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This is Sheffield: città dell’acciaio e culla del football. Le ferite e la storia di una comunità racchiuse in uno stemma

Alla scoperta di tutto ciò che l'emblema delle Blades vuole raccontarci.

4 ' di letturaSi scrive Sheffield, si legge “città dell’acciaio”. Il cielo plumbeo e la cultura dell’alacre lavoro dei suoi burberi manovali sono gli elementi che l’hanno resa nota, ma non la ragione alla base del suo sviluppo. Tutto infatti prese le mosse dall’opera dell’ingegno di pochi abitanti dello Yorkshire: verso metà del Settecento venne ideata una nuova procedura per la produzione di acciaio damasco, metodo che forniva un prodotto finale di gran lunga più pregiato rispetto a quello offerto dai concorrenti. Successivamente fu il turno dell’Old Sheffield, una tecnica che, attraverso il calore, ricopriva lastre di rame con l’argento, permettendo successivamente un lavoro di sbalzo e di cesello tipico di superfici e oggetti in argento puro. Inizialmente diffuso in Inghilterra, fu un metodo che ben presto diventò famoso in tutto il mondo, in primis per la raffinatezza ed eleganza degli oggetti prodotti. Queste furono le due innovazioni che resero Sheffield una delle città più industrializzate del regno.

Gli alti fumi che uscivano dalle ciminiere non offuscavano però il desiderio di svago dei ragazzi dello Yorkshire. Così, se la mattina Sheffield si svegliava quale capitale della siderurgia, al pomeriggio si trasformava nella “culla del football”. Questo è infatti il secondo appellativo che la cittadina si porta dietro, precisamente dal 24 Ottobre 1857, giorno in cui venne alla luce il club più antico al mondo, lo Sheffield Football Club. William Prest e Nathaniel Creswick, i due padri fondatori, non si accontentarono di dare i natali a una nuova creatura, ma si adoperarono affinché quel gioco rudimentale divenisse più chiaro e godibile. Nacquero così le celeberrime “Sheffield Rules”: in luogo di una corda fu issata una traversa di legno, ma soprattutto fu il principio del fuorigioco, del calcio d’angolo e del calcio di punizione. L’occasione per stabilire la durata di una partita fu invece la prima trasferta dello Sheffield FC: due tempi da 45 minuti ciascuno.

Calcio e industria divennero il cuore pulsante, le due ragioni di vita di un’intera comunità. E mentre l’industrializzazione avanzava imperterrita, anche il pallone non smetteva di rotolare sul rettangolo verde, affascinando e divertendo un numero sempre maggiore di persone. Così, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, il polmone dell’acciaio vide accrescere a tre il novero delle compagini: al “vecchio” Sheffield FC si aggiunsero Sheffield Wednesday e Sheffield United. Nel giro di poco tempo, le due neonate rubarono la scena alla primogenita, avviatasi verso un lento declino, dando vita a una rivalità giunta fervida sino ai giorni nostri: lo Steel City Derby.

Ecco due operai impiegati nella lavorazione dell’acciaio in uno degli enormi stabilimenti della città.

Lo tsunami della Grande Depressione non risparmiò neanche Sheffield, mettendo in ginocchio il tessuto industriale dell’intero Yorkshire. Ecco allora che il calcio divenne l’ancora di salvezza per una gigantesca fascia di popolazione, stretta dal morso della fame: il titolo conquistato dal Wednesday nel ’34 fu una boccata d’aria, prima di un nuovo tuffo nelle tenebre. Tra il 1936 e il 1946 le due squadre furono costrette a sospendere l’attività sportiva per via dello scoppio del secondo conflitto mondiale. Le superstiti fabbriche d’acciaio della cittadina furono convertite alla produzione di armi e munizioni. La rilevanza strategica acquisita dall’area urbana fu il motivo per il quale Sheffield venne bombardata incessantemente dalla Luftwaffe, causando la morte di numerosi civili e dilaniando la quasi totalità delle abitazioni. Da tale ecatombe la città non si riprenderà più. Il suo volto, ormai sfregiato, non conoscerà più il sorriso, lo sviluppo, la vita veloce. Gli anni ’50 e ’60 furono quelli della “ricostruzione”, o per meglio dire della trasfigurazione: i vecchi quartieri, arroccati ma pur sempre ricchi di storia, furono rasi al suolo per lasciare il posto ad enormi complessi di case popolari. A dare la mazzata finale a quel briciolo di comparto industriale rimasto ci pensò la crisi dell’acciaio degli anni ’80: le ultime fabbriche non ebbero altra scelta che quella di chiudere i battenti, schiacciate dalla crescente automazione e dalla concorrenza straniera a basso costo.

Di tutto questo, della longeva storia della città e delle sue ferite, conserva memoria l’araldo dello Sheffield United. Uno stemma che si lega inscindibilmente al portato storico e valoriale di una comunità intera.

È il 1977 quando Jimmy Sirrel, all’epoca allenatore dello United, decide di apporre sulla sacra casacca biancorossa, rigorosamente en pendant coi pantaloncini neri, l’attuale simbolo della città. Leggenda narra che l’idioma venne elaborato circa vent’anni prima da Jimmy Hagan, un vero e proprio Dio dalle parti di Bramall Lane, strepitoso centravanti e trascinatore delle Blades dal ’38 al ’58. Vent’anni di amore condensati in un progetto destinato a rimanere impresso per l’eternità.

Un disegno semplice, che va dritto al punto, come la gente del posto. I tre colori, bianco rosso e nero, sono un chiaro rimando all’uniforme del club, un omaggio ai colori sociali, gli stessi che ogni neonato conosce sulla propria pelle, prima ancora di indossare un paio di scarpette. A blandire lo scudo ecco il nome e l’anno di fondazione del club; mentre al centro si stagliano le due sciabole incrociate, simbolo al contempo rappresentativo del soprannome della squadra (Blades) e del carattere combattivo della sua gente. Perché vivere in quel di Sheffield significa combattere ogni giorno: in campo con gli acerrimi rivali, così come nella difficoltosa quotidianità di una terra impoverita, cui è rimasto soltanto l’orgoglio di un illustre passato. Ah quelle sciabole… icone di gloria e decadenza: gli anni dell’acciaio, il boom dell’industria metallurgica, e quella stessa crisi del metallo che ha prima messo in ginocchio e poi distrutto un tessuto sociale. Con un popolo che però non ha mai smesso di lottare.

“Tenere vivo il passato per guardare il presente alla luce del sole”. Così, nella parte alta della trama, poggia la rosa bianca degli York, come a suggellare e declamare l’appartenenza alla contea, facendo uso del simbolo che ne sintetizza la storia. Peraltro, si tratta di un chiaro rimando alla Guerra delle due rose: la rosa rossa (dei Lancaster) e quella bianca (degli York) furono usate dai due casati belligeranti nella guerra civile quale segno distintivo. Il matrimonio tra Enrico VII di Tudor (ma Lancaster da parte di madre) ed Elisabetta di York pose la parola fine al conflitto, anche dal punto di vista simbolico: fu infatti adottata la Rosa Tudor, emblema ottenuto dal congiungimento della rosa bianca degli York con la rossa dei Lancaster, a dimostrazione dell’unificazione del potere temporale sotto il casato dei Tudor.

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