Come è risaputo, nel calcio, una cosa sono le aspettative, altra cosa è il verdetto del campo, spesso foriero di acri sentenze. L’undici di Sir Bobby si rende infatti protagonista di una partenza a dir poco disastrosa: le quattro sconfitte in altrettante partite costano al coach la panchina ancor prima della fine di Agosto. Dopo la breve guida tecnica ad interim affidata a John Carver, ad ereditare la patata bollente è Graeme Souness, già discusso tecnico del Blackburn Rovers. A cambiare è l’assetto tattico, ma non i deludenti risultati. Così, tra una serie interminabile di noiosi pareggi e qualche gara vinta per il rotto della cuffia, le Magpies giungono al rush finale senza più alcuna pretesa, navigando svogliate nella parte destra della classifica. Nervosismo e malumori la fanno da padroni: la sfida interna contro i Villans ne sarà il pacifico manifesto.
L’inizio di gara è la sintesi di una stagione iniziata male, e destinata a finir peggio. Dopo appena 5 minuti di gioco Juan Pablo Angel sfrutta un errore difensivo del goffo ed impacciato Stephen Carr, scagliando un violento sinistro alle spalle dell’incolpevole Given. Le cose, se possibile, peggiorano nel secondo tempo, quando la retroguardia bianconera si fa stupidamente sorprendere in contropiede: l’imberbe Taylor ha la brillante idea di parare plasticamente un tiro a botta sicura di Vassel, esibendosi poi in una simulazione tanto improbabile quanto comica. Il centrale delle Magpies finge letteralmente di esser stato trafitto al petto da una sassata del centravanti dei Villans, quando anche i pescatori sulla riva del lontano Tamigi avevano scorto la mano galeotta. Nel tirare fuori il cartellino rosso ed assegnare il penalty, poi trasformato da un giovane Gareth Barry, il direttore di gara è indeciso se piangere o ridere: a non avere dubbi è invece Souness, a dir poco iracondo. Lo stesso Steven Taylor, successivamente, parlerà del trattamento che gli fu riservato negli spogliatoi: “Il coach era furioso. Ho provato a chiedere scusa per lo stupido gesto, ma non gliene importò niente”.
Beh, effettivamente il povero Souness aveva ben di peggio a cui pensare. Una manciata di minuti dopo l’espulsione di Taylor, infatti, in campo accade l’incredibile. Scocca l’82 esimo minuto, Boumsong lancia un pallone lungo a cercare Ameobi, il nigeriano stoppa il pallone e si gira con un bel movimento, ma nessuno si accorge del suo gesto tecnico perché in mezzo al campo scoppia una scena da Far West. La telecamera si sposta immediatamente su Bowyer e Dyer, che se ne stanno dando di santa ragione. Forse qualche parola di troppo da parte di Dyer, sicuramente l’eccesso di nervosismo e il carattere fumantino di Bowyer, fatto sta che i due compagni di squadra si trasformano in pugili di scarso livello, e il centrocampo di St James’Park in un ring di lusso. Carr e il capitano avversario si precipitano a dividere i due, ormai venuti alle mani. Il tutto dura giusto una manciata di secondi, attimi folli, incomprensibili, che precedono l’irrevocabile decisione del direttore di gara: cartellino rosso per entrambi i combattenti.
Il popolo bianconero assiste attonito alla scena. A montare immediatamente è un misto di rabbia e delusione: non è tollerabile che la gloriosa maglia delle Magpies sia disonorata a tal punto.
Come se non bastasse, il tutto accade sotto gli occhi increduli di chi per anni quella maglia l’ha onorata e nobilitata, segnando caterve di goal e strappando centinaia di urla di giubilo al popolo di St James’ Park: Alan Shearer, the working class hero. A fine gara, da vero uomo squadra, il bomber si trova costretto a prendere posizione sull’increscioso episodio, e lo fa senza andare per il sottile: “Ancora una volta il buon nome del Newcastle è stato infangato. Quello che è successo è una disgrazia, non ci sono parole per giustificarlo, e vi assicuro che ho fatto sentire la mia voce nello spogliatoio, ma certe cose è giusto che rimangano lì. Sono ancora molto arrabbiato e frustrato per l’accaduto, specialmente perché negli ultimi mesi le cose stavano andando meglio, anche sotto l’aspetto dello spirito di squadra. Non è la prima volta che il Newcastle finisce sulle prime pagine dei giornali per ragioni sbagliate nel corso di questa stagione. I panni sporchi si lavano in casa, non si sbandierano davanti all’intero paese e soprattutto non davanti ai nostri tifosi.”
Ma chi, se non i diretti interessati, possono spiegarci alla perfezione quanto è accaduto e quali siano stati i fattori scatenanti che hanno fatto trascendere l’eccentrico Bowyer, indicato come principale colpevole dallo stesso Souness nella conferenza stampa post-partita. Lee, a dieci anni di distanza, è tornato a parlare pubblicamente dell’episodio incriminato: “Fu un momento di pazzia. Ambedue ci dispiacemmo nei minuti successivi. Quando giochi a calcio, devi essere in questa maniera. Devi sempre aver voglia di vincere. A volte questa fame di vittoria supera il limite, ecco cosa è accaduto quel giorno. Sono sicuro che se avessimo vinto 3-0 non sarebbe accaduto niente del genere”.
Se Bowyer è tornato a parlare in pubblico dell’episodio, ancor più approfonditamente lo ha fatto Dyer nella sua autobiografia: “Lee mi venne incontro a muso duro chiedendomi perché non gli passassi mai il pallone. Io, in preda al nervosismo, gli risposi che non gli davo palla perché fondamentalmente era una merda. A quel punto si è fatto ancor più minaccioso, e mi è venuto incontro con gli occhi fuori dalle orbite. Il coach gli urlò di fermarsi ma Lee era talmente in preda alla rabbia che non sembrò neanche sentirlo. Lo afferrai per le spalle e per il collo per tenerlo lontano da me, ma inizio a sferrarmi una serie di pugni. Era come una scena a rallenty. Mentre mi colpiva alla testa pensavo come cazzo fosse possibile che mi stesse prendendo a pugni davanti a 52 mila persone, e a cosa diavolo stesse pensando! Credo che mi colpì quattro volte. I cazzotti non facevano male, ma una volta incassato il quarto pensai ‘fanculo’, e gliene sferrai uno anch’io”.
Ognuno dunque riporta la sua versione, come sovente accade dinanzi ad episodi del genere. A noi non restano che le immagini, da un lato testimonianza di un episodio increscioso, dall’altra rappresentazione di uno spaccato reale del calcio inglese, oggi ormai fatto di spettacolo e alti ritmi, ma un tempo patria di uomini duri e puri, incapaci di scendere a compromessi, se non dopo una bella scazzottata e una pinta di birra al pub. Ciò che più conta è che oggi, Lee e Kieron, si professano in buoni rapporti. A dimostrazione del fatto che forse, a modo loro, quel pomeriggio si erano già chiariti.