Londra. Victoria Station è proprio come riprodotta sulle stampe dei libri delle medie. Bus rossi a due piani, gente di ogni tipo, clima britannico. Torno indietro di trent’anni. Già i brividi mi hanno pervaso alla fermata di East Croydon, paesaggio da Lego, case di mattoni rossi, cornici bianche, pergolati e romantiche donne inglesi. Uno sdentato bigliettaio apostrofa il mio compagno di merende Bobby Bof, il silenzio british dello scompartimento è turbato dalle profonde riflessioni di Edo Frattini e Giannino Bof, la terza e quarta caravella della compagnia. Londra come Rio, fratelli verdeoro ovunque.
Alla sera amichevole di lusso Italia-Brasile, la vera finale di ogni mondiale. Nel bene e nel male il calcio è bicolore, giallo come la fantasia, l’estro, la creatività, la gioia e l’azzurro della grinta, della forza fisica, volontà e sacrificio. Fraternizzo immediatamente con i figli della terra del Samba e del Pandeiro e il Caccia è un Cangaçeiro, terribile brigante della caatinga arida del nord est brasiliano. Foto, baci e abbracci e poi via in albergo. Non credo abbia nemmeno un asterisco, altro che stelle, letti buoni per Pollicino e spazio vitale pari a zero. Ma siamo a Londra per vivere emozioni. Calcio e cultura. Gli schizzinosi storcono il naso, ma quanta storia in un pallone. Underground, stazione di Holborn, chiedo a due enormi guardie la strada per Chelsea, destinazione Stamford Bridge, lo stadio, prima tappa del nostro football-tour. Al terzo rifiuto capisco che sono tifosi dell’Arsenal. Questione religiosa. Aveva ragione Giovanni Arpino, il calcio è un mistero senza fine bello. Bobby Bof carpisce con l’inganno le sospirate informazioni e saliamo sulla metro. Ogni fermata è colorata in mattoncini di porcellana incantevole di diverse sfumature, col nome in tinta sgargiante che mette allegria. Eccoci a Fulham Broadway, secondo le indicazioni. Traffico, case in mattoni , negozi. Sembra una via del centro di Varese più larga. Abbiamo sicuramente sbagliato. E poi compare lo stadio. Incredibile. Non c’è un parcheggio, alla partita vanno tutti coi mezzi.
Il Chelsea F.C. storica squadra londinese, protagonista in Europa, gioca in un impianto nel cuore di un quartiere, a pochi metri da pasticcerie, barber shop, agenzie immobiliari, un asilo. E, come d’incanto, comprendiamo la bellezza del calcio britannico. Il senso di appartenenza, l’orgoglio di fare parte di un team. Visitiamo lo stadio senza segreti, accompagnati da una esperta guida che ci introduce negli spogliatoi, a bordo campo, sulle tribune, nel negozio ufficiale del club. Ce ne andiamo inebriati, un panino e via a Russell Square, la Mecca dei mercatini on the road. Due passi e calpestiamo il sacro suolo di Trafalgar Square, omaggiamo l’ammiraglio Nelson e la sua Royal Navy, bestia nera per francesi e spagnoli. Londra trasuda storia da ogni anfratto, ma il Big Ben ci richiama all’ordine, la splendida Clock Tower di Sir Benjamin Hall ci ricorda che abbiamo un match da seguire. Ci avviciniamo all’Emirates Stadium, sede della partita. Anche qui nessuna autovettura e case a ridosso dell’impianto. Lo stadio fa impressione, immenso, maestoso, accogliente. All’esterno festa, canti e balli, italiani e brasiliani insieme per ciò che si prospetta una notte memorabile. Sessantamila persone per un’amichevole. E’ la magia del calcio. Troviamo i nostri posti. Mi sento mancare, sono a ridosso del campo ! Bobo l’organista mi ha fatto un gran regalo… Eccoli. Vedo Robinho, Ronaldinho, Adriano il gordo e poi Elano, Lucio, insomma, i miei eroi. E mi trasformo nel bambino che sono sempre stato.
Il riscaldamento dei verdeoro è musica, poesia, letteratura, non c’è differenza tra un tocco di Dani Alves ed un assolo di Airto Moreira, od un doppio passo di Robinho ed una novela di Amado, o ancora una fuga sulla fascia di Maicon ed una lirica di Guimaraes Rosa. Questo è il Brasile. Il mio Brasile. Calcio, musica, storia e cultura. Dunga è a due passi da me. Il mio eroe del 1994. E poi inizia il dominio verdeoro. Felipe Mello ed Elano presidiano con sapienza il centrocampo, Gilberto Silva l’architetto crea dighe insormontabili, Ronaldinho e Robinho colorano di pastello ogni tocco di palla, Marcelo, Lucio, Juan, Maicon, gli Evangelisti. D’improvviso, i gol. Due perle. Manè Garrincha dal cielo ha guidato i piedi vellutati di Elano e Robinho, mi ha sollevato da terra e scaraventato ad abbracciare tutti i fratelli verdeoro che mi circondavano !! Un delirio di risa, urla, pacche sulle spalle. Italia non pervenuta. In panchina i verdeoro salutano il pubblico, me compreso. Gli azzurri se ne vanno senza degnare di uno sguardo nemmeno un bimbo che si sbraccia davanti a Cannavaro. Mi sovviene una canzone di Milton Nascimento, l’arte è il sorriso di un bambino. Altra categoria. Fuori si festeggia. Si balla tutti insieme, azzurri e carioca. Per una notte, come Felona e Sorona, regna l’armonia, nel regno buio la luce risplende.
Il mattino dopo manca una tappa. Il sacro ed il profano. Arsenal Station. Da piccolo amavo giocare a Subbuteo con gli omini a maglie rosse e maniche bianche, i gunners. Highbury, il vecchio tempio calcistico dell’Arsenal, ora abbattuto per il più maestoso Emirates Stadium, mi appare nella sua semplicità. Ove c’era il campo, ora hanno costruito abitazioni. Assolutamente incredibile. A pochi metri dall’uscita della metro vi era l’ingresso principale circondato dai cottage tipicamente britannici. Highbury Road e la mia mente vola a Fever Pitch, la straordinaria pellicola che racconta come il calcio possa essere colonna sonora di una vita e una lacrima di emozione riga il volto mio e di Bobby Bof, amici, fratelli, come nel film. Ma siamo a Londra e la Regina Elisabetta si offenderebbe se non passassimo a salutarla… Buckingham Palace. Edo Frattini commenta divertito il cambio della guardia. Ma incute rispetto, pare un luogo dove il tempo si è fermato, la storia è tutt’intorno a noi. E ci sentiamo, per un istante, sudditi di questa magia. Londra e il calcio. Londra e la storia. Anche Manè Garrincha, per un attimo, solo per un attimo, si inchinerebbe.