Le sofisticate trame di gioco ed il bel calcio rappresentano il portato del nuovo millennio in terra d’Albione, ma non sempre le cose sono state così. Vigeva un tempo nel quale il tratto distintivo del calcio britannico era la veemenza, la forza fisica, il non mollare mai, l’esser tosti e duri, pronti a duellare sino all’ultimo tackle. Ogni partita è una battaglia da giocare spesso in campi pesanti o resi scivolosi dalla insidiosa pioggerellina che sovente bagna il terreno oltremanica. Per chi scende in campo la scala valoriale è ben chiara: prima la cattiveria, la grinta, poi il resto. Il bel gioco è un termine relativo, conta vincere. Ed a vincere è colui che getta il cuore oltre l’ostacolo. Molte partite vengono giocate all’insegna dell’hit and run e dell’in the box, con squadre che si allungano a dismisura rendendosi protagoniste di vere e proprie battaglie a tutto campo, senza esclusioni di colpi.
Coloro che calcano il prato verde devono essere pronti a dare anima e corpo, letteralmente. Se non foste ancora convinti, la storia di Terry Butcher, il macellaio di Inghilterra, fugherà ogni vostro dubbio.
Descrivere Terry Butcher come un semplice calciatore risulta quantomeno riduttivo; il roccioso difensore inglese, non appena varcata la soglia del terreno di gioco, si traveste da guerriero. Un guerriero protagonista di numerose battaglie, destinato ad entrare indelebilmente nella memoria degli inglesi in uno Svezia-Inghilterra del 6 Settembre 1989.
È una gara valevole per la qualificazione ai mondiali di Italia ‘90, la posta in gioco è delle più alte. L’Inghilterra giunge a Stoccolma al comando del proprio girone; per la qualificazione matematica alla compagine inglese è sufficiente strappare un pareggio. Dopo pochi minuti, a seguito di un coriaceo contrasto di gioco, Butcher riporta una profonda ferita alla fronte. Lo staff medico interviene prontamente, le condizioni non appaiono delle migliori, ma Terry vuole continuare a giocare. I medici, armati di spillatrice suturano la ferita e la isolano con una vistosa fasciatura bianca. Terry, imperterrito, rientra in campo e continua a dare battaglia come se niente fosse, non risparmiando interventi rischiosi e colpendo la palla di testa senza alcun timore. Col trascorrere dei minuti, i continui contatti aerei fanno saltare man mano punti e fasciatura a Butcher che, incurante di ciò, continua a battersi come un leone sul terreno di gioco. Terry è il capitano della Nazionale, il condottiero, c’è un traguardo da raggiungere e non lascerebbe mai i suoi compagni da soli.
Il contesto odierno impone una dovuta precisazione. Al tempo le norme FIFA non prevedevano, come al giorno d’oggi, l’impossibilità per il calciatore sanguinante di restare sul campo da gioco. Tutto era rimesso alla volontà del coach e del calciatore, quest’ultimo era libero di scegliere se rimanere in campo o meno. Nel caso di specie, Terry Butcher di uscire non ne voleva affatto sapere.
Più i minuti passano e più la maglia di sua maestà appare pregna di sangue. Il muro inglese, eretto da Butcher in prima linea, resiste alla carica degli svedesi; la partita termina 0 a 0 e l’Inghilterra stacca il pass per i mondiali.
A fine gara Butcher è una maschera di sangue, ma ha ancora la forza per gridare di gioia. Qualcuno gli scatta una fotografia, destinata a restare scolpita nella storia d’Inghilterra. Ad anni di distanza, in una intervista alla BBC, Terry tornerà a parlare di quel match: “Fu un match-icona per la mia carriera. Avevo già sopportato nella mia carriera paure maggiori per non comportarmi così”
Rimane quello scatto fotografico. Uno scatto che immortala l’animo guerriero, il cuore del leone, lo spirito d’Inghilterra.