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Tony Hibbert: 12 anni senza segnare ed un’invasione storica

Quando il sudore e la fatica ti rendono l'idolo di una tifoseria, la storia di Tony Hibbert.

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Sulla sponda blu del Mersey River c’è un altro eroe calcistico. Non ha il physique du rôle dell’icona, tantomeno il tocco di palla del calciatore esteta. È un eroe diverso, anticonformista per un campo di calcio ma allo stesso tempo tipicamente inglese. Un ragazzone tutto corsa, cuore, grinta e sudore; un vero working class hero che in casa Everton ha un nome e cognome: Anthony Hibbert.

Hibbo, così lo chiameranno i tifosi, nasce a Liverpool nel 1981, da una famiglia calcisticamente dal sangue blu. L’ambiente familiare si rivela contagioso per il piccolo Tony che, sin da bambino, inizia un lungo cammino destinato a condurlo a calcare il prato di Goodison Park. Tifare Everton significa vivere all’ombra di un gigante, comporta l’accettazione di una lunga serie di sofferenze calcistiche, miste alla continua prepotenza di veder sminuita la storia di un club dalle nobili origini, oltre all’esser etichettati come il “b side of the city”. Osservazioni veritiere, direte, che comunque nulla possono dinanzi all’istinto ed all’amore viscerale che Tony prova per i colori dell’Everton. Come ogni bambino che ama giocare a calcio, il piccolo Hibbo sogna di poter vestire la maglia della sua squadra del cuore, di farne la storia e divenirne bandiera. Un sogno che per molti di noi rimane tale, ma che per Hibbert diviene realtà, senza dover aspettare neanche più di tanto.

Tony, infatti, fa il suo ingresso nelle giovanili dei Toffees a soli 9 anni, vestendo per la prima volta la casacca dell’Everton: è un momento magico per lui, di quelli che si è soliti vedere solamente nei film. Quel giorno arriva a toccare il cielo con un dito e decide di non voler più scendere. Quella maglia non se la toglierà mai più di dosso, è l’inizio di un sodalizio che durerà venticinque anni.

Il piccolo Tony fa tutta la trafila nelle giovanili: inizia da centrocampista, nel corso degli anni viene poi adattato come terzino destro, trovando così la collocazione tattica che lo valorizza maggiormente. Il primo, ed anche unico, trofeo arriva nella stagione ’98-99, in cui fa parte di una promettente Under 18 che solleva la Youth FA CUP. Quel rude adolescente nato a pochi passi da Goodison Park desta l’attenzione dell’intero staff tecnico della prima squadra, i cui membri, letteralmente stregati dallo strapotere fisico, dall’atteggiamento mentale e dalla grinta profusi in ogni gara, decidono che per Hibbert è il momento di fare il grande salto. Corre l’anno 2000, per tutti l’inizio di un nuovo millennio, per Tony di una nuova era: andrà ad allenarsi con i grandi.

Dopo mesi di gavetta e di duro allenamento alle dipendenze dello scozzese Walter Smith, giunge l’occasione tanto bramata da Tony. È il 31 Marzo 2001, ad Uptown Park va in scena West Ham-Everton, una partita dai punti pesanti. Entrambe le squadre navigano in una posizione di classifica appena al di sopra della zona calda, una vittoria significherebbe porre una seria ipoteca sulla salvezza. Si preannuncia una battaglia a tutto campo: Smith ha bisogno di gamba e sostanza, di un undici titolare ricco di dinamismo ed in grado di reggere ritmi infernali per l’intera durata della gara. Decide pertanto di mandare in campo dall’inizio quel grintoso ragazzino che in allenamento aveva dimostrato di non temere nessuno, all’interno di uno spogliatoio in cui non coabitano venti padri di famiglia, ma pazzi furiosi del calibro dell’orco Gravesen, di Gascoigne e Duncan Ferguson: rispetto di tutti, paura di nessuno. Hibbert, come meglio sa fare, risponde sul campo, giocando una partita dalla solidità spiazzante per essere un ventenne alle prime armi. L’Everton, con una prestazione granitica, si aggiudica la posta in palio, espugnando Boleyn Road con un secco 0 a 2. Da quel giorno Tony Hibbert collezionerà con la maglia dei Toffees 328 presenze, con il ragguardevole bottino di 0 reti in gare ufficiali, ebbene sì, non avete letto male.

Il giovane inglese non tarda a conquistarsi un posto da titolare fisso e soprattutto ad entrare nel cuore dei tifosi che tanto apprezzano il suo attaccamento alla maglia e la profonda dedizione con cui affronta ogni partita. Con l’approdo di David Moyes sulla panchina dei Toffees Hibbert diviene un pilastro fondamentale della retroguardia dell’Everton. Tony è un leader operaio, uno che si è guadagnato la stima e il rispetto di tifosi, compagni ed addetti ai lavori mediante l’esempio dato sul campo, attraverso la continuità ed affidabilità nelle prestazioni fornite, con la serietà e la professionalità profuse in ogni sessione d’allenamento. Alla mancanza di piede, di una tecnica di base di livello, di eleganza e di visione di gioco ha sopperito con la voglia di non arrendersi mai, di battagliare per i propri colori, di uscire dal campo pregno di fango, come un guerriero che ha difeso strenuamente i confini della propria roccaforte: l’area di rigore dell’Everton.

Il tempo trascorre incessantemente, gli anni di militanza nelle fila dei Toffees salgono a dodici e le battaglie disputate aumentano a dismisura, ma del primo goal di Hibbert non si vede nemmeno l’ombra.

Arriviamo così ad una data storica, destinata a rimanere impressa nella memoria di ogni tifoso dell’Everton. Corre l’8 agosto 2012, a Goodison Park viene organizzato un testimonial match contro l’AEK Atene a titolo celebrativo della fedeltà dimostrata da Tony nei confronti della causa dei Toffees.
L’Everton gioca col cuore in mano, perché è giusto così; non ci sono in palio i tre punti, ma l’onore di un simbolo, il tributo ad una carriera. I blu di Liverpool dominano gli ellenici e legittimano una schiacciante superiorità portandosi sul 3-1 dopo nemmeno un’ora di gioco. Al minuto numero 54’ viene fischiata in favore dei Toffees una punizione dai 25 metri, sul pallone, incredibilmente, si presenta Hibbo. Sugli spalti le voci si rincorrono, hanno un misto di ilarità e di meraviglia. Già nel corso della gara era stato esibito uno striscione, di quelli goliardici, ma che in fondo racchiudono una piccola speranza, una sorta di promessa: “Hibbo scores, we riot”.
Il numero 2 in maglia Toffees prende una lunga rincorsa, durante la quale non distoglie mai lo sguardo dalla palla. Un “normal one” come lui non pensa neanche per un istante a tentare una giocata fuori dagli schemi, si concentra soltanto sul colpire bene il pallone; in maniera semplice ed essenziale, due aggettivi che ben potrebbero descrivere la sua carriera. Dal destro di Hibbo esce una sassata rasoterra che passa sotto la barriera e va ad insaccarsi nell’angolino, dove un sorpreso Konstantopoulos può sfiorare soltanto.

Un boato assordante fa tremare Goodison Park sino alle fondamenta. È storia. Dopo 12 anni di onorata militanza in maglia Toffees, nei quali ha incarnato i valori di un’intera tifoseria, occorre festeggiare il primo gol del proprio beniamino. E chi se ne frega se si tratta solo di un’amichevole, un’intera fede calcistica ha il dovere di celebrare una bandiera. Così, in una manciata di secondi, decine di tifosi aprono una breccia nel timido cordone dei poveri steward e si riversano in campo per abbracciare e festeggiare il loro idolo. Ad impedire che i tifosi lo portino in trionfo sugli spalti è solo un roccioso Distin. Ogni promessa è debito: “Hibbo scores we riot”.

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