna elettorale” in giro per la città e ne approfittano per lanciare uova e farina ai Tories che avevano avuto la loro stessa idea.
Arrivata la notte degli scrutini, i 6.57 vengono invitati come ogni altro partito in corsa ad aspettare nelle sale del Municipio. Solo 30 rappresentanti per ogni fazione, più il candidato di riferimento, potevano partecipare. I voti vengono punzonati nella rispettiva colonna. Tutti i presenti si dirigono verso il grande bar allestito al piano terra dell’edificio, dove si narra che il candidato laburista venga sgambettato da uno della firm e cada a terra dopo svariati carpiati in volo. Per la 6.57 è una festa comunque vada. Ma purtroppo il risultato che sta maturando sembra deludente. I checkers, quelli che controllano come sta andando lo scrutinio, vedono tre grosse colonne di voti e quella della firm che sembra quasi scomparire. Docker passa la maggior parte del tempo seduto e mezzo addormentato, svegliato ogni tanto dai poliziotti che gli intimano di rimanere lucido.
Alle 2 am passate arrivano finalmente i risultati. Su più di 76 mila voti della circoscrizione di Portsmouth South, Docker Hughes ne prende 455, meno dell’1%. Ma bastano per dare un risvolto decisivo all’elezione: la distanza tra il candidato dei Tories vincitore e il candidato del Partito Social Democratico (partito che aveva in precedenza il seggio) è di soli 205 voti. Docker viene svegliato definitivamente e informato dei risultati, e definisce come “patetico” il suo numero di preferenze. Ma comunque esce fuori dal Municipio e ringrazia cortesemente tutti quelli che hanno votato per lui. L’esperimento del 6.57 party finisce ufficialmente qui.
Il fenomeno degli hooligans nella sua forma più aggressiva è stato messo sotto controllo ormai da tempo. C’è chi dice dalla nascita delle telecamere a circuito chiuso CCTV che controllano metro e vicoli delle città, chi pensa che sia stata una fase di crisi passeggera e chi addirittura dà la colpa alla comparsa dell’eroina sulla scena inglese di fine anni ’80. La 6.57 invece, stoica e inaffondabile come la città che rappresenta, è sopravvissuta e ha continuato a imperversare, come dimostrano gli incidenti del 2004 contro i tifosi del Southampton. Tutto questo però Marty Hughes non lo sa. Docker ha lasciato questo mondo nell’estate del 1992 per cause indefinite ma probabilmente legate all’alcolismo. La firm lo porta nel cuore, e anche oggi il suo ricordo è fermo nella mente dei ragazzi della 6.57. Docker era uno dei giusti per loro: non uno di quelli per cui il tifo organizzato è stata una moda passeggera, ma uno che ha dato il 100% per la squadra e quindi per la città. Un vero docker di Portsmouth.