Stamattina quando mi sono svegliato ci ho messo un po’ a realizzare dove mi trovavo.
Ho aperto gli occhi e nella stanza non ho visto alcunché di familiare.
“Ok, non sono a casa mia e questo è evidente. È già qualcosa!” ho pensato.
Un attimo dopo, osservando i mobili della stanza, il lampadario e il divano di fronte al mio letto, ho capito che mi trovavo in una stanza d’albergo.
“Strano!” ho riflettuto mentre i pensieri iniziavano a fatica a concatenarsi fra loro.
“Molto bella davvero questa stanza! Che siano impazziti i dirigenti del mio Club? Non siamo mai stati in alberghi del genere!”
Poi ho girato lo sguardo di lato.
Nel letto a fianco al mio c’era un giovane uomo, ancora addormentato e coricato su un fianco.
In quella posizione non riuscivo a vederne completamente il viso, ma quel poco che sono riuscito a vedere mi è bastato per capire che non si trattava di Andy, il mio compagno di stanza nelle trasferte con il mio Club. No, non era decisamente Andy!
Andy è biondo e ha una carnagione molto chiara. Il giovane uomo che sta dormendo di fianco a me non è biondo e non ha la carnagione chiara. Al contrario: è nero come la pece.
Ha però qualcosa di familiare, come di qualcuno che hai già incontrato, magari ci hai già parlato solo che non ricordi né dove né quando.
Cavoli, ha i piedi che quasi sporgono in fondo al letto! Deve essere un pezzo d’uomo! Io sono alto un metro e 80 ma nel letto ci sto alla grande. Mi giro di schiena cercando di rimettere insieme i pensieri.
«Ciao Bully! -mi dice il tipo al mio fianco- È molto che sei sveglio?»
… Cazzo! Mi sembra di essere appena tornato in superficie dopo un’immersione di qualche secolo.
«Ciao Fash! No, solo da qualche minuto. Infatti stavo ancora cercando di capire dove fossi e cosa ci facessi in una stanza d’albergo del genere!» gli rispondo con una voce che sembra uscita dal buco del culo della terra.
Ora finalmente è tutto chiaro.
Quell’armadio di uomo nel letto di fianco al mio è John Fashanu, centravanti del Wimbledon.
Mi hanno messo in camera con lui ieri sera. E siamo entrambi in ritiro con la Nazionale Inglese!!!
Lui è uno degli ultimi arrivati nella nazionale di Bobby Robson.
Io invece sono proprio l’ultimissimo! Sono arrivato ieri in tarda mattinata. Non dovevo neppure essere qua.
Ero stato aggregato come fuori quota alla Nazionale Under 21 di Dave Sexton quando Bobby Robson, l’allenatore della Nazionale maggiore, ha chiamato Dave.
«Dave, ho qualcuno dei miei ragazzi con l’influenza. Mi serve un attaccante da portare in panchina domani. Riesci a mandarmi qui Steve Bull al più presto?» Questa più o meno la telefonata tra Bobby e Dave.
E così eccomi qua. Nella Nazionale Inglese di calcio.
Ieri, appena arrivato, mi tremavano le gambe. Shilton, Robson, Butcher, Waddle e Gascoigne li avevo visti solo in televisione finora. Non ci avevo mai neppure giocato contro!
Si, perché dovete sapere che io mica gioco in First Division. Anzi per la verità non gioco neppure in Second Division. Io gioco nella Terza Divisione del calcio inglese, nel Wolverhampton.
Eppure, che ci crediate o no (e io faccio ancora un po’ fatica a crederci) sono qua con la Nazionale del mio Paese.
Pazzesco vero? Ieri in allenamento, quando abbiamo fatto la partitella finale, ero teso come un ragazzino al suo primo provino.
«Ecco, adesso il bluff verrà scoperto. Si accorgeranno che anche se segno valanghe di goal in Terza Divisione mica ho diritto di essere qua in mezzo a loro» pensavo tra me e me prima di iniziare a giocare.
«Il suo controllo di palla è indegno! Bull non stoppa la palla… è la palla che gli rimbalza contro!»
Sento dire queste cose da quando giocavo nei dilettanti del Titon Town e anche allora non spiccavo certo per la mia tecnica di base.
Solo che l’idea di sentirmelo dire qui, adesso, in mezzo ai migliori calciatori del mio paese mi terrorizza.
I miei primi minuti li passo quasi immobile, un po’ per la paura di fare cazzate e un po’ incantato a vedere le giocate di Waddle e soprattutto di Gazza. Questo ragazzo qua è un fenomeno. Fa delle cose con il pallone che io non riuscirei a fare neanche con le mani.
«Ehi Bully, vuoi che ti portiamo una birra e un sandwich? Magari se cominci a correre riusciamo anche a darti qualche pallone giocabile!» mi urla dietro Bryan Robson e poi mi strizza l’occhio.
Sentirmi chiamare per nome dal capitano della Nazionale Inglese, incitato da uno dei giocatori più forti degli ultimi vent’anni, scaccia via tutta la mia ansia e finalmente inizio a giocare anch’io.
A lottare su ogni pallone, a pressare i difensori e soprattutto a lanciarmi negli spazi e a dettare il passaggio.
E sapete cosa vi dico? Giocare con quelli bravi davvero è assai più facile.
In squadra con me c’è Gazza che vede e legge alla perfezione tutti i miei “contro-movimenti”.
Due lanci al bacio nello spazio sono quello di cui ho bisogno per fare le due cose che mi riescono meglio: lanciarmi verso la porta e calciare con più potenza possibile.
Nella prima occasione il tiro va alto di poco, ma nella seconda lascio partire un diagonale secco che si infila all’angolino alla sinistra di Shilton.
«Ben fatto, figliolo!» mi grida Bobby Robson… musica per le mie orecchie!
Insomma, non mi sono sentito affatto a disagio ieri in mezzo a tutti questi campioni.
Spero solo che un giorno arrivi l’occasione di giocare insieme a loro una partita vera…
L’occasione per Steve Bull, centravanti del Wolverhampton, squadra appena promossa dalla Terza alla Seconda Divisione inglese, arriverà poche ore dopo.
L’Inghilterra è attesa dalla Scozia ad Hampden Park nella “Rous Cup”, un triangolare che in pratica è solo una scusa per permettere ad inglesi e scozzesi di affrontarsi su un campo di calcio almeno una volta all’anno come fanno, senza soluzione di continuità, dal 1872. (guerre mondiali ovviamente escluse).
Per la Scozia è l’appuntamento calcistico dell’anno.
L’occasione di segnare il territorio contro l’Auld Enemy.
Gli scozzesi sono tutt’altro che una brutta squadra. Hanno grandi possibilità di partecipare al Mondiale in Italia dell’anno successivo, il loro quinto consecutivo.
In squadra ci sono giocatori come Ally Mc Coist, Mo Johnston, Alex Mc Leish e Paul Mc Stay.
Nel 4-4-2 classico disegnato da Bobby Robson gli attaccanti sono il piccolo e guizzante Tony Cottee dell’Everton e proprio John Fashanu, il potente centravanti del Wimbledon.
La partita si mette subito bene per gli inglesi.
È Chris Waddle, con un suo raro goal di testa, a portare in vantaggio gli inglesi dopo soli venti minuti di gioco.
La Scozia prova a reagire ma gli inglesi, guidati da un Butcher sempre ottimamente posizionato e da uno Shilton in buona giornata, tengono senza troppi affanni.
Alla mezz’ora “Fash the Bash”, come viene chiamato il corpulento numero 9 dei “Dons”, ha un guaio alla caviglia.
«Togliti la tuta figliolo, tocca a te!» dice Bobby Robson a Steve Bull.
Bull entra in campo dopo pochi minuti.
Farà a sportellate con i due giganteschi centrali scozzesi Mc Leish e McPherson per il resto del match, lottando come un leone su ogni palla e tenendo sempre in apprensione con le sue progressioni e il continuo movimento la difesa scozzese. La partita sembra ormai destinata a chiudersi con la vittoria con il minimo scarto quando, su un apparentemente innocuo lancio dalle retrovie del terzino Gary Stevens, il difensore scozzese McPherson tenta di anticipare Bull senza successo. La palla, però, rimbalza sulla schiena dell’attaccante inglese, cadendo poi esattamente davanti a lui. Bull non ci pensa due volte e di controbalzo lascia partire una botta che si spegne all’angolino della porta difesa da Jim Leighton.
Per Steve Bull è una consacrazione.
Goal all’esordio e soprattutto la dimostrazione che quando sai dov’è la porta la trovi praticamente a qualunque livello tu stia giocando.
102 reti nelle ultime due stagioni prima di questo match sono una cifra considerevole, indipendentemente dalla categoria. Bobby Robson, che di calciatori se ne intende, lo porta con sé ai Mondiali italiani della stagione successiva, dove giocherà ben 4 incontri, tre entrando a partita in corso e addirittura uno da titolare contro l’Egitto.
La sua carriera in Nazionale finirà con l’avvento sulla panchina inglese di Graham Taylor, che non ha certo grande stima di Bull.
Per ironia della sorte lo stesso Taylor diventerà allenatore del Wolverhampton nel 1994 e dimostrerà ancora una volta di non essere un grande fan di “Bully”. A stagione in corso si accorderà, infatti, con “Big” Ron Atkinson, allenatore del Coventry in First Division, per la cessione di Steve Bull agli Sky Blues.
A Wolverhampton ci sarà un’autentica sollevazione popolare. Cortei di protesta, giornali locali che lanciano campagne contro la cessione di Steve, Taylor tacciato di tradimento e fischiato in ogni match casalingo.
Alla fine Steve Bull decide lui stesso di rimanere al Wolves, squadra in cui era arrivato nel lontano 1985 quando languiva nelle riserve del West Bromwich Albion.
Il Coventry fu solo uno dei tantissimi team di First Division che provarono in tutti i modi a portare via Steve Bull dalla sua amata “Black Country”, la regione delle West Midlands in cui si trova la città di Wolverhampton.
Ci provarono il Newcastle e il Leeds United (la stessa estate in cui i Whites di Elland Road si laurearono campioni d’Inghilterra) il Celtic Glasgow e anche il Torino fece un’offerta per il potente attaccante dei Wolves.
Niente da fare.
«Non sono mai stato particolarmente attaccato al denaro. Vengo da una famiglia della “working class” e avendo fatto il manovale, l’operaio e il contadino i soldi che ho guadagnato con i Wolves sono più che sufficienti. E poi amo la mia regione, la mia città, amo le persone che ci vivono e amo lo stadio dei Wolves. Perché avrei dovuto andarmene?» ricorda praticamente in ogni intervista Steve.
Resta il fatto che nei suoi sedici anni di carriera da professionista Steve Bull ha giocato una sola partita nella massima divisione inglese: contro lo Sheffield Wednesday a ventuno anni di età, quando militava nel West Bromwich.
Nessun rimpianto come detto.
L’amore incondizionato dei suoi tifosi gli è bastato e avanzato.
Quello che fa davvero impressione sono le sue statistiche: 577 partite ufficiali e 311 reti alle quali vanno aggiunte 9 reti in 23 partite con le varie nazionali inglesi… molte delle quali partendo dalla panchina.
Uno dei settori principali della tribuna del Molineux porta oggi il suo nome.
E come dicono da quelle parti «Non abbiamo vinto molto negli ultimi decenni, però Dio ha deciso di giocare solo per noi».
Dio, ovviamente, è Steve Bull.
ANEDDOTI E CURIOSITÀ
A 17 anni Steve Bull si infortuna gravemente ad un ginocchio. Cartilagine in briciole e menischi rotti. «Figliolo, con questo ginocchio sarà dura tornare a giocare a calcio, tanto più farla diventare una professione» gli dice il chirurgo dopo l’intervento.
Sei settimane dopo Steve sarà di nuovo in campo e un anno e mezzo dopo firmerà il suo primo contratto professionistico con il West BromwichAlbion.
Nel novembre del 1986 lui e il compagno di squadra Andy Thompson decidono di lasciare il WBA e di scendere ben due categorie firmando per il Wolverhampton, squadra dal passato glorioso ma al momento nelle zone basse della Quarta Divisione, l’ultima divisione professionistica inglese.
«Quando Thompson ed io arrivammo al Wolves la squadra era terzultima in Quarta Divisione e la sera stessa era in programma una partita di FA CUP contro una squadra di dilettanti, il Chorley. Né “Tommo” né io potevamo giocare quel match, così andammo in tribuna ad assistere alla partita dei nostri nuovi compagni di squadra» racconta Steve «Il Wolverhampton perse 3 a 0. A fine partita guardai sconsolato Andy “Che cavolo abbiamo fatto Tommo?”»
Mentre molti calciatori riempiono i tabloid inglesi con le loro imprese sessuali o alcoliche Bull conquista le copertine con un tipo molto diverso di “impresa”.
Mentre è in ritiro con il Wolverhampton, prima di un incontro con il Norwich gli arriva una telefonata: la moglie è all’ospedale di Wolverhampton dove sta per dare alla luce il secondogenito della famiglia.
Bull si precipita all’ospedale. Passa la notte con la moglie, che dà alla luce il bimbo alle prime luci dell’alba. A quel punto Steve riprende la sua auto e fa il percorso inverso alla volta di Norwich, dopo una notte insonne. Tempo di pranzare con i compagni e dirigersi al campo del Norwich… dove il Wolverhampton vincerà la partita con una doppietta di Steve Bull!
Steve Bull resta comunque pur sempre un calciatore britannico.
E nessuno, o quasi, da quelle parti è esente da certe abitudini.
È il 1° gennaio del 1990 e come da tradizione nel calcio inglese si gioca. Il Wolverhampton è a Newcastle per una importante partita di campionato.
La sera prima i giocatori, in ritiro in un albergo di Newcastle, ricevono il benestare dal manager Graham Turner per poter bere «qualche birra per celebrare il nuovo anno».
A Bull e a tre suoi compagni non è esattamente chiaro a quanto esattamente corrisponda il concetto di “qualche birra” e così iniziano una “session” di un certo livello.
Quando Steve chiama sua moglie, poco dopo la mezzanotte, per gli auguri di rito, riesce solo a biascicare qualche parola. «Steve, ma sei completamente ubriaco!» gli urla la moglie.
Bull se la cava con qualche parola di scuse prima di riagganciare.
Il giorno dopo, quando con il resto della squadra Bull e i suoi tre “valorosi compagni di bevuta” arrivano al St. James’ Park, sono in condizioni pietose.
Ad accrescere il loro dispiacere è constatare che quasi 4.000 tifosi dei Wolves hanno seguito la squadra per l’occasione.
Il primo tempo è un monologo del Newcastle.
Per fortuna il portiere dei Wolves, Mark Kendall, non fa parte dei quattro “bevitori” e con una serie di miracoli (incluso un rigore parato) permette ai “Lupi” di andare negli spogliatoi sullo 0 a 0.
Nella ripresa i postumi della sbornia iniziano a diradarsi. Il Wolverhampton sale in cattedra e Steve Bull, un fantasma nei primi 45 minuti, diventa un ”toro scatenato”. Segna tutte e quattro le reti della vittoria per 4 a 1 del Wolverhampton, uscendo dal campo con l’ennesimo pallone del match e soprattutto tra gli applausi dello sportivissimo pubblico di Newcastle.
«A fine partita confessammo quanto accaduto la sera prima. Turner ci perdonò ammettendo che aveva capito che c’era qualcosa che non andava in noi nel primo tempo –ricorda oggi Steve Bull- … anche se non so cosa avremmo fatto se le cose fossero andate diversamente. Di sicuro c’è che fu l’ultima volta che presi una sbornia il giorno prima di una partita!»
Infine la domanda ricorrente che Bull sente rivolgersi lontano da Wolverhampton e alla quale risponde con grande ironia.
«Steve, ma se proprio avessi dovuto andare in un altro Club quale avresti scelto?»
Brillantissima la sua risposta: «Il Watford ovviamente». La squadra del suo “amicone” Graham Taylor!
Tratto da “MAVERICKS & CULT HEROES del calcio Britannico” di REMO GANDOLFI – Edizioni Urbone
Link:
http://www.urbone.eu/obchod/mavericks-cult-heroes-del-calcio-britannico