Da quelle parti dicono che mischiando il rosso del Liverpool al blu dell’Everton si ottiene il colore della Mersey e oggettivamente non possiamo nemmeno dargli torto visto che se sfogliamo un testo di etimologia britannica il termine lifer (uno dei probabili antichi nomi del luogo) significa stagno, o al limite acqua fangosa dove tuttavia sembra sguazzino le migliori anguille del Regno. Quello del 1986/87 fu l’ultimo torneo sponsorizzato dal quotidiano londinese Today, con sede nella zona di Wapping, famosa per il pub di Captain Kidd e per il fatto che il Tamigi comincia una poderosa ansa al punto da stringere la città in quel ridotto portuale chiamato Isle of dogs.
Anche nella stagione (1985 /86) il duello fu tutto fra vicini di casa con il Liverpool a spuntarla di appena due punti. Oh, ora due cose. A Goodison Park arriverà il nono e ultimo titolo, e al contempo l’addio di Howard Kendall prenotato dall’Athletic Bilbao. Divaghiamo leggermente, perché bontà sua il derby di Liverpool divide senza dividere. A proposito: “No way, man, I’m a bluenote”. In una intervista concessa a RadioMerseyside Paul McCartney smontò le illusioni di quanti lo immaginavano sostenitore del Liverpool, forse dimenticando qualcosa della propria biografia, o forse cercando nuovi consensi: “È vero che simpatizzo per l’Everton ma se il Liverpool va in finale di Champions io tifo per la squadra della mia città”. I suoi amici di sempre, quelli d’ infanzia, gliela giurarono. Uno, noto come Dickie the Dick, minacciò di riportarlo per le strade di Allerton con un barile di birra da svuotare in penitenza. Sessanta anni fa i Beatles pare si spartissero le simpatie: Paul e George pro Everton mentre John e Ringo (cui andrebbe aggiunto Pete Best ossia il batterista più sfigato della storia) pro Liverpool. Ci sono anche altre versioni e il dibattito resta aperto, in ogni caso di sicuro nessuno dei quattro amava particolarmente il football (John tirava qualche calcetto, Paul mai, Ringo preferiva il rugby e da ragazzino George era un folle collezionista di modellini d’auto Stirling Moss). E poi insomma la Kop che intona “You’ ll never walk alone” era impressa su “Meddle” dei Pink Floyd e mica va troppo bene… A scanso di equivoci, Brian Epstein (il manager), li obbligò a non pronunciarsi mai in pubblico sulle loro simpatie sportive per evitare di confondere i fans.
A Liverpool esiste sì la rivalità ma non l’avversione, solo gli “evertonians” affermano con sicurezza che la vera squadra del popolo sono loro; loro che nacquero per primi e per motivi d’affitto cedettero Anfield al neonato Liverpool costruendosi il Goodison un miglio più su nel verde dello Stanley Park. Ma ritorniamo in bolla. Toofees ancora griffati dal colosso tecnologico Nec e reds sempre dal colorificio Crown. Ad Anfield proseguiva la parabola di Kenny Dalglish e la squadra si era rinforzata con gli arrivi di Barry Venison, Steve Staunton e soprattutto di John Aldridge che nella visione della società avrebbe dovuto rimpiazzare a fine stagione il partente Ian Rush in direzione Juventus. Confermate naturalmente le colonne Bruce Grobbelaar, Gary Ablett, Alan Hansen, Gary Gillespie, Steve McMahon, Steve Nicol, Ronnie Whelan, fino a Paul Walsh e al già citato Rush. Niente male. Dall’altra parte Kendall (che aveva appena venduto un certo Gary Lineker) dovette fare a meno per infortunio del portiere Neville Southall fino a ottobre, e di Peter Reid fino a febbraio. Problemi anche per Derek Mountfield e per Gary Stevens fino a dicembre. Insomma l’Everton si affidò a gregari come Kevin Langley, Paul Wilkinson, Bobby Mimms, Wayne Clarke e Neil Adams. Le certezze arrivarono da Alan Harper, Paul Power, Pat van Den Hauwe, Kevin Sheedy (13 centri) seguito da Adrian Heath con 11 oltre a Trevor Steven, dalla geometria di Paul Bracewell, e poi Graeme Sharp, più il fortino della retroguardia guidato da Dave Watson e Kevin Ratcliffe. Kendall e il suo vice, Colin Harvey, misero in pratica l’arte della buona gestione: arrangiarsi e riparare ai problemi, riuscendo a concludere il campionato addirittura con il miglior attacco (72) e la miglior difesa, nonostante Ian Rush abbia detto 33 e Clive Allen del Tottenham 30. Certo, prima della vittoria decisiva contro il Norwich avvenuta in trasferta per 1-0, lunedì 4 maggio 1987, c’era stata una discreta sofferenza proprio nel Merseyside derby, il primo andò in scena a Goodison e fu uno 0-0 senza troppe emozioni, il secondo a Anfield in cui nonostante una punizione meravigliosa di Kevin Sheedy che impattò la rete in apertura di Steve McMahon, il solito Ian Rush sotto porta si dimostrò ancora letale (Dio salva ma Rush ribatte in rete era scritto su un muro dei docks) e i reds si aggiudicarono la partita per 3-1, oltre alla stracittadina di coppa di lega vinta 1-0 fuori casa ancora con la firma inconfondibile del bracconiere gallese a sette dal termine. Poco male, l’Everton si laureerà campione d’Inghilterra con nove punti di vantaggio sui cugini, davvero tanti visto le preoccupazioni iniziali, ah, cugini che alla fine, stranamente per i tempi, non alzarono nemmeno un trofeo.