La DDR, la Repubblica Democratica Tedesca, un mondo così affascinante e misterioso, ammantato di una patina grigia e malinconica, la personificazione del comunismo nel cuore dell’Europa, con la Stasi pronta a controllare la vita di ognuno. Questa è la nazione che ha dato i natali a Uwe Rosler, che nasce ad Altenburg nel novembre del 1968. Dopo aver cominciato a calcare i campi della Germania Est e a segnare con le maglie di Magdeburgo e Dinamo Dresda, nel gennaio del 1994 arriva la grande occasione, sbarcare ad Albione. Non sarà facile, perché i dirigenti del City non si fidano di questo atipico attaccante, alto 1,78 metri, scaltro e dotato di un buon colpo di testa.
Prima di tesserarlo lo sottopongono ad un provino, o la va o la spacca. La grande occasione è un match tra le fila della squadra riserve che deve affrontare il Burnley, ma il tedesco si fa trovare pronto. Con una doppietta si guadagna la conferma per altri tre mesi con la prima squadra. Francis Lee, presidente del Man City dell’epoca, ha dichiarato queste parole circa l’operazione di acquisto di Rosler: “Non avevamo soldi ma eravamo alla disperata ricerca di un attaccante. L’agente Jerome Anderson ci ha offerto la possibilità di vedere Uwe. Quest’ultimo era al Middlesbrough da un paio di settimane ma non lo volevano, quindi era tornato in Germania. Lo abbiamo riportato indietro e ha giocato una partita di riserva per noi contro il Burnley il mercoledì sera. Il manager Brian Horton e io l’abbiamo visto giocare e a metà tempo Brian mi ha chiesto “cosa ne pensi?”. Ho subito risposto, “sta passando la palla alle persone in una maglia blu e ha segnato un goal: lui è meglio di quello che abbiamo!””.
Si tratta di una chance da non sprecare, così nelle dodici presenze successive mette a referto ben 5 gol, tutti fondamentali per strappare una salvezza insperata. Infatti il City è lontano dai fasti degli sceicchi, naviga a vista in Premier League e ha una paura matta di retrocedere. A metà degli anni ’90 è il volto meno illustre di Manchester, mentre lo United mostra i muscoli, si guadagna le copertine nazionali e sfoggia un’organizzazione societaria modello, il City ha una gestione molto più umile, non naviga nell’oro ed è decisamente lontano dalla realtà odierna in cui regnano i petroldollari dello sceicco. Il vento dell’Est sembra l’uomo della provvidenza, un attaccante affamato e volenteroso, pronto a tutto per la sua squadra.
In uno scenario così, i tifosi Citizen si aggrappano alla figura di un ragazzo coraggioso che pur di non adattarsi alla nuova Germania in cui non si riconosce, sceglie l’Inghilterra come la sua nuova casa. Col numero 28 sulla schiena, si carica sulle spalle una squadra con poco talento, ma con molta volontà. Un team operaio che ha nel centravanti tedesco la sua punta di diamante, un uomo capace di segnare alla fine del campionato ben 15 reti (22 in tutte le competizioni), valevoli per ottenere un 17esimo posto conclusivo, che significa salvezza. Ancora una volta, con le unghie e con i denti, il City resta in Premier League. Rosler si specializza, segna di destro, di sinistro e ovviamente di testa. La sua maglia è sempre sudata alla fine dei 90′, e questo i tifosi lo vedono e lo premiano come giocatore dell’anno.
I sostenitori dei Citizen lo amano, ormai è diventato un’icona. Lui, dal canto suo, si sente cucita addosso la maglietta del City e soprattutto vede nei rivali dello United il più grosso dei nemici. Alcuni dichiareranno che suo nonno era un pilota della Luftwaffe e che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva bombardato l’Old Trafford. Lui stesso non si fa intimorire dalla tana del nemico e durante la stagione 1995-1996, buca la porta di Peter Schmeichel con un delizioso pallonetto proprio davanti ad un ammutolito pubblico di fede Red Devils. Ma quell’annata non è come le precedenti, il nuovo allenatore Alan Ball cambia modo di giocare, non facendo risaltare le doti di Rosler, ma soprattutto dà il via libera alla cessione di Paul Walsh, con cui il tedesco dialogava alla perfezione nell’area avversaria. Proprio dopo la rete ad Old Trafford – che sarà comunque ininfluente ai fini del risultato – Rosler corre verso Ball in panchina, e polemicamente gli indica numero e nome. Tra infortuni e incomprensioni i gol saranno solamente 9 alla fine del campionato e stavolta non bastano per restare nella massima divisione inglese.
Rosler però sposa la causa appieno e resta anche in Championship, nonostante le varie offerte ricevute. In First Division, il vento dell’Est ricomincia a segnare ma intorno a lui la squadra non è più la stessa e non è competitiva per ritornare subito in Premier. Quindi nonostante i suoi 15 gol, Rolser rimane in purgatorio. L’anno seguente il tedesco è condizionato da una serie di infortuni che lo tengono ai box per lungo tempo e il City sprofonda addirittura in terza divisione. Alla fine del contratto si accasa con il Kaiserslautern, ma ritornerà in Inghilterra dopo un paio di stagioni per finire la sua carriera con le maglie di Southampton e West Bromwich Albion, senza però lasciare il segno.
Siamo sicuri che bastino soltanto i meri numeri (64 gol in 176 presenze in quattro anni) per far sì che Uwe Rosler sia considerato a pieno titolo una delle leggende del Manchester City? Assolutamente no, perché quel giocatore ha rappresentato al meglio un calcio genuino e povero, in cui i forti sentimenti si potevano toccare con mano. Rosler è riuscito a fare breccia nel cuore dei Citizen nonostante non avesse i valori tecnici dei blasonati fuoriclasse odierni, ma perché aveva grinta e carattere, ma soprattutto perché ha combattuto come un leone in un City con pochi mezzi finanziari, dando sempre l’anima, fino alla fine.
Nel 2003, quando Rosler stava lottando contro il cancro, sdraiato nel letto d’ospedale riceve una chiamata da un vecchio amico dall’Inghilterra, dalla cornetta si sente uno stadio intero cantare il suo nome, come ha raccontato l’attaccante tedesco: “I fan cantavano il mio nome e lo sentivo echeggiare dovunque. La notizia della malattia li aveva raggiunti, ma erano disposti a farmi sconfiggere il cancro. Non si sono arresi insieme a me. Mi hanno restituito un sorriso e mi hanno dato nuova speranza e nuove motivazioni per superare un momento molto difficile. Prima avevo un legame con il club, ma in quel momento è diventato qualcosa di indistruttibile. Dopo aver sentito quel tipo di supporto, come avrei potuto fallire?”. Quando si è ripreso, Rosler è tornato a Manchester per ringraziare i supporters per la loro vicinanza e ha ricevuto un’altra entusiasmante accoglienza.
Ultima curiosità, il primo gol di un calciatore tedesco in Premier League è proprio il suo, segnato nel marzo del 1994 contro il QPR, anticipando di qualche mese Jurgen Klinsmann. Lunga vita a Uwe Rosler, il vento dell’Est.